Espandi menu
cerca
Dov'è finita la magia?
di End User
post
creato il

L'autore

End User

End User

Iscritto dal 16 giugno 2008 Vai al suo profilo
  • Seguaci 202
  • Post 271
  • Recensioni 2
  • Playlist 8
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

Com'è stato giustamente notato nel post sulla programmazione streaming della settimana scorsa, il cinema è scomparso dai media. Privato dell'appuntamento settimanale offerto dagli incassi del box office, dei programmi in cartellone e delle passerelle più o meno glamour dei festival fisici, Monsieur Cinema si è eclissato dai radar dei media come un mago d'altri tempi, come un perfetto Harry Houdini incatenato in una gabbia di cristallo immersa nelle acque dell'East River. Non stiamo parlando dei prodotti ovviamente: i film ormai trovano (quasi) sempre la strada verso i consumatori, al massimo ci sarà da capire la loro redditività e il loro reale appeal una volta smaltito il magazzino che continua ad arrivare senza sosta sugli scaffali delle piattaforme.

Ad essere sparita è l'essenza del cinema, un non prodotto che non si consuma, dal quale, al massimo, si viene consumati. Quella che si esprime al suo massimo potenziale all'interno di appositi spazi oscuri, in compagnia di sconosciuti che si ritrovano nello stesso luogo, alla stessa ora, per sperimentare quell'abbandono, quel lasciarsi cadere, nei rivoli di una storia. Staccati dal mondo, dai telefoni, dagli orari, dal sempre connessi. Vedere un film al cinema mi sembra oggi un gesto rivoluzionario compiuto da chi per due ore decide di non esserci, di non essere, di starsene fuori copertura.

Quindi il grande illusionista dov'è? Sta lottando con le catene per liberarsi ed evadere dalla gabbia di cristallo? Riemergerà dalle acque? È morto? Vediamo.

Sulla sua riapparizione gravano tre ordini di problemi, il primo di matrice evoluzionistica, il secondo legato alla contingenza, il terzo profondamente dipendente da decisioni strategiche, politiche e istituzionali.

Che il cinema in sala sia scivolato gradualmente fuori dalla pole position delle preferenze degli spettatori è evidente fin dall'arrivo della televisione. Ciò nonostante ha anche dimostrato di saper sopravvivere, svolgendo sempre un ruolo fondamentale nella filiera dell'industria audiovisiva riuscendo a resistere in maniera onorevole all'avvento dell'homevideo su videocassetta, a quello più insidioso (a causa della sua replicabilità digitale) su Dvd e tutto sommato anche all'arrivo dello streaming, fino all'anno scorso. Quando infatti si innesta, nel flusso darwiniano della sua evoluzione, la contingenza della pandemia.

La condizione di clausura forzata alla quale il mondo è stato sottoposto non ha avuto ripercussioni solo sulla impossibilità fisica di frequentare le sale e quindi di sostenere quel pezzo di filiera. Ha avuto anche pesantissime conseguenze sulla capacità dello spettatore di consumare determinati tipi di storie. La riduzione degli spazi vitali, l'impossibilità di uscire e di socializzare ha inciso sulla predisposizione dello spettatore a sperimentare quel lasciarsi cadere, quell'abbandono all'ignoto che ogni singolo film rappresenta. Per far fronte, o semplicemente sopravvivere, ad un mondo che si è rivelato improvvisamente ostile e complicato, abbiamo tutti reagito estendendo la nostra comfort zone. Il che significa, su larga scala, avere aderito con maggiore entusiasmo al formato delle serie tv, costruito per definizione sulla strutturazione di micromondi in cui i personaggi che li animano diventano parte del nostro perimetro, della nostra zona franca, sicura, confortevole. Se un film rappresenta quasi sempre un nuovo mondo, abitato da personaggi sconosciuti, guidati da oscure motivazioni, in cui il colpo di scena è potenzialmente sempre in agguato, la serie tv diventa parte di una rassicurante routine, estensione della famiglia, in sostanza "casa".
Incidentalmente, o forse no, la struttura a stagioni composte da episodi, introduce perfettamente il tema sovrastante, quello strategico.

