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L'innocenza di Clara: Intervista a Toni D'Angelo e Alberto Gimignani - In anteprima, sei minuti di film
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Dal 23 agosto al 3 settembre si svolgerà il World Film Festival di Montreal in Canada, a cui partecipano nelle varie sezioni 212 film (110 premieres mondiali e internazionali) provenienti da ogni parte del mondo. Alla stampa cinematografica nazionale, troppo impegnata a inseguire altri eventi molto più strombazzati, è finora sfuggito che, tra le varie sezioni della rassegna, è presente anche una nutrita schiera di titoli italiani su cui spicca L'innocenza di Clara di Toni D'Angelo.

 

Presentato in concorso il prossimo 28 agosto, L'innocenza di Clara è il secondo lungometraggio di finzione del giovane regista napoletano (terzo lavoro, se si include anche il documentario Poeti), molto atteso dopo l'acclamato esordio con il road movie Una notte.

 

Interpretato da Chiara Conti, Alberto Gimignani e Luca Lionello, L'innocenza di Clara è un noir ambientato nell'universo chiuso e maschilista delle cave della Lunigiana, un mondo in cui la presenza di una femme fatale - lontana da una mentalità per certi versi ancora tribale - mina il profondo rapporto tra due amici e provoca deflagrazione.

 

Prodotto da Donatella Palermo con la sua casa di produzione 13 Dicembre e con il sostegno del MiBAC, L'innocenza di Clara arriverà nelle sale presumibilmente a dicembre, distribuito dall'Istituto Luce.

 

Per saperne di più sull'opera, ne abbiamo parlato con il regista Toni D'Angelo e l'attore Alberto Gimignani. Accompagnano la chiacchierata, sei minuti di film concessi in anteprima esclusiva.

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INTERVISTA A TONI D'ANGELO

 

L'innocenza di Clara ha la sua premiere internazionale in concorso al Festival di Montreal nel momento in cui tutti in Italia si preparano all'orda di film provenienti dal Festival di Venezia. Tu hai sottoposto il tuo film a Barbera?
No, il film a Barbera non è stato proposto. Non volevamo rischiare un rifiuto adesso. Puntavamo più ad andare a Roma però lì i tempi son lunghi e ci vanno diecimila persone. Lo abbiamo sottoposto all'attenzione di Müller ma le risposte arriveranno non prima di fine settembre. D'accordo con la distribuzione, abbiamo intenzione di uscire il prima possibile e volevamo evitare di allungare i tempi. Se non fosse stato preso a Montreal, avrei provato la carta del festival di San Sebastian in Spagna.



Al Festival di Roma quest'anno saranno in tanti gli italiani che vorranno proporre qualcosa, visto che a Venezia non esiste più la sezione Controcampo.
Al Festival di Roma quest'anno la situazione sarà davvero incredibile. Con chiunque parlo, mi racconta che va o tenta di andare a Roma. Io fondamentalmente ho scelto di andare a Montreal almeno per un paio di ragioni. Il film va in Concorso e se ti invitano ad un concorso mi sembra anche giusto andare. A Roma o a Venezia, invece, sarei andato in una sezione collaterale.

A Controcampo due anni fa ho presentato il documentario Poeti senza che mi abbia portato nulla da un punto di vista dell'attenzione mediatica: io mi ricordo una conferenza stampa dove in pratica non c'era nessuno per via dei troppi titoli da seguire. Se non vai in concorso, nessuno ti degna di attenzione. Una delusione parecchio grossa: nell'immediato quasi nessuno ha parlato del film, tanto che spesso penso che se non fosse andato a Venezia sarebbe stato meglio.

Anche per questo motivo, con L'innocenza di Clara ho preferito fare un percorso che parte dall'estero per arrivare dopo in Italia con una presentazione importante che dia valore al film. Il mio non è un film che ha nomi eclatanti che richiamano la gente al cinema. O, meglio, non ha nel cast quei nomi che tutti cercano per attirare l'attenzione. Hai letto il cast?



Si, ho letto il cast e ho visto anche i primi sei minuti in una clip usata per promuovere il film al Marché del Festival di Cannes. E la prima cosa che ad esempio mi ha colpito è la fotografia di Rocco Marra. E, poi, non concordo sui nomi che non attirano l'attenzione: Chiara Conti, Luca Lionello e Alberto Gimignani...
Sono attori bravi, bravissimi, ma che purtroppo non sono quei tre o quattro attori che ti richiamano automaticamente il pubblico.



