Un festival di serie C. Si propone fieramente, C-MOVIE FILM FESTIVAL, fin dal nome, come uno sgambetto irridente, una vetrina di proposte altrove sprezzate, ridotte a cliché, o inosservate, e che negli ultimi anni hanno reclamato uno spazio, una legittimità, una voce: è il cinema che fa di corpi convivenze il centro di C-MOVIE, in programma alla Cineteca e al Cinema Fulgor di Rimini dal 20 al 23 marzo, tra anteprime e incontri internazionali, tributi e grandi ospiti (come Dacia Maraini e Barbara Bouchet).

La direttrice artistica Emanuela Piovano, «regista da 30 anni e distributrice da 15», come lei stessa ricorda, ama il cinema «al di là del messaggio e del contenuto, e i tre film in anteprima alla prima edizione della nostra kermesse sono anzitutto film liberi, sguardi dentro di noi, che ci invitano alla convivenza non solo con l’altro, ma anche con chi siamo, da soli e nella coppia».

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Zafira l'ultima regina (2022) scena

I tre titoli in questione sono il biopic in costume Zafira - L’ultima regina di Damien Ounouri e Adila Bendimerad, la commedia romantica Solo per me di Lucie Borleteau e il thriller giudiziario Senza prove di Béatrice Pollet, che la società romana Kitchenfilm, di cui Piovano è fondatrice, distribuirà nelle sale in concomitanza con la quattro giorni, a partire dal 21 marzo.

«Avevamo aperto un bando, c’era l’idea» spiega infatti la regista «di andare a costruire un piccolo festival itinerante, retto su questo innovativo concetto di distribuzione, e su questa intuizione da te citata: ”c movie” inteso come opera di confine, cinema di frontiera e di dialogo con un’altra riva, come un ponte verso l’ignoto. Che abbia una dimensione interculturale, anche. Ci siamo chiesti dove far abitare la manifestazione, abbiamo tante piazze, tanti spettatori affezionati, io sono di Torino, la Kitchenfilm ha sede a Roma, ma alla fine, mentre ci trovavamo a Rimini per presentare una delle nostre ultime produzioni, Con voce di Nilde, la vicesindaca Chiara Bellini ci ha chiesto di proporle qualcosa, un’iniziativa da calare nel quadro della città, e così è nato tutto in modo naturale ed entusiastico, sotto l’egida di Fellini, che peraltro omaggeremo con la proiezione di La città delle donne. Anche la regione ha reagito dinamicamente, il festival è stato realizzato con la collaborazione dell’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna e del comune di Rimini».

Louise Chevillotte
Solo per me (2023) Louise Chevillotte

Come avete selezionato il trittico di opere protagoniste di C-MOVIE?
Sono tutti e tre a regia femminile, uno firmato da una coppia. E tracciano un’ampia panoramica spaziotemporale: da Zafira, film di produzione algerina, ambientato nel XVI secolo, fino a Senza prove, un processo a una donna per certi versi simile ad Anatomia di una caduta. Sono film che parlano di corpi, Solo per me è un grande lavoro sui corpi femminili e sul loro modo di giocare quando sono liberi dalle ideologie, con l’erotismo che si trasforma in una possibilità di espressione e in un luogo estremo dove trovare l’amore. E sono poi film che parlano di convivenze, Zafira è un ottimo esemplare di “cinema del Mediterraneo” che si connette perciò a un discorso di comunanza, di apertura all’altro.

Maud Wyler, Grégoire Colin
Senza prove (2022) Maud Wyler, Grégoire Colin

Il titolo del convegno I festival delle donne - Pari opportunità o disparità opportune? è eloquente: lei, che li bazzica da sempre, si è fatta un’idea di come sono cambiate la presenza e l’influenza delle donne nei festival cinematografici?

