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L'angelo ubriaco

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'angelo ubriaco

di ed wood
8 stelle

Uno degli esiti migliori del primo periodo di Kurosawa, si avvale di un'omogeneità stilistica estranea a quella del successivo (e forse migliore) "Cane randagio", a questo affine per ambientazione e tematiche. E' anche questa una storia di bassifondi, di vita sbandata, di relazioni pericolose. Anche qui, il "borghese" (in questo caso, un burbero medico con un passato turbolento) si deve necessariamente sporcare le mani con la faccia brutta, arrogante e violenta del Giappone uscito in ginocchio dalla WWII. Il canovaccio è esemplare: il medico si impunta nel voler salvare un malvivente malato di tubercolosi (rivedendo in lui la sua gioventù e affezionadovisi, non senza qualche velata sfumatura omoerotica); quest'ultimo, dopo un'iniziale diffidenza, tenterà di ripagarlo salvandolo a sua volta dalle minacce di un boss che vuole riprendersi la sua donna (oramai compagna del medico). In questo intrigo c'è tutto il crudo umanesimo di Kurosawa, senza alcuna caduta patetica: il confronto fra classi sociali, quello fra generazioni, l'amicizia virile, sprazzi di larvata misoginia, la solidarietà e il sacrificio, l'emergere necessario di un senso civico dalla barbarie e dal caos, la ricerca di un riscatto (sociale, morale o esistenziale) nel rapporto altruistico con chi è in difficoltà, lo sbando soffocato nell'alcool e nel vizio, la vita quotidiana come una lotta da affrontare a testa alta. Lo stile è classico, con punte di realismo quasi documentaristico nella rappresentazione di un ambiente dove una palude infestata (forse la stessa che avrebbe poi bonificato il Watanabe di "Vivere"!!!) fa da squallida eco all'aria viziata dei quartieri yakuza, dove regnano ricatti, paura e privilegi in ogni attività commerciale. Nella seconda parte, però, quando la psicologia del delinquente cambia, Kurosawa comincia ad incrinare la linearità del suo sguardo, inserendo inquadrature sbilenche alla Welles e connotando la narrazione di accenti espressionisti e tragici. Il pre-finale, col duello fra Mifune e il boss, è girato con una soggettiva che rompe definitamente col classicismo su cui è fondata l'opera. Dulcis in fundo, è la volta di una chiusa che più anti-retorica, irregolare, asimmetrica e spiazzante non si poteva proprio immaginare. Un Kurosawa dunque misurato, sobrio, ma sempre propenso a modificare il suo sguardo a seconda delle necessità narrative, psicologiche e sentimentali dei personaggi. Ancora una volta, una menzione speciale ai due impagabili interpreti: l'aggressivo, fascinoso, fragile Toshiro Mifune e l'ironico, scontroso, commovente Takashi Shimura.

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