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Le cinque stagioni

Regia di Gianni Amico vedi scheda film

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La recensione su Le cinque stagioni

di Baliverna
8 stelle

Le giornate di un gruppo di vecchi trascorrono tutte uguali tra chiacchiere, osteria, rivalità, assemblee, solenni propositi e miseri risultati.

Il film rappresenta efficacemente la vita quodidiana di un gruppo di anziani in un ospizio (termine desueto nell'era dell'eufemismo) e conferisce al tutto secondo me anche una valenza metaforica che vedremo. Ha un andamento un po' lento e un tono minimalista e quotidiano. Questo modo di raccontare, però, finisce per adattarsi bene a quella che è la vita degli anziani.
I molti personaggi vivono in modo inconcludente e velleitario, perdendosi in chiacchiere e in futili occupazioni. Parlano molto, si agitano, bisticciano, fanno assemblee, imprecano, si lamentano della pensione, pensano a figli e nipoti lontani e disinteressati di loro; prendono anche solenni decisioni e concepiscono ambiziosi progetti collettivi, ma si tratta di tanto fumo per poco arrosto. Qualcuno si dà pure delle arie, ma sono solo velleità e vanità. Lo stesso progetto di costruire il presepio è svuotato di ogni senso, anche religioso.
E' una visione della terza età non troppo lusinghiera, ma bisogna dire che in molti casi corrisponda a realtà.
La sceneggiatura è molto varia e fantasiosa nel tratteggiare i caratteri e le conversazioni dei vecchietti, tra fiumi di parole inutili e piccinerie. La regia di Amico è buona, pacata ma attenta, e riesce nel difficile risultato di usare con successo il tono ironico e grottesco. Per quello che mi risulta ciò è molto raro.
Tra gli attori ci sono diversi volti, più o meno famosi, del cinema italiano dei tempi che furono. Tra gli altri spicca un Carlo Romano che pochi conoscono come attore - dai suoi esordi negli anni '30 - ma quasi tutti come doppiatore.
Secondo me il film è da apprezzare anche perché non dice quello che ha da dire a chiare lettere e in modo didascalico, ma lo lascia filtrare delicatamente dai discorsi e dalle situazioni. A questo proposito, nel quadretto a me sembra di vedere una metafora dei sindacati operai negli anni '70: fanno proclami, usano la retorica, si agitano; però sono inconcludenti e divisi tra loro. Quando qualcuno s'impunta, e per questo si sente fiero di sé e importante, è ancora peggio. E' una critica che sembra provenire da sinistra.
E' un'opera originale, delicatamente pessimista, che ci avvolge piano piano e ci fa partecipare. Inutile dire che non c'è nessun paragone, sia quanto a regia che sceneggiatura, con il profluvio di fiction fatte con lo stampino che passano sui teleschermi della Rai di oggi, senza lasciare traccia. PS: la versione integrale che credo di aver visto io consta di 2 puntate per un totale di 2 ore e due minuti.

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