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CRISIS IN SIX SCENES – La tv secondo Woody Allen
di Andrea Fornasiero ultimo aggiornamento
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Diffusa su Amazon alla fine di settembre, Crisis in Six Scenes è la prima serie che il canale ha realizzato direttamente, senza passare dal vaglio dei pilot soggetti al voto del pubblico. La ragione è naturalmente nell’autore: bella o brutta che sia, una serie di Woody Allen non può mancare di suscitare interesse. Infatti se n’è scritto anche su giornali e riviste italiane, Paese dove la serie non è legalmente visibile, e non lo sarà ancora per un tempo imprecisato data il modo lento e misterioso in cui il servizio Amazon Prime Video si espande a livello globale.
Una delle frasi più celebri del regista è: «La vita non imita l’arte, ma la cattiva televisione» e proprio di cattiva televisione si parla in Crisis in Six Scenes, dove il protagonista vive l’equivalente di una sit-com familiare e cerca di vendere appunto il progetto di una sit-com a un network televisivo, spiegando – tra le altre cose – l’utilità di avere un personaggio grasso che permetta le eternamente efficaci battute sui ciccioni. Nel mentre il suo ménage domestico assolutamente abitudinario e borghese, e pure compulsivo e nevrotico, viene sconvolto dall’arrivo di una ragazza e dalle sue idee politiche sovversive.

Le donne in Crisis in Six Scenes

Lennie Dale, interpretata da Miley Cyrus, è una rivoluzionaria in fuga, braccata dal governo e invischiata con le pantere nere per sfuggire alla cattura. Sono gli anni della guerra in Vietnam, tema sul quale il protagonista Sidney rifiuta categoricamente di essere informato, ma quando Lennie gli si nasconde in casa, e la moglie Kay (interpretata da Elaine May vista l’ultima volta in Criminali da strapazzo) decide di accettare la ragazza tra loro, Sidney non può più infilare la testa sotto la sabbia. Questo non significa che sviluppi una qualche coscienza politica e il suo rapporto con Dale rimane di pura sopportazione, motivato solo dal non volere litigare con la moglie, nella speranza di poter presto riprendere la tranquillità pantofolaia della propria esistenza. Sidney infatti ha i suoi momenti di maggior coraggio quando è mosso dalla paura, mentre le donne hanno invece un’attività frenetica e contagiosa.

Al punto che le idee di Lennie affascinano la moglie e questa le diffonde tra le sue amiche, nel circolo del libro che tiene a casa propria, dove si passa dalla lettura dei classici della letteratura a quella di Marx e Mao. Le care vecchine e signore bene che si riunivano per parlare di romanzi e poesie diventano così una sorta di improbabile e assolutamente esilarante cellula rivoluzionaria. Kay rimane invece più lucida e per lei, che si occupa professionalmente di fare da consulente alle coppie in crisi, aiutare Lennie è soprattutto un’avventura, un modo di sentirsi ringiovanita e trovare nuove emozioni forti nonché una rinata affinità con il pavido marito. Emozioni di cui appunto Sidney farebbe volentieri a meno, così come farebbe a meno di qualcuno straordinariamente vorace che gli svaligia il frigorifero: la giovane Lennie è infatti caratterizzata da una fame quasi insaziabile, speculare alla propria straordinaria energia. La ragazza, oltre a tener testa a Sidney e conquistare la moglie e le sue amiche, affascina un giovane che dovrebbe sposarsi con un’amica di famiglia dei protagonisti e che invece prende una sbandata per lei. E tutto questo accade a intorno a Lennie per effetto della sua vorticosa presenza senza che nemmeno lei vi si dedichi, visto che la sua attività principale rimane quella di sovversiva in cerca di fuga.

L’altro personaggio femminile è la fidanzata del ragazzo, interpretata dalla bellissima Rachel Brosnahan, che tra tutti è quella dalle posizioni da una parte più romantiche e dall’altra più ragionevoli, progressista ma non radicalizzata, decisamente più informata del suo compagno riguardo come gira il mondo, ma non per questo cinica o disillusa.

Cinema, teatro o televisione?

Allen diceva, lo scorso maggio a Cannes, di essersi pentito di aver accettato la proposta di Amazon e di essersi accorto che realizzare una serie Tv non è come realizzare un film un po’ più lungo - in questo caso nemmeno tanto, la durata complessiva è poco superiore alle due ore. Naturalmente era anche un modo giocoso di schermarsi («non so nemmeno come funzioni lo streaming», ha detto il regista) e allo stesso tempo di fare promozione. A conti fatti però la serie è stata male accolta dalla critica americana, soprattutto perché dal nuovo formato Allen non sembra aver cavato quasi nulla. La struttura di Crisis in Six Scenes sembra infatti più teatrale che altro, con rarissime uscite al di fuori dell’ambiente domestico. Sebbene la chiusura nelle pareti di casa possa far pensare alla sit-com tradizionale, Allen utilizza però un linguaggio è molto diverso, con movimenti di macchina da presa che nell’ultimo episodio – sicuramente il più riuscito – risultano anche parecchio elaborati e rimandano più al cinema. L’operazione è insomma diversa e sicuramente più pigra e meno spiazzante rispetto a quella di Louis C.K. in Horace and Pete.

Dopo una parte iniziale piuttosto stentata – anche per sopraggiunti limiti di età dell’Allen attore, che non pare più in grado di reggere il ritmo dettato dalla sua stessa scrittura e regia – Crisis in Six Scenes cresce però negli episodi dal terzo in poi, quando lo scontro ideologico tra Lennie e Sidney, che ha luogo soprattutto in cucina tra porzioni di pollo ed elettrodomestici, inizia ad accumulare assurdità fino a farsi divertente e poi esilarante nel caotico finale. Certo nulla di nuovo da parte del regista, e tutto sommato liquidabile come un compitino, come spesso si può dire dei suoi ultimi e leziosi film, ma nel ritorno alla comicità c’è comunque una leggerezza che salva l’operazione nel suo complesso. Nulla di imprescindibile insomma, ma nemmeno qualcosa di cui doversi pentire, né per l’autore né, come è più importante, per lo spettatore.

Qui i precedenti articoli della rubrica CoseSerie.

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