Fire of Love racconta la storia d’amore di due scienziati francesi, Katia e Maurice Krafft, e la loro passione per i vulcani, attraverso le straordinarie immagini girate dalla coppia nel corso di vent’anni di una carriera conclusasi tragicamente con la morte di entrambi durante l’eruzione del monte Unzen in Giappone nel 1991.

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Katia e Maurice Krafft in una scena di Fire of Love (2022)


Acclamato da pubblico e critica nei festival, dal Sundance al nostro Trento Film Festival, il doc arriva nelle sale italiane il 25 agosto, dopo alcune anteprime nelle arene estive. Ho parlato con la regista Sara Dosa, cominciando dal chiederle qual è stata la scintilla del progetto. «Ho scoperto» risponde «la storia di Katia e Maurice facendo ricerche per il mio film precedente, The Seer and the Unseen, che parla di una donna islandese in contatto con gli spiriti della natura. Cercavo immagini di repertorio di vulcani islandesi e quelle girate da Katia e Maurice mi attrassero subito, riprese così da vicino erano davvero spettacolari. Ma solo iniziando a conoscere le loro personalità, la loro filosofia e la loro relazione unica, ho capito che c’era un film da fare».


La qualità delle immagini è davvero impressionante: siete intervenuti in qualche modo?
Abbiamo voluto restare il più possibile fedeli al loro materiale: movimenti come zoom e panoramiche, che hanno una giocosità che ricorda la nouvelle vague, sono tutti originali. Anche la digitalizzazione, realizzata da Image’Est, ha cercato di rispettare i valori cromatici delle loro pellicole 16 mm. Volevamo conservare la bellezza della grana con tutte le sue imperfezioni e la vita che vi resta impressa, e anche lasciare in evidenza gli scarti tra la pellicola e l’uso più tardo del video.

Il film è tanto coinvolgente anche perché evita le classiche teste parlanti: è una strategia che hai adottato fin dall’inizio?
Sì, volevo che il materiale parlasse da sé, raccontare una storia con ciò che hanno lasciato persone che non ci sono più. Volevo che il pubblico fosse immerso nel presente di quelle immagini e procedesse con lo stesso passo, mentre le interviste le avrebbero collocate nel passato. Abbiamo fatto comunque varie interviste per avere più informazioni possibili su di loro, ma queste sono state poi intessute nella narrazione recitata da Miranda July.

Com’è stato costruire i loro personaggi servendosi solo di questo lascito?
Le immagini escludevano la loro vita privata vera e propria, ma abbiamo rintracciato tutto ciò che attorno al vulcano potesse suggerirla. Abbiamo scoperto tante cose per cui non sapevamo trovare un contesto, per esempio una cavalcata di gruppo che pare uscita da un film western: spesso ci chiedevamo perché o per chi avevano girato quell’immagine e abbiamo voluto giocare con questa curiosità, includerla nel racconto. Da subito abbiamo cercato di isolare le inquadrature in cui erano insieme, per rivelare dettagli della loro relazione, ma sono rare, perché il più delle volte Maurice è dietro la cinepresa. Tante belle storie che ci hanno riferito non trovano riscontro nelle registrazioni e allora abbiamo deciso di raccontarle proprio attraverso i vulcani che amavano tanto, usando le immagini come un commento emotivo, dalle esplosioni gioiose per il loro innamoramento a immagini più cupe per i momenti più difficili.

Mi è venuto da pensare che trattare questo materiale, così incandescente eppure così remoto, non dev’essere stato tanto diverso dall’approccio dei Krafft ai vulcani: in entrambi i casi c’è una tensione tra prossimità e distanza...
Dici bene, è stata proprio una sensazione che ha accompagnato il montaggio: più ci avvicinavamo a loro e riuscivamo a vederli e conoscerli, più ci rendevamo conto di quel che non sapevamo. Abbiamo sentito la stessa attrazione non corrisposta provata da loro di fronte ai vulcani, il senso di non essere mai in grado di comprendere appieno la loro enormità e profondità. Eravamo consapevoli dei limiti, le lacune nell’archivio, la loro assenza, ma abbiamo accettato e incluso anche questa emozione nel film.

Nel corso del film osserviamo la loro evoluzione come coppia di scienziati-celebrità, ma si avvertono anche due personalità ben distinte, pur nella passione comune...
Col tempo Katia e Maurice da scienziati divennero divulgatori scientifici e narratori, benché i loro film non fossero mero intrattenimento, ma strumenti per sensibilizzare i governi su strategie di monitoraggio e prevenzione dei disastri. Entrambi erano davvero coraggiosi e audaci, ma credo che Katia fosse più metodica e scientifica nel suo approccio, mentre per Maurice l’emozione, l’esperienza del momento spesso prendevano il sopravvento: a volte si lasciava andare a quella potenza tanto da far cadere a terra i suoi strumenti. Katia temeva che certe sue imprese, come navigare in canotto su un lago di acido, avrebbero messo a rischio la loro reputazione, e anche la loro stessa vita, mentre lei voleva continuare a vivere quell’esistenza meravigliosa tra i vulcani. C’erano tensioni, ma si riconciliavano sempre, perché avevano bisogno l’una dell’altro per vivere quella vita, che bisognava preservare come qualcosa di prezioso e delicato.




Autore

Tommaso Isabella

Tommaso Isabella si occupa di cinema e studi visuali. Laureato in Lettere, ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Bergamo. Scrive per Doppiozero, FilmTv e Filmidee. Collabora con il festival Filmmaker per il quale ha curato un e-book sull’artista inglese Ben Rivers.

IL FILM

locandina Fire of Love

Fire of Love

Documentario - Canada, USA 2022 - durata 93’

Titolo originale: Fire of Love

Regia: Sara Dosa

Con Miranda July, Katia Krafft, Maurice Krafft

Al cinema: Uscita in Italia il 25/08/2022

in streaming: su Disney Plus