Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Fellini tra il set, i rapporti con gli attori e la troupe, e mentre si defila da alcuni giornalisti giapponesi che vogliono intervistarlo. Nessuna delusione, secondo me.
Il primo pensiero che viene è che un film caotico e in apparenza sfilacciato, con uno schema narrativo piuttosto vago, che però chissà come funziona e non annoia mai. E' uno di quei miracoli che solo i grandi sanno fare. Lo stesso si può dire dei mille dialoghi che si sentono, o dei singoli frammenti di essi, e dei bizzarri personaggi che vagano sulla scena. In questo guazzabuglio, però, il film si guarda volentieri e scorre via piacevole. A chi ama il cinema ha un motivo in più per piacere, vedendosi spesso il set cinematografico, e i modi in cui viene ricreata l'illusione e la finzione che vediamo nei film. Fellini, benché un po' scorbutico e a volte furbastro (per come si defila dalle interviste e da altri impegni che non ama) finisce per essere simpatico e per rivelare un certo senso dell'umorismo e dell'autoironia, i quali lo affrancano, secondo me, dall'autocelebrazione e dal narcisismo. Al contrario, il Mereghetti di ciò lo accusa, e stronca il film, ma non credo se lo meriti.
Un altro elemento che mi è piaciuto è la commozione e la nostalgia che trapelano inaspettatamente in certi momenti, come la rimpatriata con Mastroianni e la Eckberg, o il finale nello studio.
Si può anche aggiungere che è un altro esempio di cinema nel cinema, dove pure la vicenduola narrata (l'intervista dell'alter ego del regista) si interseca con l'intervista dei giapponesi nel presente.
PS
Condivido il rimpianto di Fellini per non aver girato una versione di “America” di Kafka. Chissà cosa ne sarebbe venuto fuori....
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