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Sicilia Queer Film Fest 2018 - Day 2
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Dopo il giorno dell'apertura, con La strada dei Samouni di Stefano Savona recensito qui, si è entrati nel vivo del festival con i tre lungometraggi e gli 8 corti del dì 1 giugno 2018.

Si comincia alle 16 con El Silencio es un cuerpo que cae di Agustina Comedi.

 

scena

El silencio es un cuerpo que cae (2017): scena

 

Un'indagine di montaggio found footage sulla vita del padre della regista, omosessuale che però ha condotto una vita borghese di facciata per motivi socialmente prevedibili eppure misteriosi, legati ad alcune scelte e ad altre delusioni di vita. Agustina Comedi racconta un'Argentina che vive fuori dai riflettori, fatta di movida e voglia ribelle, ma che sembra allo stesso tempo stringere i suoi abitanti in una trappola sociale dai connotati normalizzanti. Senza essere quasi mai declamatoria nell'eventuale tematica, la regista rende palpabile allo spettatore il lavoro sulla materia prima, la pellicola, con tutti i filmati reali che il padre Jaime realizzava con la sua cinepresa analogica come un amatoriale Jonas Mekas; spesso, nei momenti più commoventi, come a voler estrarre una realtà invisibile dalle riprese e dai ricordi, la Comedi riavvolge i nastri, li fa ripetere più volte, li zooma, li deforma. Lo scopo è sì, quello di cogliere qualcosa di sottinteso e di indefinito, ma anche quello di rivivere la sensazione del momento - o quella che avrebbe potuto essere la sensazione del momento, quando lei non era presente - e rifarla sua, nostra, nonostante il filtro antiquario delle riprese sgranate, nonostante la qualità non sempre adeguata delle VHS. O forse proprio grazie a quelle. Con un occhio un po' alle intimità domestiche dell'avanguardia di Stan Brakhage, e un po' alle nuove tendenze P.O.V. del contemporaneo

Voto: ***

 

La tornata di Queer Short, discretamente deludenti se non per rari casi, vantava in questa giornata 8 titoli di genere, dall'horror alla fantascienza, dall'animazione all'hard-core, dalla distopia al citazionismo. 

 

Dawn of the Deaf di Rob Savage, senza la sfrontatezza che gli sarebbe stata necessaria, realizza un piccolo esperimento troppo breve che sembra il pilot di una serie tv o semplicemente l'inizio di un lungometraggio; il rischio retorico del girl-power è dietro l'angolo, e l'accademismo della messa in scena è barboso, ma certi piccoli esperimenti sull'idea della sordità dei protagonisti e delle sue conseguenze sulla percezione spettatoriale possono divertire.

Voto: **

 

locandina

Dawn of the Deaf (2016): locandina

 

Rouge amoureuse di Laura Garcia, alla fine dei conti tra le cose migliori di questa rassegna di corti, è una marchetta un po' stilosa all'estetica di Rainer Werner Fassbinder; un approccio che ha di buono quello di prendersi il suo tempo nel contemplare i suoi soggetti e di non eccedere in un ritmo più veloce che avrebbe demolito qualsiasi tentativo autoriale. In compenso, il maledettismo gratuito nella storia del protagonista e le melense dietrologie dietro i suoi disperati gesti finali rasentano il ricattatorio.

Voto: **1/2

 

scena

Rouge amoureuse (2017): scena

 

Namoro à distancia di Carolina Markowicz, direttamente dal Tiff 2017, è uno scherzetto punkettaro esile e stralunato sparato a grande velocità in quello che sembra più che altro un teaser. All'ironia del soggetto si contrappongono tecnicismi scenici entusiasti e anche un po' seriosi.

Voto: **

 

 

Ceux qui peuvent mourir di Charlotte Cayeux è un drammino distopico dall'intento grottesco quasi lanthimosiano che guarda un po' a Equals di Drake Doremus un po' a Black Mirror, facendo prosciugare all'idea tematica qualsiasi intento estetico costruttivo.

Voto: **

 

locandina

Ceux qui peuvent mourir (2017): locandina

 

1st DAY & NEXT MINUTE di Sara Koppel è Tex Avery con l'animo Ralph Bankshi, tentativo gioioso di idealizzare con l'animazione perversioni sessuali che però hanno come scopo fondamentale il godimento come slancio vitale. Ma rimane solo l'esile provocazione.

