Regia di Jason Reitman vedi scheda film
Quando si parla di momenti/crocevia speciali, meritevoli di essere ricordarti/scoperti sine die, è fondamentale cogliere l’attimo, quella scintilla che ha scatenato un moto innovativo. Non occorre per forza di cose ripercorrere un lungo tragitto, a volte basta – sia per necessità, sia per utilità - anche un minuscolo lasso temporale per intrappolarne e manifestarne l’essenza. Questo ricordandosi sempre che il divario tra il tripudio generale e la debacle esiziale è estremamente sottile, che sull’ago della bilancia subentrano ogni volta – obtorto collo - molteplici fattori, non tutti gestibili come si desidererebbe, tra imprevisti destabilizzanti e intuizioni fulminanti, bastoni messi tra le ruote e soluzioni apportate nei pressi dell’ultima curva.
Per omaggiare uno show qual è il Saturday Night Live, che ha riscritto - di sana pianta - le regole del gioco, Jason Reitman compie esclusivamente scelte nette e fortemente volute, racchiudendo lo svolgimento in arco temporale ristretto, nei pressi di quell’occasione unica che non si può fallire. Al di là dell’interesse che l’oggetto può suscitare, con tutti i limiti intrinsechi alle stringenti disposizioni messe in opera, Saturday night è un film pieno di attitudini stuzzicanti, appassionato e immersivo, con aneddoti degni di menzione ed elementi in grado di certificare un ulteriore valore aggiunto.
New York city, 11 ottobre 1975 ore 22.00. Mancano ormai solo novanta minuti alla messa in onda della prima puntata del Saturday Night Live e la tensione si fa sentire, soprattutto sulle spalle di Lorne Michaels (Gabriel LaBelle – The Fabelmans, American gigolo), l’ideatore dello show. Infatti, tra star capricciose e contrattempi dell’ultimo minuto, sembra tutto in procinto di precipitare, tanto che Dick Ebersol (Cooper Hoffman – Licorice pizza, Old guy), il suo supervisore, gli consiglia di rinviare l’esordio di una settimana, mentre Dave Tebet (Willem Dafoe – Van Gogh, Un sogno chiamato Florida), il responsabile della rete, non è affatto convinto del suo operato e potrebbe far saltare tutto in aria da un momento all’altro.
Sorretto dalla moglie Rosie Shuster (Rachel Sennot – Shiva baby, Bottoms), Lorne Michaels si barcamena tra frangenti negativi e novità che lo spingono a non mollare, mentre il tempo si fa sempre più tiranno e un po’ tutto sembra sul punto di andare a rotoli.
Inutile aggiungere come andranno a finire le cose.
Saturday Night (2024): scena
Diretto da Jason Reitman (Tra le nuvole, Juno), che sceneggia insieme al sodale Gil Kenan (Ember, Ghostbusters: Minaccia glaciale), Saturday night è il risultato di una prolungata ricerca, durata cinque anni, di un lavoro – in tutto e per tutto – minuzioso, che recupera i ricordi di chi c’era per poi arricchire il quadro generale con stimoli romanzati con cognizione di causa.
Nasce così un film dal piglio determinato, travolgente e fluido, che mette ordine nel caos imperante di una contingenza frenetica, nel quale l’indirizzo principale è tanto lampante quanto appropriato, anteponendo la visione d’insieme al singolo contributo, cosicché da una parte quasi tutti i personaggi vengono solo abbozzati, mentre dall’altra si respira – a pieni polmoni – lo spirito del tempo, con un corposo lavoro di squadra che dà il via a una heavy rotation dai tempi di reazione folgoranti.
Questo poiché tutto funziona all’unisono all’interno di un’agenda quantomai fitta, a cominciare dalla scelta di girare in 16mm, passando a uno sterminato incrocio di volti, delle star di ieri così come dei talenti di oggi (alcuni con un bel potenziale per il domani che verrà), per poi arrivare alla meticolosità delle scenografie allestite (Jess Gonchor - Ave, Cesare!, Piccole donne), tra un main stage conosciuto e backstage da ricreare da zero, ai dettagli dei tanti costumi presenti nella sua galleria (Danny Glicker - Milk, Tra le nuvole) e alla colonna sonora disegnata da Jon Batiste (Soul), perfettamente aderente alla situazione da presa diretta, in continua e incalzante evoluzione.
Infine, la portata evocativa è una volta di più amplificata da un cerchio magico scandito da calamite pregnanti/efficaci, con il premio fedeltà che va assegnato - a mani basse - a Cory Michael Smith (Transatlantic, Sentimental value) per la sua memorabile (re)incarnazione di Chevy Chase, mentre anche tra le seconde linee brillano alcune partecipazioni prestigiose (tra le altre, di Tracy Letts e di J.K. Simmons), questo senza dimenticare il costante impegno profuso da un agitato/partecipativo Gabriel LaBelle e altre curiosità (ad esempio, Nicholas Braun – Succession interpreta sia il surreale Andy Kauffman sia l’apprensivo Jim Henson).
Saturday Night (2024): Dylan O'Brien, Ella Hunt, Gabriel LaBelle
A conti fatti, Saturday night è un lavoro particolarmente oculato e autentico, con una messa a punto a dir poco esemplare, tale da garantirgli una presa rapida nonostante sia vergata da continui update e da sovrapposizioni perpetue. Non perde mai il passo e rimane strettamente connesso sul pezzo, per quanto corra il rischio di disorientare e di non permettere di afferrare tutto il suo ingente giacimento di primizie, tuttavia il suo irreprensibile tour de force regala un coast to coast che non lascia lo spazio per porsi troppe (inutili?) domande, azionando una specie di prelibato teletrasporto che stimola svariati effetti positivi, come quello sostanziale della nostalgia per un tempo lontano/fecondo e attualmente irripetibile/rimpianto (vedi una verve caustica che non aveva paura di andare controcorrente, colpendo direttamente il pensiero pudico/dominante).
Prorompente e coordinato, accurato e concitato, per un combinato disposto lineare/anatomico/mobile dall’alta aderenza e amalgamato come Dio comanda.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta