Ci sono serie che si accontentano di intrattenere e altre scelgono di affrontare il presente, anche quando brucia ancora: Kabul, in onda su Rai 3 dal 12 settembre, fa parte di queste ultime. Prodotta dall’Alleanza Europeae creata da Olivier Demangel e Thomas Finkielkraut, questa miniserie in sei episodi da 52 minuti affronta un evento storico reale: la caduta di Kabul il 15 agosto 2021, durante il ritiro delle truppe americane. In un momento in cui il mondo osservava da lontano, Kabul si cala nel cuore del disastro, restituendo alla tragedia collettiva un volto umano.

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Gianmarco Saurino nella serie di Rai 3 'Kabul'.

Un racconto costruito sulla realtà

Ambientata nei giorni convulsi che hanno segnato il ritorno dei talebani nella capitale afghana, la serie di Rai 3 Kabul non tenta di ricostruire i fatti in modo didascalico. È una fiction, ma saldamente ancorata alla realtà. Il lavoro di documentazione degli autori è imponente: articoli, immagini dai social, libri, testimonianze dirette. Ne emerge un racconto che ha la precisione del reportage e l’urgenza della narrazione. Kabul è un’opera corale e stratificata, che alterna i punti di vista di afghani e occidentali, militari e civili, giovani e adulti, vittime e complici, senza mai semplificare.


Al centro della serie c’è la famiglia Nazany, simbolo di tutte le vite costrette all’esilio. Amina, giovane studentessa di medicina; Zahara, madre e procuratrice della corte di Kabul; Fazal, militare; Baqir, intellettuale e marito. Non sono comparse nella grande storia, ma suoi protagonisti. Le loro scelte – restare, scappare, resistere, nascondersi – mettono a nudo la complessità della situazione afghana meglio di qualunque discorso geopolitico.


Quello che Kabul fa con questi personaggi è restituire la dignità dell’individualità in un contesto che tende a schiacciare tutto. Il loro percorso non è lineare, ma tormentato. I loro dialoghi, i silenzi, le esitazioni, rivelano una verità: dietro ogni fuga, c’è una perdita. Dietro ogni sopravvissuto, c’è qualcuno rimasto indietro.


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L’Occidente intrappolato nel proprio fallimento

Attorno ai Nazany nella serie di Rai 3 Kabul si muove un microcosmo internazionale. Jonathan Zaccaï interpreta Gilles, un diplomatico francese stanco, imprigionato tra vincoli burocratici e coscienza morale. Thibault Evrard, nel ruolo di Erwan, è il suo contrappeso: più impulsivo, più diretto, ma altrettanto impotente. Insieme rappresentano un’Europa che non riesce più a leggere il presente.


C’è anche Martin, soldato americano interpretato da Eric Dane, volto noto di Grey’s Anatomy. Il suo sguardo disilluso racconta meglio di qualsiasi slogan il senso di una missione finita male.


Il nostro Gianmarco Saurino interpreta Giovanni, un diplomatico italiano coinvolto nelle operazioni di evacuazione durante la caduta di Kabul. Il suo personaggio si muove tra vincoli istituzionali e urgenze umane, contribuendo a rappresentare il punto di vista europeo nella gestione della crisi.


Lontani dai cliché eroici, i personaggi occidentali di Kabul mostrano l’imbarazzo, l’incapacità, e talvolta la vigliaccheria con cui le potenze straniere hanno gestito l’uscita di scena dall’Afghanistan.

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Hannah Abdoh nella serie di Rai 3 'Kabul'.

Un attentato annunciato: il punto di rottura

La tensione nella serie di Rai 3 Kabul cresce episodio dopo episodio, fino al climax inevitabile: l’attentato all’aeroporto. I creatori lo affrontano con estrema cautela. Non è solo un evento drammatico: è il punto di non ritorno, il momento in cui tutte le storie si stringono, e si spezzano. La difficoltà non è solo tecnica, ma anche morale. Raccontare qualcosa che è davvero accaduto, e che ha fatto centinaia di vittime, non è un semplice esercizio narrativo. È una responsabilità.


Per questo gli autori scelgono di non mostrare tutto. Non vediamo le immagini dei corpi attaccati agli aerei in partenza, diventate virali nel 2021. Non per censura, ma per rispetto. La scelta è chiara: evitare il sensazionalismo, raccontare attraverso i volti, non attraverso i numeri.

Un progetto europeo, un racconto globale

La produzione della serie di Rai 3 Kabul è firmata dall’Alleanza Europea e riunisce Francia, Belgio, Germania, Italia e Grecia. Il cast è altrettanto internazionale: attori e attrici provenienti da tutta Europa e dal Medio Oriente si muovono in un set ricreato ad Atene, dove una squadra di scenografi ha lavorato mesi per riprodurre la Kabul del 2021. Il risultato è straordinariamente credibile.


Il realismo non è solo visivo, ma emotivo. Non ci sono eroi, non ci sono risposte semplici. Ogni scelta ha un prezzo. Ogni gesto è carico di conseguenze. Questo fa di Kabul una delle serie più sincere sull’Afghanistan, proprio perché non pretende di spiegare tutto. Mostra, ascolta, osserva.

Kabul, la fiction che guarda in faccia la realtà

Kabul non è una serie da guardare distrattamente. È un’esperienza che mette a disagio, che interroga, che lascia il segno. Non offre soluzioni, ma rende visibili le domande. La sua forza sta nel mostrare come la Storia, con la “S” maiuscola, entra nelle case, spezza le famiglie, costringe a scelte impossibili.


In un panorama televisivo spesso incline alla superficialità o all’intrattenimento puro, Kabul osa affrontare la complessità del mondo con coraggio. E, soprattutto, con rispetto. Il risultato è una serie che non cerca il consenso facile, ma che merita attenzione. Perché racconta una verità che non possiamo permetterci di dimenticare.

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Redazione

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