Le nuove economie digitali, legate alle grandi imprese che dominano il mercato e il nostro quotidiano, si basano quasi completamente sul concetto di feedback. Amazon non sarebbe quella che è senza i feedback, la fiducia e l'adesione del consumatore finale, Facebook e Instagram non starebbero in piedi se non metabolizzassero - e utilizzassero al fine di vendere annunci pubblicitari ritagliati ad hoc per promuovere altre imprese digitali - i nostri comportamenti, il tempo che impieghiamo a scorrere i nostri feed, quanto il nostro occhio si sofferma su ogni singolo post, su cosa davvero clicchiamo per approfondire. Google... Ok, niente scherzavo, Google semplicemente sa tutto, usa tutto, Google è Dio. Ovviamente anche Netflix e tutte le piattaforme, chi in maniera più strutturata, chi meno, si nutrono dei nostri feedback sia per ritagliare l'offerta su misura (spesso con discutibile successo), sia per decidere dove puntare a livello produttivo e industriale. Inoltre, il corso di una serie televisiva, la successiva stagione, si può cambiare sulla base dei dati che provengono dai player degli spettatori. Produrre un film, invece (salvo remake, reboot e franchise), è un salto nel vuoto, anche per loro.

Infine, e questa è la parte più oscura e controversa che viene analizzata da Naomi Klein nel suo ultimo saggio Screen New Deal pubblicato nel corso dello scorso anno, tutti gli sforzi delle istituzioni e della politica e la piena maggioranza delle risorse finanziarie, sono indirizzate verso l'affermazione di un nuovo paradigma che prevede un sistematico controllo della popolazione nel nome di obiettivi comuni inattaccabili come garantire la salute in frangenti di emergenza, sviluppare l'istruzione (a distanza) e possibilmente far muovere meno gente possibile - o almeno sapere dove va e a che ora se non perché - nel pieno rispetto di una più elevata sostenibilità ambientale. La quasi totalità dei soldi che sono stati stanziati, infatti, per rimettere in moto le economie europee e Usa punta sulla riqualificazione delle industrie, dei servizi, degli spazi urbani, del turismo, della logistica e dei trasporti nell'ottica della sostenibilità. Orientamento ampiamente condivisibile, ovviamente, peccato che le infrastrutture tecnologiche fondamentali perché queste riqualificazioni possano essere messe in atto si basano al 99% sulla piena collaborazione tra le istituzioni e questi nuovi colossi digitali, ovviamente salvaguardando i loro profitti e anzi persino investendo capitale pubblico per le applicazioni collaterali delle loro tecnologie. Quindi se qualcuno di noi ha pensato che quello di prima del 2020 assomigliasse ad uno scenario orwelliano, quello che si profila nel nostro immediato futuro è decisamente oltre.

Quindi? Il grande illusionista, Monsieur Cinema, il prestigiatore in frac, il mitico Harry Houdini, sopravviverà o no?

Facendo delle ricerche ho scoperto una bellissima storia che si annida tra le pieghe del legame tra la magia e il cinema. Il mio testimonial di questa settimana, Harry Houdini, non si chiamava affatto così. Si era ispirato per la creazione dello pseudonimo al francese Jean Eugène Robert-Houdin, il primo mago che decise di spostare, e così facendo nobilitare, la pratica della magia dal circo al teatro. Per mettere alla prova la propria visione Robert-Houdin acquistò un piccolo teatro parigino, si infilò un elegante frac e propose le sue performance ad un pubblico completamente diverso, più borghese, più ricco, più sofisticato rispetto a quello che frequentava i circhi. Alla sua morte, avvenuta nel 1871, la moglie si ritrovò con il teatro e non sapeva davvero cosa farci, così lo mise in vendita e alla fine lo vendette al migliore offerente. Quell'offerente era Georges Méliès, illusionista anch'esso ma soprattutto uno dei padri fondatori e sperimentatori del cinema. Méliès in quel teatro mise alla prova la sua arte e lo utilizzò per mostrare le sue creazioni al pubblico, tra queste anche quello che è considerato un po' il primo film di fantascienza: Le Voyage dans la Lune. Dopo alterne vicende, il teatro venne demolito, insieme ad altri edifici, per fare spazio all'attuale Boulevard Haussmann, una delle vie più commerciali di Parigi, sede di importanti negozi e grandi magazzini ma anche la via in cui abitò Marcel Proust, che lì scrisse Alla ricerca del tempo perduto, la sua opera più nota.

Il cinema ha già dimostrato, nel corso della sua esistenza di avere tante vite e risorse, quindi forse la domanda non è più tanto se il prestigiatore Monsier Cinema è vivo o morto, ma se gli spettatori sono ancora capaci di affidarsi alla magia, se c'è ancora spazio per il buio, per la caduta, per l'abbandono, per l'ignoto. Anche se molto dipenderà da chi comprerà quel famigerato teatro, ossia, nella versione contemporanea di questa storia, tutte le sale cinematografiche che sono finite in vendita in questo ultimo anno: aspettiamo un nuovo Georges Méliès? Christopher Nolan, sei tu?

Buoni propositi, teorie balzane, precisazioni, idee alternative?

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati