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Café Transit

Regia di Kambuzia Partovi vedi scheda film

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La recensione su Café Transit

di OGM
8 stelle

Kambuzia Partovi è il maestro di Bahman Ghobadi, ed è amico e collaboratore di Jafar Panahi. È stato proprio quest’ultimo - per il quale Partovi aveva scritto la sceneggiatura de Il cerchio – a curare il montaggio di questo film. La protagonista è di nuovo lei, l’attrice persiana Fereshteh Sadre Orafaiy, che, ancora una volta, interpreta il ruolo di una donna sola, in conflitto con la società iraniana dell’era post-khomeinista. Reynah, che ha due bambine, è da poco rimasta vedova. Secondo la tradizione, di lei e delle sue figlie dovrebbe occuparsi Nasser, il fratello maggiore del suo defunto marito. L’uomo è sposato ed è già padre, ma insiste per averla come seconda moglie. La vuole ospitare stabilmente nella propria casa, che sta ampliando appositamente per quello scopo. Ma la donna non ne vuole sapere. Ciò che, agli occhi di lui, sarebbe indispensabile per salvaguardare l’onore della famiglia, per lei è fortemente lesivo della sua dignità. Pur di non soggiacere ad un’imposizione tanto umiliante, è disposta a farsi carico autonomamente del mantenimento di sé e delle due figlie, mettendosi a lavorare come cuoca, nel ristorante di cui era titolare suo marito. Lei stessa prende l’iniziativa: riapre il locale, lo rimette a nuovo e, con l’aiuto del cameriere Oyuan, fa ripartire l’attività. Nasser cerca in tutti i modi di opporsi ai suoi piani che, oltre a macchiare la sua reputazione, interferiscono con i suoi affari: egli stesso, infatti, è proprietario di una trattoria che si trova poco distante, e alla quale Reynah, che in cucina è davvero brava, sta rubando molti clienti. Questo film è una storia di guerra: quella combattuta tra una mentalità patriarcale e retrograda e la spinta dell’emancipazione femminile. Il canovaccio è collaudato, ma l’aspetto interessante è la particolare scelta della prospettiva. L’obiettivo è quasi sempre centrato sull’intero del locale, o sul cortile dell’abitazione di Reynah, che, per lei, sono gli avamposti della battaglia: sono  parte del suo territorio, però sono pericolosamente affacciati sul mondo esterno, tanto da trasformarsi nei luoghi – simbolici ed effettivi – della sua strenua resistenza. Reynah continua a lavorare e a vivere nel suo appartamento, a dispetto di quello che pensa la gente che la vede, che le passa accanto, che la viene a trovare.  A volte si nasconde, per prudenza o per pudore, ma non molla mai la presa. Per lei, sopravvivere significa mantenere la posizione: un posto in cui abitare e uno in cui guadagnarsi il pane, entrambi gestiti da lei, secondo quando dettato dalla sua coscienza. La sua lotta è una ripetizione di gesti quotidiani: l’invariabilità della routine può essere utile a ribadire un concetto, quando, a fronte della generale ottusità, le argomentazioni razionali non sono sufficienti a sostenerlo. Reynah vuole continuare a dimostrare con i fatti che la morte del marito non può modificare i confini della sua proprietà, né quelli della sua facoltà – intesa sia come capacità, sia come diritto – di disporre della sua persona.  All’inflessibilità di Nasser, Reynah risponde con altrettanto rigore: i due avversari si fronteggiano restando immobili, ognuno saldamente attaccato alla propria postazione, mentre, in mezzo a loro, un gran mare di gente viene e va. Sono i clienti del locale di Reynah, per lo più camionisti e turisti stranieri, che raccontano di fughe, di vagabondaggi, di viaggi alla ricerca della pace e dell’amore. È un movimento senza regole  a cui Nasser e Reynah rimangono estranei: nessuno dei due recede, e nessuno dei due se ne va. Per Reynah sarebbe facile mettere fine al suo dramma accettando la proposta di Zachario, l’uomo che viene dalla Grecia e le ha dichiarato il suo amore: e invece gli dice di no e resta. E Nasser, da parte sua, è ben intenzionato ad andare fino in fondo nei suoi propositi ostili, anche a costo di ridurre la donna alla fame. Torto e ragione agiscono con la stessa forza, in un universo che è davvero spaccato in due: antichità e modernità sono roccaforti ugualmente imponenti e robuste, e separate da un profondo fossato. Ognuna delle due può vincere anche così: impedendo all’altra di oltrepassare il limite e venirla a conquistare.

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