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Beverly Hills Cop: Axel Foley

Regia di Mark Molloy vedi scheda film

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La recensione su Beverly Hills Cop: Axel Foley

di mck
7 stelle

“Axel Foley, cazzo: è incredibile che sia campato così tanto!”

 

La prima cosa che salta in mente assistendo a “Beverly Hills Cop: Axel F” è l’ennesima conferma che in questi quarant’anni che ci dividono dal primo capitolo del franchise (I. 1984; Martin Brest; Daniel Petrie; Bruckheimer & Simpson; II. 1987: Tony Scott; Ferguson & Scaaren; Bruckheimer & Simpson; III. 1994: John Landis; Steven E. de Souza; Neufeld & Rehme; IV. 2013: Barry Sonnenfeld; Shawn Ryan) l’indice/media/tasso della speranza di vita attiva nel (primo) mondo ha percepibilmente compiuto un sensibile balzo in avanti, anche al netto del fatto che durante le riprese del primo film Eddie Murphy aveva solo 23 anni (e proveniva già da “48 Hrs.” e “Trading Places”), e in parte li dimostrava pure: però considerate un altro fatto, ovverossia che una dozzina d’anni dopo, alla stessa età, Leonardo Di Caprio girando “Titanic” sembrava suo figlio, mentre ora Eddie Murphy sembra suo fratello (qualquadratorna non cosa).

Aperta e chiusa l’imprescindibile parentesi: no, ovviamente le prime cose che saltano e restano in mente sono Taylour Paige (Jean of the Joneses, White Boy Rick, Zola, Sharp Stick, the Toxic Avengers, Brothers), il ritrovato cast di contorno fatto di caratteristi bastardi & purosangue (Judge Reinhold, Paul Reiser, John Ashton, Bronson Pinchot) con l’azzeccata aggiunta di Joseph Gordon-Levitt e Kevin Bacon che gestiscono alla perfezione il mash-up dramedy caratterizzante la serie, le musiche ritornanti, che nel frattempo in questo terzo di secolo sono sempre state nell’aria, di Harold Faltermeyer (con Keith Forsey - “the Heat Is On” di Glenn Frey e “ShakeDown” di Bob Seger - e in a solo con la mitica “Axel F” qui riproposta in varie salse fra cui quella riarrangiata da Lorne Balfe e remixata da Ian Curnow & Phil Harding e quella utilizzata per costruirci sopra “Axel's Return” feat. Tim Cappello & SunGlasses Kid), più “Hot in the City” di Billy Idol, e il medesimo Eddie Murphy che, dopo “Dolemite Is My Name”, “Coming 2 America” e “You People” (ovvero un film “in stile”, un sequel e una comedy originale), co-producendo per Netflix con lo stesso Jerry Bruckheimer, fa centro un’altra volta.

Affidata all’australiano Mark Molloy – autore di cortometraggi, di pluripremiati nel loro settore spot pubblicitari (Apple, Nike, Virgin, Nissan, BBC) e di una serie girata in Ucraina (più che Putin c’entra un gruppo di - eterodiretti? - studenti macedoni) per Quibi (mentre la piattaforma di streaming per dispositivi mobili falliva) incentrata, in esergo all’onda lunga di “Fahrenheit 9/11”, sul condizionamento che le fake news organizzate hanno (ap)portato alle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 vinte da Trump su Clinton con 63 milioni di voti contro 66 (sì, gli ammeregani so’ pazzerelli co’ ‘a matematica) – dopo che la fiamminga coppia di registi composta da Adil El Arbi e Bilall Fallah preferì dedicarsi a “BatGirl” (film che sarà poi nel frattempo stoppato da Warner/DC quand’era oramai in piena fase di post-produzione), per poi in seguito “riuscire” a tornare sulla saga di “Bad Boys” licenziando “Ride or Die” (che culo!), la messa in scena della sceneggiatura – scritta dal bolso e scolastico Will Beall (Gangster Squad, Training Day, Aquaman, Deputy, Justice League e lo stesso - pare difficile liberarsene - “Bad Boys: Ride or Die”) partendo da un suo soggetto, provvidenzialmente affiancato però dai Tom Gormikan e Kevin Etten di “Ghosted” e “the Unbearable Weight of Massive Talent” – fa il suo dovere coadiuvata dalla fotografia di Edu Grau (A Single Man, Passing, the Room Next Door), dal montaggio di Dan Lebental (artigiano stakanovista dell’MCU) e dalle già meritoriamente menzionate musiche faltermeyeresche rivisitate da Lorne Balfe.

 

 

Poco da segnalare d’altro: ritmo efficace, bell’atmosfera e giuste risate con in più una banale, ma non ritrita, riflessione di buon senso (poco comune):
- When you said that a parent's always a parent and a child's always a child…
- Yes, the parent does bear the responsibility, but I'm an adult now, too.

Momento “Salto dello Squalo”: l’elicottero (che senza volerlo volando rasoterra si sottrae ai radar).
Momento “SlapStick”: la comparsa dell’indefessa LEGO-Cop aggrappata alla Micro-Golf-Car.

Momento See You Next WednesDay: il prologo, per l’appunto landysiano (e mooresco).

“Axel Foley, cazzo: è incredibile che sia campato così tanto!”  

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