Voto: **

 

scena

1st DAY & NEXT MINUTE (2017): scena

 

Kyo-Netsu di Yuji Mitsuhashi, finora il miglior corto proiettato, si sviluppa come un dramma familiare violento con un'estetica à la Nagisa Oshima ma con uno spirito à la Koji Wakamatsu, senza la vitalità di Shohei Imamura. Ogni notte un uomo in preda all'estasi del coito strangola la moglie, che però il giorno dopo torna sempre in vita. Apparte un'evitabile citazione letterale - semplificata - al videoclip Je suis si mince di Gaspar Noé, il film intriga il giusto finendo anche troppo presto.

Voto: ***

 

scena

Kyo-netsu (2017): scena

 

The Decision of Riley di Yue Xia non merita troppe spiegazioni. Stop-motion di basso livello e con una fantasia di raccatto che stilizza e rende innocuo l'approccio estetico di Jan Svankmajer.

Voto: *1/2

 

scena

The Decision of Riley (2017): scena

 

Just Past Noon on a Tuesday di Travis Mathews è l'incontro sessuale fra due sconosciuti, che si ritrovano a casa di un loro vecchio amante/conoscente morto per ragioni mai esplorate. Lo schematismo della narrazione non permette alcun tipo di immersione sensoriale, e il film, un po' logorroico, spreca qualsiasi idea visiva con un montaggio ordinario e un finale che dà, stavolta con un certo fascino, una curiosa chiave di lettura.

Voto: **

 

locandina

Just Past Noon on a Tuesday (2018): locandina

 

In sezione Panorama Queer, il grande ritorno di Lionel Baier dopo due anni dalla sua retrospettiva qui al festival; stavolta, in serbo per il pubblico c'è il film televisivo mostrato alla Berlinale 2018 e pensato in coppia con Journal de ma tete di Ursula Meier, ovverossia Prénom: Mathieu. Nella volontà teorica di ibridare linguaggio televisivo e linguaggio cinematografico, Baier cita Hitchcock e cerca, in un rigore un po' asfittico, di donare allo spettatore la percezione impaurita del protagonista, che cerca di esorcizzare i dubbi sulla propria sessualità ri-incontrando il suo stupratore e confrontandosi con lui. Nell'attesa di soddisfare un desiderio frustrato, e in un clima familiare che lo destabilizza terribilmente, Mathieu ritroverà poche risposte, se non nessuna, con un coraggio pessimistico che si fatica a ricordare nel cinema di Baier, seppur qui in una versione pochissimo ispirata. 

Voto: **

 

locandina

Shock Waves - First Name: Mathieu (2018): locandina

 

Per concludere in bellezza, il miglior film della giornata è quello che ormai è definibile un classico, La chatte à deux tetes di Jacques Nolot. Con un titolo che demolisce già negli intenti la seriosità di certo cinema francese (traducibile in La passera a due teste), il film di Nolot è uno scherzoso, almodovariano, pamphlet sulla malinconia della vita e sulla ripetitività senza gioia di incontri sessuali all'interno di un cinema a luci rosse. Di almodovariano c'è l'intenzione di consegnare teneramente allo spettatore la meccanicità rituale degli incontri sessuali di quelli che appaiono reietti talvolta anche ridicoli; di puramente nolot-iano c'è la particolare attenzione per lo stile recitativo dei personaggi, sempre ben connotati a partire dal più semplice primo piano, sempre ben individuabili a partire dalle loro espressioni. Senza condannare e senza sforare nel maledettismo - la qual cosa è forse il merito più alto della pellicola - Nolot cerca di togliere qualsiasi patina demonizzante da un soggetto che apparirebbe gratuitamente provocatorio nelle mani di chiunque altro, e trova una summa estetica del suo credo cinematografico nei tantissimi dolly lungo la sala a luci rosse. Quando dispone la cinepresa dietro due transessuali che parlano dei loro "affari" di fronte al film, è come se stessimo ascoltando le due persone sedute nella fila davanti a noi nello stesso cinema in cui stiamo guardando il film di Nolot; uno spirito, dunque, sottilmente nouvelle-vaguiano che smentisce un po' gli intenti dissacratori (mai crudeli, sempre in tinte di commedia), ma riconsegna allo spettatore una paradossale fiducia nella Settima Arte.

Voto: ***1/2

 

locandina

La chatte à deux têtes (2002): locandina

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