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Gang

Regia di Robert Altman vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Gang

di Marcello del Campo
10 stelle

 

È interessante notare come il cinema di “genere” (in questo caso il gangster-movie) in America ha una sua continuità, in alcuni casi viene reinterpretato in forma nostalgica del passato anche remoto (Roy Hill), in altri casi come riscoperta di storie che si aprono a nuove modalità dei fatti (Peckinpah e Scorsese), spesso altrove come operazione metalinguistica (Bogdanovich, Milius, Richard) e infine (è il caso di Altman), con un taglio che, recuperando il materiale del “genere”, lo sottopone a un‘operazione di dissoluzione e di decodificazione che mette in crisi antichi miti storici (William Cody, per esempio) e cinematografici (The Gang, Il Lungo addio)

Gang (1973) è ispirato al romanzo Thieves Like Us (titolo originale anche del film) di Edward Anderson, già portato sullo schermo da Nick Ray nel 1947, They Live by Night (La donna del bandito). Altman come Walsh muta le coordinate del “genere” spostando l’azione da uno scenario urbano a uno rurale e immettendo nella narrazione toni malinconici e crepuscolari.

Più che un remake nostalgico e affettivo (Gangster Story, Grissom Gang, ecc.), il film segna “il ritorno del fantasma del film, un aggiornamento del suo desiderio (…) che mette in scena proprio quei momenti che il film gangsteristico e di azione solitamente rimuove. Il film si sposta nel luogo in cui il segno rimane sospeso” (EnricoMagrelli).

Altman opera quindi un’addizione di tempi morti, pause, ritardi nel raccontare.

Dove il classico Walsh sottraeva elementi del banale quotidiano per dare forza alla narrazione e al ritmo, Altman organizza una dilazione del senso. Nello scheletro del “genere” introduce materiali anomali, brandelli di segni solitamente negati al “genere” e inutili ai fini del plot: la presenza della radio, di notiziari, di annunci pubblicitari, la Coca Cola sui cartelli stradali.

Gli eventi della mitologia del quotidiano diventano lo scenario dove agisce il fantasma, quel piacere dello spettacolo negato (cui allude Clarens nel saggio Giungle americane), dalla pressante necessità del reale.

Resta la fiction nella quale si realizza il rimosso e l’amore per un “genere” scomparso nel quale guardare la propria identità

 

 

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