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Kurzschluß

Regia di Wolfgang Petersen vedi scheda film

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La recensione su Kurzschluß

di Baliverna
8 stelle

Il regista dei colossal bellici e fantasy tedeschi cominciò così, in piccolo. Ma era grande.

Wolfgang Petersen, prima di imporsi sullo scenario internazionale con pellicole spettacolari e ad alto budget (U-Boot, La storia infinita), diresse una serie di film di una prolifica serie poliziesca prodotta dalla televisione pubblica tedesca, tutti sceneggiati da Herbert Lichtenfeld. Sono pellicole che testimoniano il talento di un regista che poi rinunciò a girare ciò per cui era sicuramente tagliato ed ispirato, credo essenzialmente per ambizione di successo. Che puntualmente raggiunse. Vi è anche un documentario su di lui, che non a caso s'intitola “La mia via verso Hollywood”. Quali sono questi film, però, che gli riuscivano così bene? Polizieschi come questo: malinconici, con bravi attori ben diretti, con personaggi definiti come si deve, attenzione alle loro psicologie e i loro dilemmi morali, girati con mezzi ridotti, con sequenza con cinepresa a mano, ma anche riprese più articolate e creative. Siamo sempre nel piccolo cabotaggio, ma di sostanza non ne manca.

L'esemplare in questione (“Corto Circuito” in italiano) è un solido poliziesco-investigativo ambientato nella più anonima provincia tedesca, dove un poliziotto con famiglia sulle spalle e qualche debito qua e là subisce una fatale tentazione: appropriarsi del bottino di una rapina in banca, proprio quando l'occasione pare offrirglisi più propizia che mai. Sembra la soluzione a tutti i suoi problemi, ma, al contrario, se ne procurerà ben di maggiori. L'attore che lo interpreta (Günter Lamprecht) è molto bravo nel darci il ritratto di un uomo nella morsa, che si illude di liberarsene, ma che è entrato irrimediabilmente nel gorgo della rovina.

Questa e le altre pellicole furono sceneggiate dallo stilo tagliente di Herbert Lichtenfeld, che sapeva dar vita a storie e personaggi tutt'altro che banali, sicché regista, attore protagonista e sceneggiatore formarono per qualche tempo una specie di trio vincente.

Infatti, Klaus Schwarzkopf (il commissario) di rivelò decisamente bravo e in simbiosi con Petersen. L'attore diede vita ad un commissario umano e credibile, tutt'altro che un eroe, che divenne presto popolare: poche chiacchiere, asciutto nei modi ma non sgarbato, sagace, grande osservatore delle persone, con un fondo di bontà sotto la serietà professionale e l'ostinazione nell'assicurare il colpevole alla giustizia. Il tutto non senza un velo di tristezza sul volto, per il male che scopre e con cui è costretto ad avere a che fare.

Chissà, forse Petersen si vergogna di queste sue pellicole di gioventù, ma è proprio il caso, invece, mettergliele davanti agli occhi e di farle conoscere in Italia (in Germania circolano ancora).

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