Quindi, sei convinto che il nome di richiamo serva?
Io no, altrimenti non facevo questa scelta. Però, distributivamente, purtroppo si.

Non lo so. Io ho visto uscire negli ultimi mesi film che, puntando sui soliti nomi, non è che abbiamo brillato al botteghino.
Ti faccio però un esempio pratico. Da chiunque vai o in qualunque festival, la prima cosa che si va a vedere è il nome degli attori del cast e il logo della produzione o distribuzione.



L'innocenza di Clara come genere cinematografico è un noir.
Si, è un noir classico con al centro la femme fatale e i due litiganti. La storia si svolge all'interno di una comunità estremamente chiusa e maschilista, quella dei cavatori di marmo della Lunigiana.



Come mai tu, napoletano, scegli di girare nelle cave di Massa Carrara?
Fondamentalmente perché mi serviva trovare un contesto molto chiuso e maschilista. Sono stato spesso lì con degli amici marmisti e la cosa che mi colpiva ogni volta era l'assenza quasi totale di donne, non previste all'interno delle cave. Un po' come nel mondo dei marinai. Clara, di conseguenza, arriva all'interno di questo mondo chiuso e devasta in un certo senso un equilibrio prestabilito, creatosi in modo automatico, e quasi surreale.



Da un punto di vista produttivo, hai incontrato delle difficoltà?
Devo dire che è stata abbastanza dura. Nella maggior parte dei casi, per uno giovane come me, ci si deve adattare alle esigenze produttive altrimenti il film non lo si fa. Per realizzare L'innocenza di Clara, ho usufruito del fondo per le opere prime e seconde del MiBAC e ho trovato una compagna di avventura in Donatella Palermo e nella produzione della 13 Dicembre Film.



Per te, il cognome quanto pesa? Ti ha mai ostacolato nella tua carriera da regista?
Non mi sono mai posto il problema. Nel mio primo film, Una notte, l'ho anche scelto come protagonista: ho una profondissima stima per lui e non mi pesa essere il figlio di Nino D'Angelo.

A volte penso che sarebbe ad esempio interessante riprendere anche i film da lui girati in passato e riproporli oggi girati per come si deve. Si tratta di melodramma che, se presi in mano da registi importanti, ancora oggi sarebbero in grado di portare al cinema. Oggi, invece, molti preferiscono fare film politici che poi politici non sono e annoiano tutti quanti, allontanando dal cinema il popolo, ovvero tutti coloro che si recano in sala e pagano il biglietto.



La sceneggiatura di L'innocenza di Clara è tua?
Si, il soggetto è mio, scritto insieme a Salvatore [Tatanka, Una notte] e Maurizio Braucci [Reality, Tatanka, L'intervallo, Gomorra].



In quanto tempo lo hai girato?
Il film è stato girato in 20 giorni ma ha avuto un processo di post produzione molto lungo. Il montaggio è stato una sofferenza non indifferente.



Come mai?
Perché il film non veniva fuori. Inizialmente avevo in mente di fare un film molto rigoroso, con una scansione temporale abbastanza dilatata. Mi rendevo però conto che non funzionava. Alla fine, o optato un montaggio che mischia le carte, un po' come succede in I pugni in tasca di Bellocchio: sequenze ad esempio che raccontano cose successe prima sono inserite alla fine del film e viceversa. È stata una vera riscrittura del film: lunga e faticosa, ho anche temuto di non riuscire a venirne fuori.



Il film ha anche cambiato titolo, passando da Da stelle a stelle a L'innocenza di Clara.
Da stelle a stelle è un modo di dire dei cavatori, che lavorano per l'appunto da stelle a stelle, cioè dal primissimo mattino con le stelle ancora in cielo fino al tardo pomeriggio con le stelle già sorte nuovamente. Il film poi, piano piano, ha posto sempre più al centro la figura di Clara, la sua innocenza e il modo involontario in cui fa scoppiare tutto ciò che accade.

 

Non hai paura che il titolo possa essere uno spoiler?
No, sono convinto di no. Nonostante si focalizzi su Clara e sulla sua innocenza, non è detto che contenga la rivelazione del finale. In fondo, Clara tanto innocente non è: non fa niente di volontario per scatenare quello che succede ma fa tante cose che la rendono semmai "vittima" delle circostanze. Non è di sicuro la vittima di cui si può dir "poverina". il suo arrivo scatena delle piccole miccie che erano lì pronte ad essere accese. Tutto avviene in modo molto silenzioso e sotterraneo, non esplicito nulla né tantomeno lo fanno i personaggi: sono delle pedine che si muovono in silenzio.

