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La stanchezza
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No, non è il nuovo film di Sorrentino. La stanchezza è la mia attuale condizione di spettatore cinematografico. La farò breve per non “stancarvi”. Da studente universitario era praticamente una regola riuscire a vedere uno o due film al cinema, a Milano, o in un multisala vicino ad Abbiategrasso, facendo spesso e volentieri l’amata “doppietta”, ovvero due film in una sera. Invece, da quando ho iniziato a lavorare, nonostante insegnare non mi occupi l’intera giornata e per il momento neppure tutti i giorni della settimana, non sono più stato in grado di vedere i titoli che più aspettavo e nemmeno un film scelto più o meno a caso al momento durante un giro in via Torino. E questo perché anche nei giorni in cui non lavoro, non ho la voglia di prendere il treno per andare a Milano e andare al cinema, spendere i soldi per il biglietto, per un pranzo veloce, per magari qualche libro fuori programma, e soprattutto perché sarei a zonzo senza nulla da fare per tirare l’ora del primo spettacolo pomeridiano – anche se il programma effettivamente è allettante e quasi quasi...

E questa è una storia, una prima, tecnica, motivazione. Ma c’è dell’altro. Sono stanco. Stanco come spettatore, o se meglio volete, stanco come fruitore. Sarò ancora più breve: ci sono in giro troppi film. Troppi. Si producono, girano e distribuiscono così tanti film che non fai in tempo a capire che offerta c’è, come scegliere e cosa scegliere. Qualcuno loda la pluralità dell’offerta – lo dicono pure all’interno del PD, forse inconsapevoli della sciagura – ma io resto del parere che con tutti questi titoli, la maggior parte dei quali dimenticabili, non aiuti certo a scegliere. Inoltre, se aggiungiamo le serie tv che ci condannano al salottismo perpetuo, tutto torna. C’è troppa offerta, troppi titoli, troppe occasioni che poi, per una strana condanna tipo contrappasso, si trasformano in mancanze, in frustrazione, in rifiuto.

A tutta questa spiccia riflessione filosofico-esistenziale si aggiunge il fatto che gli esercenti ci mettono del loro. Molti film che volevo vedere in questi ultimi tre anni, per lo più horror, venivano messi o solo all’UCI Cinema della Bicocca oppure anche in centro, ma solo allo spettacolo delle 22.30. E io dovrei andare fino in Bicocca o a Milano alle 22.30 per vedere un film? No.

Altri esempi? Aspettavo da tempo The Lost City of Z, uscito il 22 giugno, non tre mesi fa, e adesso che sono più libero ho deciso di andare a Milano a vederlo scopro che all’Odeon, il cinema più agile per me che vengo dal sudovest, lo propone alle 16.30 oppure alle 19.10. Niente di impossibile. È estate, ti fai il primo spettacolo, esci che c’è ancora un sacco di luce, vedi un amico sui navigli, poi prendi il treno e torni a casa – sempre che i delinquenti di Trenord facciano bene il loro lavoro.

Eppure… eppure tutto questo mi stanca. Sono stanco di non poter fruire come voglio io del film che voglio io, e che una volta era possibilissimo che accadesse. Inoltre, sono saturo di immagini, di storie, di volti, di linguaggi, di tutto, ma soprattutto di immagini, che ci bombardano anche da internet, dai social. Non a caso ho chiuso definitivamente il mio profilo Facebook da dicembre. Non a caso non guardo mai la tv da forse vent’anni e la uso come mezzo per vedere solo i film in DVD o il ciclismo. Non a caso è più facile trovarmi per campagne o lungo il naviglio piuttosto che nei centri cittadini. Non a caso sto preferendo di gran lunga la compagnia di un libro a quella delle immagini. Le mie tanto amate e lodate immagini.

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