È stata l’occasione per fare un punto sulla situazione. Ultimamente, partecipando ai festival ho provato molta insoddisfazione, rispetto agli anni passati sono diventati delle vetrine, una volta il fulcro era la ricerca, queste manifestazioni erano vivai di incontri ed esperienze, penso alle prime edizioni del Festival delle donne di Firenze che ci ha permesso di incontrare registe come Márta Mészáros o Margarethe von Trotta, un mito per la nostra generazione, e anche grandi cineaste dell’est mai distribuite... Oggi si usano logiche di riporto, ci si è burocratizzati, vedi lo stesso Salone, oppure il Torino Film Festival, che ricordo inaugurai con Il processo a Caterina Ross (1982) alla cui produzione avevo lavorato. Invece C-MOVIE cerca di essere una piattaforma di messa in discussione, di apertura di pensiero, un festival di ricerca dove mettiamo del sale sulla ferita aperta del femminismo per come lo abbiamo conosciuto, quello orientato all’uguaglianza e quello della differenza. Io mi sono formata in una dimensione di cinema civile, politico, amo quando in un film c’è una visione del mondo, e i film che abbiamo scelto hanno in sé queste caratteristiche, affrontano, come i congressi che intavoleremo in una pluralità di prospettive, temi contemporanei: l’essere donna oggi che ci confrontiamo con la queerness, con la fluidità, il nomadismo del concetto di “donna” da una parte e dall’altra il bisogno di ricordare che esistiamo come sedimentazione storica e che abbiamo un significato “corporeo”, al di là dei generi e delle ideologie... Insomma, non mi interessa l’intrattenimento, per quello c’è il biliardino!

Anche il dibattito Registe nello specchio della stampa apre a questioni di sguardo e mutamento di prospettive, si stimola un discorso spesso nell’ombra...

Sì, abbiamo analizzato il riscontro che hanno ricevuto opere dirette da donne in un mondo di sguardi e giudizi a maggioranza maschile. Abbiamo fatto un censimento rispetto a 20 anni di recensioni di film di registe, per ora limitandoci alla carta stampata, senza ancora portarci verso letture critiche o indagini incrociate. Ci sono comunque anche critiche cinematografiche misogine, eh! Ho trovato molto interessante in questo senso uno studio effettuato a Stoccolma per cui un racconto di una scrittrice veniva sottoposto a diversi campioni di lettori e lettrici una volta recando firma femminile, un’altra maschile, e nel secondo caso il testo mieteva consensi, nel primo invece le reazioni erano schizzinose. Comunque, ecco, tutto per me è nato quando ho visto Nomadland alla Mostra di Venezia. I miei colleghi lo avevano odiato: panorami e tramonti troppo “cartolineschi”, la giuria che gli aveva assegnato il Leone d’oro era chiaramente inattendibile. Invece l’estetismo di Rosi, del suo Notturno, era stato osannato. Mi sono domandata: e se Chloé Zhao fosse stata un maschio? Si è accesa una miccia, una curiosità. Una delle tante che andremo a sollecitare.

Autore

Fiaba Di Martino

Fiaba riceve in fasce un nome lezioso che le profetizza l'amore per le storie, nel cinema, sul cinema e del cinema: a dieci anni vota i film disegnando a matita i pollici di Film Tv accanto ai biglietti della multisala più bella di sempre, l'Arcadia; di lì a poco si innamora delle finestre di Hitchcock, degli occhi di Jean Gabin e dell'aplomb di Lauren Bacall, e lo urla al mondo prima dal giornalino scolastico del classico poi dai siti web (MyMovies, Players, PositifCinema, BestMovie.it), mentre frequenta corsi di scrittura alla Scuola Civica di Cinema milanese e scrive un libro su Xavier Dolan con la collega positivista Laura Delle Vedove. Lost in translation nello stereo totale, ritrova se stessa nella pioggia di Madison County, nelle lettere di Gramsci, nelle ferite di David Grossman, nelle urla liberatorie di Sion Sono, nelle risate di Shosanna Dreyfus, nei silenzi di Antonioni, nelle parole di Frances Ha («non sono ancora una vera persona») e nello spazio tra i titoli di testa e quelli di coda.