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The Betrayal

Regia di Tokuzô Tanaka vedi scheda film

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La recensione su The Betrayal

di OGM
8 stelle

Il cinema giapponese è spesso fatto di storie in cammino. Di battaglie solitarie di individui imprigionati in una condizione sospesa, nell’attesa di poter riconquistare la dignità perduta. Il ronin è l’(anti)eroe romantico, che dice addio ai propri privilegi di casta per  intraprendere un avventuroso viaggio senza meta, alla scoperta della libertà di pensiero e del dolore del mondo. Kosube Takuma è un samurai, costretto all’esilio da un patto di sangue. È il capro espiatorio che deve salvare il buon nome della sua famiglia, e preservare quest’ultima dalla vendetta di un potente clan rivale. Una sorte avversa, unita ad un complotto ordito contro di lui dai suoi stessi parenti, vuole che il suo allontanamento, che, secondo gli accordi, doveva essere soltanto temporaneo e concludersi con la sua piena riabilitazione, diventi una condanna definitiva. Kosube si ritrova così senza più il suo rango, né l’amore della sua giovane moglie. Il cane sciolto è l’individuo escluso per eccellenza, che, in questo caso, non rinuncia ai propri principi morali,  continuando a praticarli con fermezza, però non ha più l’autorità per difenderli pubblicamente, né il cuore per amarli con l’entusiasmo di un tempo. Derubato, da un ladro di strada, di tutti i suoi averi, Kosube è l’uomo spogliato nel corpo, ma integro nell’anima, che, interiormente, può contare solo sulla forza del ricordo; invece, sul versante pratico, non gli rimane altro che la spada, la cui arte padroneggia con leggendaria maestria. È l’uomo che, suo malgrado, sperimenta l’esistenza sradicata dal gruppo di appartenenza: proiettato  fuori dagli schemi, dalle convenzioni, dalle consuetudini, senza posizione, famiglia e identità, è destinato ad essere un estraneo in ogni luogo. È l’essere socialmente indefinito, che non è inserito in alcuna delle categorie previste, e per questo è da tutti respinto e disprezzato. Cos’è la promessa di un samurai? Un’orrenda bugia. Cos’è l’onore di un samurai? Non esiste! Kosube, a fronte del tradimento subito, sconfessa la gloriosa tradizione di cui lui, maestro dell’arte marziale dello Jigen-ry?,  era un esponente di riconosciuto valore.  Kosube abbandona le antiche regole per cercare una nuova giustizia. La sua ribellione lo rende il fuorilegge di un western trapiantato in terra asiatica: un personaggio errante che usa la sua arma in maniera spietata, però a fin di bene, in un contesto apparentemente composto e disciplinato,  che non ha ancora capito di essere fondamentalmente selvaggio. Eppure l’evidenza è a portata di mano: ci sono le impiccagioni, le taglie sui ricercati, i combattimenti all’ultimo sangue, la legge del taglione. A ciò si aggiungono l’inciviltà determinata dalla sete di denaro, l’arretratezza culturale insita nei matrimoni combinati e nello sfruttamento delle donne, la violenza tribale delle lotte tra bande,  la complessiva crudeltà di un sistema che calpesta i più deboli, gettandoli nella disperazione ed istigandoli al suicidio.  In una realtà così brutale, la speranza è affidata alla sensibilità di una figura femminile: è la locandiera Shino, che coraggiosamente soccorre Kosube ferito e lo salva dall’arresto. Il suo tragico esempio di purezza ed altruismo coglie Kosube nel momento in cui egli si accorge di aver perso il proprio orgoglio ed essere diventato un codardo. A renderlo tale è stata la logorante esperienza di una guerra impari, la cui unica soluzione può essere l’estrema sfida di uno contro tutti, che quest’opera propone, con intensità epica, nella lunga sequenza finale. Il discorso morale, portato avanti per tutto il film con un attento dosaggio di realismo sociale e di poesia sentimentale, culmina in un impeto surreale, nello stile dei più tradizionali action movies orientali. Per il resto, lo sguardo di Tokuzô Tanaka si posa su questa vicenda con un apprezzabile equilibrio stilistico, in cui la nitidezza formale del cinema classico alla Kurosawa si coniuga con il piglio polemico della nouvelle vague nipponica. Daisatsujin orochi è un romanzo visivo, che unisce il sogno con la riflessione, il documento storico con il ritratto letterario: il disegno è sempre perfetto, non esce mai dai margini, non ha forse il profondo respiro dell’arte, ma ha l’efficacia espressiva di un illuminato compendio di idee: un’antologia sui diversi significati attribuiti al concetto di  onore, e sulle molteplici minacce a cui questo è sottoposto nella complessa realtà umana.

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