Noi del Rione Sanità, la nuova serie di Rai 1 diretta da Luca Miniero, è la storia di chi sceglie di restare. Di chi rifiuta la fuga, l’indifferenza, il cinismo, e tenta di cambiare le cose dove sembrano irrimediabilmente compromesse. Sei episodi ambientati a Napoli, nel cuore di un quartiere segnato da degrado e criminalità, ma capace di reinventarsi attraverso un parroco fuori dagli schemi e una comunità che riscopre il valore dell’arte, del lavoro e della solidarietà.


Liberamente ispirata alla vicenda reale di Don Antonio Loffredo e tratta dal suo libro autobiografico, la serie con i suoi sei episodi affonda le radici nella cronaca ma cresce come racconto universale: una battaglia tra chi crede nel futuro e chi preferisce dominarlo con paura e violenza.


Dal 26 ottobre in prima serata.

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Carmine Recano nella serie di Rai 1 'Noi del Rione Sanità'.

Il Rione come campo di battaglia (e di gioco)

Il protagonista della serie di Rai 1 Noi del Rione Sanità è Don Giuseppe Santoro, interpretato da Carmine Recano. Non è un prete da sagrestia, ma uno che la strada la conosce. Mandato al Rione Sanità dopo una fuga di detenuti durante un progetto di reinserimento al carcere di Poggioreale, Don Giuseppe arriva in un contesto segnato da povertà, degrado e omertà. Ma non si lascia abbattere. Inizia a conoscere i giovani, ad ascoltarli, a costruire con loro. Il suo sogno è creare una cooperativa che usi le bellezze dimenticate del quartiere – come le Catacombe di San Gennaro – per generare lavoro, arte, cultura.


La trama si muove tra due spinte opposte: da un lato il tentativo di Don Giuseppe di costruire un’alternativa reale alla camorra; dall’altro le resistenze della Curia, della burocrazia e soprattutto della criminalità organizzata, incarnata dal boss Mariano Santella (Giovanni Ludeno). In mezzo ci sono i ragazzi: Massimo (Rocco Guarino), Enzo (Federico Cautiero), Mimmo (Giampiero De Concilio), Caterina (Caterina Ferioli), Anna (Ludovica Nasti), Alex (Federico Milanesi). Giovani divisi tra la voglia di vivere e la paura di fallire. Il rione è il vero campo di battaglia: lì si vincono o si perdono le scommesse sul futuro.

Anime in bilico

I personaggi della serie di Rai 1 Noi del Rione Sanità sono vivi, tridimensionali, pieni di crepe. Don Giuseppe è un uomo in equilibrio costante tra il rigore del Vangelo e la necessità di sporcarsi le mani. Ha fede, sì, ma ha anche rabbia, dubbi, un passato sentimentale irrisolto con Manuela (Nicole Grimaudo), la donna che aveva quasi sposato e che ora riappare nella sua vita.


Manuela è prigioniera di un matrimonio violento, madre della piccola Matilde, e inizialmente diffidente verso Don Giuseppe. Ma il bisogno d’aiuto prevale sul rancore, e tra loro riemerge un legame che scava nel passato per trovare un senso nel presente. È proprio lei a spingere il parroco a confrontarsi con le scelte lasciate in sospeso.


Un’altra figura chiave è Stella (Chiara Celotto), la compagna di Sante, operaio ucciso in un agguato proprio mentre cercava di costruirsi una vita normale. Stella è giovane, incinta, e nonostante il dolore si aggrappa a un’idea ostinata di futuro. Il lutto la travolge, ma non la spezza. È lei, con il suo coraggio silenzioso, a testimoniare che anche chi resta con poco può diventare esempio per chi ha perso la direzione.


Massimo, figlio di un collaboratore di giustizia, viene attratto dal boss Mariano e diventa suo strumento, quasi senza accorgersene. Enzo, ferito dalla morte del fratello Sante, cerca vendetta ma trova nel teatro un’altra forma di salvezza. Mimmo lavora nel piccolo emporio di famiglia, ama Caterina e la sfida di conciliare mondi lontani. Lei, trapiantata dai quartieri alti, combatte le aspettative del padre magistrato per affermare la propria autonomia. Anna, inizialmente succube, trova la forza di difendere il fratello Alex e riportarlo allo studio, superando le barriere della dislessia.


Attorno a loro si muovono figure che, pur restando ai margini, tengono insieme l’intero edificio narrativo. Suor Celeste (Bianca Nappi), concreta e ironica, è l’alleata instancabile di Don Giuseppe: lo sostiene, lo riprende, lo aiuta a decifrare la Curia e i suoi ostacoli. Poi ci sono Lello (Tony Laudadio), sacrestano goloso e bonario, e Asprinio (Vincenzo Nemolato), eterno “chierichetto” ultraquarantenne con lo spirito da ragazzino di quartiere. Insieme, diventano il lato umano, talvolta comico, ma mai banale della canonica: piccoli gesti, battute fulminanti, un radicamento profondo nella comunità che Don Giuseppe cerca di salvare.


Infine, la Curia: Don Sebastiano (Fabio Troiano), ostile e rigido, e il vescovo Cassino (Maurizio Aiello), più ambiguo ma pur sempre legato alla forma. Rappresentano il peso delle istituzioni quando si confrontano con il cambiamento. Tutti, in modi diversi, sono costretti a scegliere: rimanere fermi o tentare qualcosa di nuovo. La serie non assolve né condanna, ma mostra. E questo la rende vera.

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Una scena della serie di Rai 1 'Noi del Rione Sanità'.

La salvezza non arriva dall’alto

La serie di Rai 1 Noi del Rione Sanità non nasconde nulla. Mostra il peso della camorra, l’infiltrazione nei sogni, la potenza devastante della rassegnazione. Ma non si ferma lì. Racconta anche come l’arte (il teatro in particolare) possa diventare uno strumento di liberazione. Don Giuseppe crea una scuola dentro la chiesa, trasforma il dolore in racconto, la rabbia in scena. Non promette miracoli, ma chiede impegno. Insegna che la fede può essere anche un gesto concreto: creare lavoro, formare coscienze, offrire alternative.


Il vero motore della serie è l’idea che la comunità possa salvarsi da sola, se trova qualcuno che ci crede per primo. Non basta la denuncia, serve la costruzione. E Noi del Rione Sanità tenta di rappresentare tutto questo con autenticità, anche grazie alla regia sobria ma partecipata di Miniero e a una scrittura capace di dare voce senza retorica.

Restare nonostante tutto

Noi del Rione Sanità è una serie che non chiede pietà per i suoi personaggi, ma rispetto. Racconta un quartiere che ha imparato a resistere, e una chiesa che ha scelto di stare tra la gente, non sopra. È un’opera necessaria, perché mostra che il cambiamento è possibile ma solo se si è disposti a restare, a sporcarsi le mani, a sbagliare e ricominciare.


In un panorama televisivo spesso dominato da storie patinate o stereotipate, questa serie porta il peso della realtà. Non per fare cronaca, ma per dire che un altro futuro è possibile. Anche alla Sanità. Anche adesso.

Autore

Redazione

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