Anche per questo il montaggio è stato complicato, ho lavorato più sul non detto che sul detto. Il film dura 83 minuti, raggiungendo la sua lunghezza ideale. Durante le varie fasi di montaggio ci sono state anche versioni di due ore ma ho preferito evitare le divagazioni per concentrarmi sulla linea di narrazione principale per non annoiare. Così, invece, sono quasi sicuro che per quanto sia silenzioso non annoi.



L'uscita in sala è stata già programmata?
Onestamente ancora non lo so. Penso e spero che si arrivi entro dicembre. Poi, non è detto che quello di Montreal sia l'unico festival a cui il film possa partecipare.



La scena cinematografica napoletana è molto attiva negli ultimi anni. Cosa vuol dire fare cinema a Napoli oggi?
Fare cinema a Napoli oggi è un privilegio. Ci sono delle realtà produttive molto più calde rispetto ad altre parti d'Italia. Matteo Garrone è l'esempio più riuscito ma posso anche citarti I figli del Bronx, la casa di produzione di Là-Bas con cui girerò il mio prossimo film insieme a Minerva Pictures.



Di cosa si tratterà?
Personalmente, mi interessa prendere un genere cinematografico e gestirlo a modo mio. Con Una notte ho giocato con il road movie, con L'innocenza di Clara con il noir classico prendendo ad ispirazione il cinema di Chabrol. Mi piace partire dal genere e raccontarlo a modo mio senza essere legato ai cliché. Il prossimo sarà un melodramma classico con cornice poliziesca.

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INTERVISTA AD ALBERTO GIMIGNANI

Alberto, accompagnerai la proiezione di L'innocenza di Clara in Canada?
Poiché dietro c'è tutta una storia di accrediti e cose varie, purtroppo ancora non lo so. Credo di no, dovrebbe però esserci il regista Toni D'Angelo con la moglie. Sto cercado di mettermi in contatto con FilmItalia per capire se c'è la possibilità di andare ma non risponde nessuno, son tutti in vacanza. Farò un tentativo in extremis perché mi farebbe molto piacere esserci. 

È un film che amo molto, di cui ho amato la sceneggiatura sin dalla prima lettura e di cui ho amato soprattutto la realizzazione e il modo che ha Toni di lavorare, anche a prescindere dalla storia - che poi è un pretesto.



Tu chi sei nel film?
Io sono Maurizio, colui che sposa Clara. Nel rivedere il film in una proiezione privata, mi ha talmente entusiasmato - e non capita spesso, visto che come attore sono ipercritico nei confronti di me stesso - che non vorrei far mancare il mio sostegno. Se ci fosse la possibilità di accompagnarlo a Montreal, andrei perché credo che sia un bel film, strano rispetto a dei canoni consolidati italiani. È un bell'affresco, una bella poesia.



Il presupposto di partenza della sceneggiatura è alquanto interessante. Siamo catapultati infatti all'interno di una cava della Lunigiana, in un universo chiuso, ristretto e maschilista, in cui si presenta una figura femminile a scardinare gli equilibri preesistenti tra due amici di vecchia data.
La cosa bella del mio personaggio è che mi ha riportato a una situazione che si vive realmente. In Toscana, si vivono forti amicizie tra persone che sorvolano le differenze economiche o di ceto sociale. Non è così inusuale che il proprietario della cava vada con lo scarpellino a caccia come se fosse la cosa più normale sulla faccia della terra, senza far pesare condizione, provenienza o situazione economica.

Maurizio e Giovanni si incontrano e non badano alle differenze, stringono il loro schietto rapporto di amicizia basandolo sulla caccia, la loro passione comune. Vivono all'interno di una dimensione quasi irreale, se si pensa che Carrara sta a 20 km da Viareggio o a 30 da Lucca: non si è sperduti in mezzo al nulla ma si tratta di una realtà paradossalmente ricca e contraddistinta però da una mentalità ancora arcaica. Gli abitanti del posto sono ricchi, hanno macchinoni ma non escono dalla loro città, vivono in una specie di isola protetta dove si sviluppano forti amicizie e l'arrivo di una mina vagante innesca dei meccanismi strani.

Nel film, Maurizio viene ucciso e Giovanni fa una brutta fine: l'arrivo di Clara porta a uno sconvolgimento dell'equilibrio della vita di paese. Lo straniero crea scompiglio perché coglie impreparati i paesani, non pronti ad uscire dalla loro consolidata e perfetta tradizione che non prevede sorprese. Padri e figli sono abituati a tramandarsi di generazione in generazione abitudini e valori: alla stessa età dei padri, i figli ripropongono identici rituali o comportamenti, proprio come in una società tribale.

