Giorgio Eusebio, nato a Roma il 14 settembre del 1940, appartiene alla famiglia che nel primissimo dopoguerra diede vita alla prima tipografia della Capitale specializzata nella stampa di manifesti e locandine cinematografiche, la Vecchioni & Guadagno.

Giorgio Eusebio, cosa significa la prima tipografia di Roma specializzata nella stampa di manifesti e locandine cinematografiche?

Prima della guerra la Zincografica Fiorentina, in Toscana, era l’unica tipografia specializzata nella stampa di manifesti e locandine cinematografiche. Subito dopo la guerra la mia famiglia pensò di aprire a Roma, presso l’Istituto San Michele, vicino Porta Portese, una tipografia anch’essa specializzata nella stampa di manifesti cinematografici che riuscì a soppiantare il monopolio “toscano”. A partire dagli anni ’50 vennero poi alla luce altre realtà, come la Rotolito di Giacomo Beltrami, la Policrom di Antonio Addobbati dalle cui ceneri nacque la Selegrafica di Pino Petrollo e l’azienda di Fausto Bedone.


Quale fu il suo ruolo nella tipografia?

Dopo essermi laureato in Giurisprudenza decisi di lavorare per la tipografia di famiglia ed entrai nell’organico in pianta stabile. Mi sono, sin da subito, occupato del settore commerciale della Tipografia, intrattenendo rapporti sia con le Società di Distribuzione che con i pittori “cartellonisti”.

D. Che tipo di rapporti intratteneva?

In realtà rappresentavo, nella fase della scelta e dell’approvazione dei bozzetti proposti dai pittori, il tramite tra questi ultimi e le Società di Distribuzione. Bisogna, infatti, considerare che almeno sino agli anni ‘60 la realizzazione delle locandine e dei manifesti cinematografici era per lo più curata direttamente dalle tipografie specializzate, come la nostra. Funzionava così: la tipografia, che era interessata a ricevere dai Distributori ordini per la stampa del corredo pubblicitario dei film, otteneva dall’ufficio di pubblicità delle Società di Distribuzione i materiali nonché tutte le informazioni e, spesso, suggerimenti per realizzare l’”illustrazione” del film in vista dell’uscita nelle sale cinematografiche. Detti materiali, informazioni e suggerimenti venivano, a loro volta, trasferirti ai Pittori, che si proponevano spontaneamente alla tipografia nella speranza di risultare gli autori del manifesto cinematografico prescelto per la promozione dell’uscita della pellicola nelle sale. I Pittori concedevano alla stessa tipografia un permesso per utilizzare i manifesti e le locandine creati per il periodo di permanenza del film nella sala cinematografica, verso un corrispettivo spesso relativamente esiguo. D’altra parte l’interesse della tipografia e del Distributore era unicamente quello di poter stampare i manifesti cinematografici nel periodo di uscita delle pellicole nelle sale; mentre l’interesse dei Pittori era quello di rimanere proprietari dei diritti sui manifesti e sulle locandine create. Cosicchè ogni qual volta il film diveniva di successo ed era necessario stampare ulteriori quantitativi di locandine e/o manifesti, gli stessi Maestri Pittori potevano richiedere un compenso maggiore per il riutilizzo delle Opere. Diciamo che tipografia, Distributori e Pittori avevano un ruolo autonomo ed indipendente tra loro.

Ma se la pubblicità dei film in uscita nelle sale cinematografiche era direttamente curata dalle tipografie specializzate, quale era il ruolo dei Produttori e dei Distributori?

Senza dubbio sino all’inizio degli anni ‘90, quando prese piede l’idea “americana” di promuovere il film con fotografie ritoccate, i Produttori non svolgevano un ruolo diretto né sulla realizzazione del manifesto pittorico né sulla scelta dello stesso. Le Società di Distribuzione, invece,  laddove non affidavano il compito direttamente alla tipografia, avevano un ufficio pubblicità (il corrispondente dell’attuale ufficio marketing)  che dava  ai pittori  che bazzicavano nell’ambiente indicazioni di massima e suggerimenti affinché i manifesti successivamente da loro proposti avessero buone possibilità di essere adeguati e prescelti. Il fatto che fossero direttamente i Pittori a sottoporre i manifesti pittorici dagli stessi realizzati costituiva un evidente vantaggio per le Società di Distribuzione che potevano scegliere uno o più manifesti, del medesimo o di diversi artisti, a seconda delle specifiche esigenze, per pubblicizzare l’uscita dei film nelle sale. Era, infatti, specifico compito dell’ufficio pubblicità dotare le sale cinematografiche dei manifesti e delle locandine pittoriche nonché  curarne l’utilizzo per le affissioni e/o la promozione dell’uscita del film.

Vi erano notevoli investimenti per la promozione dei film?

No, assolutamente. L’ufficio pubblicità delle Società di Distribuzione, come le tipografie, godevano di una certa autonomia nella scelta del manifesto pittorico ma avevano budget di spesa piuttosto limitati. Ed è per questo motivo che i diritti di utilizzo dei manifesti pittorici e delle locandine, ancorchè vere e proprie opere d’arte, venivano acquisiti unicamente per poterli utilizzare nella fase di uscita dei film nelle sale ed a costi assai inferiori rispetto al loro valore artistico. D’altra parte il compito dell’ufficio pubblicità era limitato alla promozione del film in uscita nelle sale né, all’epoca, era prevedibile che il manifesto potesse interessare per altri utilizzi, ammesso che se ne prevedessero.

Quindi i Pittori cartellonisti, che hanno dato vita ad una corrente pittorica di grande pregio artistico, in realtà sono stati “sottopagati” dalle tipografie e dalle Società di Distribuzioni?

In parte è stato così, all’epoca la stragrande maggioranza dei film che usciva nelle sale aveva budget limitati ed il “dictat” era quello di risparmiare su tutto, dunque anche sui manifesti. I Pittori però conoscevano bene questi meccanismi e si accontentavano di importi a volte non “congrui” rimanendo proprietari dei relativi diritti di sfruttamento.

Tanto che, ad esempio, ricordo tra gli altri, i fratelli Nistri, Simeoni, Casaro, Picchioni, Ciriello, Longi, Geleng, molti già  veri pittori a tutto tondo, mi chiesero anche la restituzione degli originali dei “bozzetti” non appena finiti di stampare. Ed in effetti poi hanno riutilizzato i diritti delle loro opere anche nelle  nuove forme di sfruttamento dei film, ad esempio gli home video e, laddove consentito, con il merchandising.