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The Help

Regia di Tate Taylor vedi scheda film

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La recensione su The Help

di ROTOTOM
4 stelle

Jackson, Mississippi. 1963. La giovane scrittrice Eugenia Skeeter, neo laureata nella libera New York torna al paesello natio e decide di scrivere un libro sulla condizione della donne nere poste al servizio delle bianche ignoranti e benestanti. Apre così uno squarcio su un mondo arcaico che blocca le viziate “missrosela” alle loro “mamy” in un  anacronistico spin off di Via col vento. Sacca di razzismo resistente nonostante i tempi della disobbedienza di Rosa Parks, dei diritti civili che cominciano ad affiorare dal fango, dei  sogni di Martin Luther King e dei Kennedy fulminati sulla via della democrazia e dell’uguaglianza. The Help è il titolo del libro sull’aiuto che le donne di colore, sfidando le ire, le botte e i licenziamenti, forniscono a Eugenia, la liquida Emma Stone dagli enormi, alieni occhioni cerulei, nel testimoniare sulla vita quotidiana scandita dai soprusi.

La storia c’è tutta, interessante e soprattutto vera. Le domestiche nere che accudiscono i figli delle bianche come madri in pectore per poi divenire proprietà degli stessi figli che se le tramandano di generazione in generazione come i mobili di casa, sono protagoniste di un dramma tutto femminile sospeso tra la tragedia esistenziale, l’ingenuo umorismo alla Happy Days e  la denuncia sociale.

Peccato che questo sia il classico esempio di film in cui il tema si fagocita una forma narrativa completamente inchinata alla rassicurante risoluzione degli eventi. Come Disney insegna, visto che distribuisce una produzione Dreamworks, garanzia di rassicurante retorica.  Razzismo color pastello, regia anonima e caratterizzazione delle personalità da favola appunto disneyana. Caratteri che hanno pochissima evoluzione e le asprezze derivate dal tema vengono mitigate dalla leggerezza della commedia. La grana grossa  scontorna la più classica delle streghe nella cattivissima Hilly ( Bryce Dallas Howard), la fatina Stone, le bizzarre comprimarie del corollario di amiche del bridge fortemente impegnate a sostenere un’ equa segregazione razziale esattamente come la regia di Tate Taylor è fortemente impegnata a rendere sempre più assurdamente antipatiche le isteriche casalinghe del sud per poi risolvere la questione con la più classica catarsi dello sputtanamento pubblico.

 Hilly mangia una merda di negra. Tutto il secondo tempo gira attorno ad una variazione scatologica di american pie che serve a sviare l’attenzione, alleggerire con grossolana partecipazione la crudeltà di una cultura che sembra essere lontana milioni di anni luce e che invece riecheggia ancora oggi. Basta una soluzione narrativa grottesca per far decantare l’asprezza della negazione dei diritti civili in una prassi scioccherella che  un innocente scherzo anni 60 riesce a esorcizzare.    

 Stereotipi, macchiette e ricatti, un triplo finale che si prende l’onere di chiudere, spiegare e informare riguardo tutti gli spunti narrativi lasciati aperti lasciando la falsa percezione del  tutto è bene ciò che finisce bene. Ma non è affatto vero. Tira spasmodicamente alla lacrima  nel tentativo di rendersi memorabile ma infastidisce e basta, questo enorme marshmallow rosa.  

Un film che si presta benissimo ad una domenica casalinga con tè danzante, due pettegolezzi e la rassicurante certezza che nulla verrà sporcato dalla cortesia dei realizzatori. Cast femminile candidato all’Oscar,  la simpatia e la bravura delle signore non si discute ma di questo film non se ne sentiva proprio il bisogno. 

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