Se si immagina che siamo in un periodo in cui ci si confronta con la globalizzazione, con internet e i vari strumenti di comunicazione, tutto ciò può apparire anacronistico ma è una situazione vera. Nel film di Toni ho riconosciuto molte delle circostanze vissute: a guardarle, può sembrare quasi impossibile che nel 2012 certi comportamenti siano ancora vivi.

 

In una delle scene che vediamo nella clip ci accorgiamo però che qualcuno prova a "rifiutare" l'arcaica società in cui vive. Nella fattispecie, vediamo la figlia di Giovanni che, lasciando temporaneamente la sua postazione davanti al pc, va a salutare gli ospiti a cena ma senza unirsi a loro, regalando l'unico cenno di sorriso (quasi di complicità) a Clara.
Esatto, per lei Clara rappresenta la possibilità dell' "altro", di fare e di essere altro rispetto alle tradizioni consolidate. La figlia di Giovanni è una ragazza che non accetta la realtà che la vorrà a 25 anni sposata con figli e con un marito che lavora nelle cave. Nel momento in cui le si presenta Clara, il ponte esterno verso una vita diversa da quella già prestabilita, istintivamente vede in lei il riflesso di quello che vorrebbe diventare o essere, intravedendovi la possibilità di staccarsi da quel luogo che gli altri accettano invece passivamente e con rassegnazione.

Lo stesso Maurizio, uno che potrebbe essere uno scapolo d'oro e che potrebbe tranquillamente avere tutte le donne del luogo, subisce lo stesso effetto dirompente di fronte a Clara perché è abituato ad altro. Attratto dalla novità, Maurizio arriva si innamora e sposa Clara proprio perché è diversa dalle donne che lo hanno sempre circondato.



Nonostante sposi Clara, sembra però che Maurizio sia più attaccato alla sua attività di cavatore che alla famiglia.
Non è che Maurizio preferisce la cava alla sua donna. Semmai, è così che funziona. La vita per Maurizio è quella: lui non è certo uno che, sbroccando, cambia vita da un momento all'altro. La moglie fa parte di un percorso: lì tutti hanno una moglie. Anche lui ne ha trovata una ma molto probabilmente è inadeguato a seguirla. Le donne del posto stanno a casa, aspettano il rientro del marito, si occupano della casa e della cena. I mariti, invece, hanno una vita a sé stante. C'è proprio il clan maschile e lo si vede anche da come si siedono a tavola: da un lato tutte le donne e dall'altro tutti gli uomini.

E siamo al nord, in Toscana, dove uno si aspetterebbe invece un modo diverso di trattar le donne o maggiore emancipazione. Nel ripetere lo stesso modello appartenuto ai padri o ai nonni, i ruoli sono ancora tutti molto marcati: le donne non entrano in cava, per esempio. La cava per loro è zona off limits, da uomini, dove vige la legge della cava, con codici e regole prettamente maschili. Pur amando Clara, Maurizio è prima di tutto un cavatore e non si rende conto della "diversità" della sua donna, estranea totalmente all'imprinting da lui ricevuto.



Maurizio riesce invece a percepire l'avvicinamento di Clara a Giovanni, suo miglior amico? E, se ci riesce, come lo vive?
La bellezza di questo film è che non dà spiegazioni, non ti sta narrando il fatto di cronaca. Toni lascia aperte varie possibilità.
In alcune scene, come succede nella vita, è lo stesso Maurizio che spinge in un certo modo Giovanni ad avvicinarsi a Clara ma lo fa senza pensare a possibili conseguenze. Giovanni è come se fosse suo fratello, Maurizio non penserebbe mai che "suo fratello"  possa mettere gli occhi sulla sua donna. Non si pone nemmeno il problema della gelosia, la loro amicizia - e questo è uno dei punti di forza del film - va al di là di ogni pensiero torbido. 

È chiaro che anche Giovanni però rimane affascinato dalla "diversità" di Clara ma non si capisce mai se effettivamente Clara e Giovanni abbiano avuto una storia, non c'è nessun elemento che possa far pensare o confermare il "tradimento". Maurizio, quando scopre che Clara ha un altro (è lei che glielo dice), non affronta Giovanni come se fosse lui l'altro ma lo affronta come se lui sapesse chi è l'altro e non volesse rivelarglielo.

