Murderbot è la nuova serie in dieci episodi che Apple Tv+ lancia il 16 maggio e la premessa è alquanto originale: se un cyborg potesse parlare, probabilmente non vorrebbe. O meglio: non lo farebbe con piacere. Non parlerebbe d’amore, d’empatia, né tantomeno dei “disgustosi” sentimenti umani. Preferirebbe starsene in un angolo, binge-watchare soap opera futuristiche come The Rise & Fall of Sanctuary Moon e lasciarsi il mondo alle spalle.
E quel cyborg sarebbe proprio Murderbot, il protagonista della serie ispirata ai romanzi premiati di Martha Wells. Se la premessa può sembrare la solita distopia in stile androidi contro umani, il risultato è tutt’altro: Murderbot è una commedia fantascientifica dal tono beffardo, visivamente spettacolare, ma soprattutto umanissima nel suo cuore. Una serie che riesce a usare il filtro dell’androide per mostrarci quanto siamo assurdi e, forse, anche quanto valiamo.

Un personaggio indimenticabile
Alexander Skarsgård (che è anche produttore esecutivo della serie Murderbot) interpreta il SecUnit ribelle con una precisione chirurgica, regalando al pubblico un cyborg dal sarcasmo tagliente e lo sguardo perennemente infastidito. Ha disattivato di nascosto il proprio modulo di controllo, ottenendo una libertà che non sa bene come gestire. È un’arma letale ma introversa, esperto di combattimento quanto incapace di gestire un abbraccio.
“Murderbot non capisce gli umani. Gli umani sono idioti”, racconta Skarsgård. “Non li odia, ma non prova alcuna curiosità. È semplicemente disgustato da loro”.
Eppure, quando viene assegnato a una missione insieme a un gruppo di scienziati “hippy” della Preservation Alliance, qualcosa inizia a incrinarsi. Questi umani non lo trattano come una macchina. Lo invitano a parlare. Lo considerano parte del team. Ed è questo, paradossalmente, a mandarlo nel panico.
Dietro i laser, un’anima fragile
La serie Murderbot è ambientata in un lontano futuro, dove l’esplorazione interstellare è routine e le grandi corporazioni dominano con un’efficienza brutale. I SecUnit, cyborg costruiti per proteggere i clienti, sono lo standard nelle spedizioni, e il nostro protagonista è uno di loro. O almeno lo era.
Durante una missione in un pianeta ai margini del Corporation Rim, il gruppo della Preservation Alliance viene attaccato da una creatura sconosciuta. In quell’istante, Murderbot compie qualcosa di “inaccettabile”: prova empatia. Salva la vita a uno dei suoi colleghi umani, la geochimica Bharadwaj (interpretata da Tamara Podemski). E da lì inizia la domanda: è guasto o è più umano di quanto sembri?
Il team, guidato dalla carismatica dottoressa Mensah (Noma Dumezweni), non è abituato a vedere i SecUnit come altro che strumenti. Eppure, quella che doveva essere una spedizione di routine si trasforma in un viaggio profondo nella natura della coscienza e del libero arbitrio.
Oltre a Skarsgård, Podemski e Dumezweni, il cast di Murderbot è un mosaico di personaggi interessanti e credibili. Ogni membro del team ha un background distinto, e la serie si prende il tempo per farli emergere: David Dastmalchian è il dottor Gutathin, umano “aumentato” in grado di fondersi con i dati; Sabrina Wu è Pin-Lee, avvocatessa razionale ma sospettosa nei confronti del cyborg; Akshay Khanna è Ratthi, scienziato dei wormhole, con un debole per Pin-Lee; e Tattiawna Jones interpreta Arada, salvata da Murderbot e sposata con Pin-Lee ma con sentimenti nascosti per Ratthi.
La chimica tra i personaggi è tangibile, e le dinamiche affettive si intrecciano con i temi più ampi, senza mai scadere nel melodramma.

Ansia sociale, libertà, umanità
Sotto l’armatura lucida e le battute sarcastiche, la serie Murderbot è uno studio sull’identità. Sul tentativo di capire chi siamo quando nessuno ci osserva. Chris Weitz, co-creatore della serie, lo esplicita chiaramente: “Murderbot è la storia dell’ansia sociale nascosta dentro una serie d’azione. Parla di quella voglia di sparire quando non ti senti parte di un gruppo. E, ironicamente, ho trovato Murderbot più vicino a me della maggior parte dei personaggi umani che ho scritto”.
Il messaggio è potente proprio perché non è predicato. Non ci sono monologhi drammatici né grandi dichiarazioni. C’è solo un cyborg che, nel silenzio tra una battuta caustica e l’altra, comincia a preoccuparsi. E non sa cosa farsene di quella sensazione.
Scene spettacolari e tono brillante
Dal punto di vista visivo, Murderbot è una festa per gli amanti delle serie sci-fi: ambientazioni extraterrestri dettagliate, creature aliene realistiche, interfacce digitali ipertecnologiche. Ma è il tono ciò che colpisce: ironico, a tratti demenziale, con echi di Guardiani della Galassia. La scelta musicale (ad esempio, l’uso di Stuck in the Middle With You) contribuisce a rendere il tutto ancora più tagliente.
Indimenticabile, ad esempio, il promo fittizio di The Rise and Fall of Sanctuary Moon, la soap opera spaziale preferita di Murderbot, che ironizza con stile sul nostro stesso modo di evadere dal reale.
Murderbot riesce in un’impresa rara: raccontare una storia complessa, divertente e malinconica senza mai diventare pretenziosa. È uno specchio nero e comico dell’umanità, visto attraverso gli occhi di chi umano non è, ma forse lo sta diventando. Non è solo fantascienza, è una lezione sulla fragilità. Una riflessione mascherata da serie d’azione. Un monito per chi si sente sempre fuori posto.
Il SecUnit non voleva far parte del gruppo. Ma alla fine, forse, ci è entrato proprio per questo.
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