Non è la classica resa dei conti tra il marito e l'amico che è andato con sua moglie: questa è una delle peculiarità del film, uno degli elementi che lo differenziano dalla classica storia di tradimenti, mariti e amici/amanti. Non è così semplice. Anche nell'epilogo, durante la battuta di caccia, le scelte di regia sono state interessanti: capiamo come vadano le cose ma potrebbe essere qualsiasi cosa, lasciando immaginare come si sia svolto il confronto tra Maurizio e Giovanni. Così come non vengono mai palesate le ragioni che spingono Giovanni al suicidio, permettendo varie interpretazioni. È un finale destabilizzante perché non hai la certezza matematica di ciò che avviene: lo spettatore si fa un percorso ma quel percorso non viene avvalorato ma solo suggerito, conservando un alone misterioso e aperto.



Durante la realizzazione del film, voi attori vi siete attenuti fedelmente alla sceneggiatura o avete avuto la possibilità di portare del vostro nei personaggi?
Toni arriva la mattina sul set, dopo aver parlato del film e della storia la sera prima a cena, con idee totalmente diverse su quello che si andrà a girare. All'inizio, è destabilizzante per un attore abituato a lavorare con sceneggiature spesso abbastanza rigide. Per L'innocenza di Clara le battute sono state cambiate di volta in volta per creare la situazione più giusta.

Questo mi ha permesso di scoprire anche una mia caratteristica "nascosta": dato il tema di una scena, ho scoperto la capacità di improvvisare. Durante l'ora di prove che si faceva prima di cominciare con le riprese, venivano fuori suggerimenti, tagli di battuta e sconvolgimenti della scena utili a ottenere il risultato che Toni voleva. Un lavoro molto diverso da quallo che si fa quando si ha una sceneggiatura rigida, per cui ti devi preoccupare di cambiare un aggettivo, di eliminare una pausa o di rimetterla. Tutto questo non è successo: c'è stata una riscrittura in progress della sceneggiatura, pur tenendo fermi i punti cardine della storia. Per cui, grande coinvolgimento e fatica di quella bella: poter intervenire dà anche una grande soddisfazione.

Sono sempre stato abituato a lavorare in modo tradizionale, soprattutto nelle fiction televisive che - per via di paletti vincolanti che spesso vengono da scelte di produzione o direttoriali, da sceneggiature che non possono essere toccate per motivi morali, religiosi o politici - ti portano a eseguire il tuo compito in maniera limitata. In un contesto del genere, dove l'apporto di ogni persona coinvolta in una scena è utile, io ho potuto portare Alberto Gimignani nel personaggio di Maurizio. Proprio per questo, quando ho visto il film ultimato, sono rimasto molto contento della credibilità raggiunta e di aver messo a disposizione del personaggio le mie caratteristiche personali, quelle che tiro fuori in certe situazioni.

Noi attori siamo vittime di una concezione molto accademica della recitazione. Tranne le nuove generazioni che puntano più sul naturalismo istintivo, a noi della vecchia scuola è stato insegnato di "fare bello un qualche cosa". Questo "bello" però è abbastanza finto e per ottenerlo non ci si preoccupa di tirar fuori l'anima o il proprio carattere, di creare delle sfumature che lo rendano quotidiano o vero. Per molti anni, anch'io ho inseguito l'applicazione del metodo ma da un po' ho deciso di cambiare, il mio lavoro stava diventando purtroppo noioso. Accettando di fare lavori come L'innocenza di Clara, ho invece la possibilità di mettere al servizio dei film Alberto Gimignani con tutte le sue sfumature. Mi sono sentito molto libero.



Questa tua consapevolezza sul mestiere di attore si riflette inevitabilmente sulle scelte fatte ultimamente. Il tuo precedente film arrivato in sala è stato ad esempio Passannante.
Si, come ti dicevo, capita da qualche anno di fare delle scelte ponderate. Quattro anni fa, dal momento in cui ho capito che mi annoiavo a far sempre le stesse cose e trovavo il mio lavoro monotono e ripetitivo, ho cominciato ad aprirmi a registi esordienti e a film a basso budget, riscoprendo tutta una serie di cose che poi mi porto dietro quando vado a fare i lavori più convenzionali.



Come definiresti il tuo lavoro?
Questo mestiere ormai mi accompagna da 25 anni ed è lo specchio di quello che sono stato io nel corso del tempo. è come una documentazione visiva della mia vita: quando vedo i primi lavori realizzati, sorrido nell'osservare l'ingenuità o gli errori ma noto anche una spontaneità che poi, di fronte alle occasioni che si presentano, uno perde.

Il lavoro di attore è come una vita parallela in movimento che ti arricchisce e ti accompagna sempre: rimani un attore 24 ore su 24, cercando di mettere al servizio della quotidianità ciò che hai imparato. Cerchi di sviscerare pensieri ed emozioni, di capire gli altri dal movimento degli occhi, dalle intonazioni o dalle pause, di analizzare significati e significanti. Per me, che sono sempre stato appassionato di questi aspetti, è un gran privilegio ed un piacere essere un attore ed entrare in contatto con i vari aspetti della natura dell'uomo. E, andando avanti, hai più strumenti per potertici confrontare in modo più rilassato e partecipe, più semplice, con risultati secondo me più soddisfacenti.

A cinquant'anni, mi piace aver potuto fare delle cose diverse rispetto a quelle a cui ero abituato in passato. Con meno soldi in banca ma con il piacere di invitare un amico e dirgli "vieni, ti faccio vedere che cos'ho fatto" e sentirsi dopo dire cose che vanno in sintonia con lo spirito del tuo lavoro.



Ti è mai capitato di non riuscirti a scrollare un personaggio di dosso?
Mi è capitato più da piccolo che da grande. La maturità ti porta ad interagire con il personaggio non sul piano dello sforzo e dell'immedesimazione laboriosa ma in maniera naturale. Io porto degli aspetti di me nei personaggi con una mutua reciprocità: il personaggio viene a me e io vado verso il personaggio.

C'è un punto di mezzo che io ritengo indispensabile per ogni attore per arrivare al pubblico. Questo punto non è mai la troppa immedesimazione né il troppo artificio o il troppo esser naturale. Bisogna trovare un buon equilibrio e questo è ciò che paga. Ecco perché suggerisco ai giovani attori, troppo impegnati a ricordare le battute, di non preoccuparsene e di portare loro stessi al personaggio, restituendo qualcosa di autentico e non costruito. Penso che ad esempio nelle scuole di recitazione si dovrebbe valorizzare la personalità di ogni ragazzo e da lì cominciare a lavorare.



Come ti sei trovato a lavorare sul set di L'innocenza di Clara con Chiara Conti e Luca Lionello?
Pur essendo due attori totalmente differenti tra loro, mi sono trovato a lavorare in modo stupendo con entrambi. Chiara è la compagna di lavoro che tutti gli attori vorrebbero avere: cameratesca, si impegna tantissimo, si dedica con tutta se stessa al film e non lo fa  "con la mano sinistra". Ha tutta una serie di motivazioni sue ma le vive nel divertimento e nella leggerezza più assolute. è un'attrice a cui piace fare questo lavoro, è una fiorentinaccia come me e siamo diventati molto amici. Abbiamo instaurato un bel rapporto di amicizia, tranquillo e non di facciata: ricordo che sul set non ci sono mai stati battibecchi o disaccordi su una scena. Chiara, poi, è eccezionale: abbiamo lavorato con una produzione a basso budget e Chiara non si è mai lamentata di nulla.
Luca, invece, ha una concezione diversa del lavoro. Tra di noi c'era una sana competizione: il suo modo di approcciare il personaggio mi ha dato uno stimolo fortissimo per cercare soluzioni che potessero essere all'altezza della situazione e che tirassero su il livello della recitazione, dalle scene più semplici a quelle più complicate. Con grande stima l'uno dell'altro, ci trovavamo a dare il massimo per complimentarci a vicenda alla fine di ogni scena.

 

La scena più difficile da girare?
Scene difficili non ce ne sono state. Ce ne sono però di molto appassionanti, come quella in cui avviene la richiesta di chiarimento di Maurizio a Giovanni. Abbiamo girato in posti abbastanza scomodi, eravamo su un mezzo altopiano vicino a L'Aquila, in mezzo ai boschi. Le scene di caccia, con le corse, i fucili, i cani... Io sono una macchina da guerra e mi sembrava tutto facile ma come scene quelle potevano essere faticose: si trattava di correre per i boschi, camminare velocemente, andare sù e giù per i dirupi per cui era facile stancarsi.



A cosa stai lavorando adesso?
Al momento, non sto facendo niente. Ho appena finito una serie per Raiuno, Rosso San Valentino diretta da Fabrizio Costa, e poi ho fatto una serie televisiva in Francia, due puntate speciali che andranno su France 2 a settembre.

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