Nella serie The Lowdown, creata da Sterlin Harjo e guidata da un Ethan Hawke in doppia veste di protagonista e produttore esecutivo, non c’è tempo per ambientarsi. Si apre con un suicidio sospetto e si immerge da subito in un’indagine che tocca il cuore corrotto della Tulsa contemporanea. Non è un poliziesco classico, né un noir puro: è un ibrido moderno che mastica il mito dell’investigatore solitario e lo risputa tra i corridoi della politica locale, le librerie di nicchia e i traumi familiari. Ma soprattutto è una riflessione ossessiva sulla verità, su chi la cerca e su cosa ci perde chi la trova.


Su Disney+ dal 24 settembre.

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Ethan Hawke nella serie 'The Lowdown'.

Il detective col vizio dei libri

Nella serie The Lowdown, Lee Raybon (Ethan Hawke) è un outsider. Proprietario di una libreria di testi rari a Tulsa, vive sopra il negozio come un vecchio filosofo di quartiere, immerso nei volumi e nei suoi articoli da giornalista freelance. Ma non è la cronaca rosa che gli interessa: Lee è un “truthstorian”, un cercatore di verità a tempo pieno, spesso a sue spese.


La sua indagine più recente punta il dito contro una delle famiglie più potenti della città, i Washberg. Quando Dale (la pecora nera del clan) si toglie la vita poco dopo la pubblicazione del pezzo, Lee capisce che c’è dell’altro. È l’inizio di un’indagine più profonda, personale, e pericolosa.


Lee non è il detective perfetto. È testardo, scomodo, incapace di tenere separata la vita privata dal suo lavoro investigativo. La sua ex Samantha (Kaniehtiio Horn) ne ha avuto abbastanza, ma la loro figlia quattordicenne Francis (Ryan Kiera Armstrong), che ha ereditato la curiosità paterna, vuole seguirlo ovunque. Insieme inseguono indizi, incrociano politici corrotti, vedove ambigue e lettere nascoste dentro romanzi pulp. Il mistero cresce, ma anche il costo umano dell’indagine.

Un noir in chiave familiare

La serie The Lowdown si muove come i migliori noir: veloce, cinico e disilluso. Ma accanto alla decostruzione del potere, Harjo inserisce un elemento spesso assente nel genere: l’intimità familiare. La dinamica padre-figlia diventa centrale, anche più del mistero stesso. Francis è più di una spalla: è una coscienza, un’alternativa a quel cinismo che sta divorando Lee. Anche Samantha, pur distante, continua a gravitare intorno a lui, incapace di ignorare quell’uomo che, pur fallendo spesso, non smette di inseguire la giustizia.


I personaggi secondari, sebbene ricchi di potenziale, restano spesso ai margini. Betty Jo (Jeanne Tripplehorn), vedova del defunto Dale, e Donald Washberg (Kyle MacLachlan), candidato governatore con ambizioni torbide, incarnano l’élite cittadina che Lee vuole smascherare. Eppure, è proprio Dale a catalizzare gran parte dell’attenzione anche da morto: le sue lettere, nascoste dentro romanzi di Jim Thompson, offrono indizi, ma anche frammenti della sua mente tormentata, resi vivi dalla narrazione spettrale di Tim Blake Nelson che torna in scena come voce fuori campo o visione.

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Ethan Hawke e Ryan Kiera Armstrong nella serie 'The Lowdown'.

Tulsa, laboratorio del sospetto

Tulsa è molto più di uno sfondo: è un personaggio. Harjo, cresciuto nella zona, la rappresenta con realismo e senso critico. La città che vediamo non è quella delle brochure turistiche: è piena di segreti, disuguaglianze e complicità tra politica e denaro. Le strade di Tulsa, le case eleganti dei Washberg e i locali di periferia raccontano un’America apparentemente normale, ma minata da poteri che preferiscono restare invisibili.


La serie si muove sul confine tra finzione e realtà: Harjo ha dichiarato che il personaggio di Lee è ispirato a Lee Roy Chapman, storico locale e figura scomoda realmente vissuta, autore di molte inchieste sulla storia sommersa di Tulsa. In questo senso, la serie The Lowdown diventa anche una riflessione sul ruolo della memoria e della documentazione, su cosa vale la pena ricordare e chi decide cosa viene dimenticato.

Ossessioni, verità e fallimenti

Al centro di tutto c’è il tema della verità. Ma la serie The Lowdown non la celebra come qualcosa di puro o salvifico. La verità, qui, è un’ossessione che isola, che distrugge relazioni, che logora. Lee è disposto a perdere tutto per inseguirla: la famiglia, il lavoro, la salute mentale. Eppure, non è un martire. È un uomo imperfetto, a volte patetico, ma sempre spinto da una motivazione autentica.


La serie esplora anche la distanza tra realtà e narrativa. Lee stesso lo dice: “Io leggo, cerco, scrivo. Qualcuno ci crede, qualcuno no”. Harjo sembra suggerire che la verità non basta, se nessuno vuole ascoltarla. E che, a volte, il ruolo del “truthstorian” è quello di testimoniare, anche quando nessuno chiede.

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Ethan Hawke e Peter Dinklage nella serie 'The Lowdown'.

La storia dietro la storia

Molto del fascino della serie The Lowdown deriva dal legame con la storia reale di Tulsa. La città è stata teatro di alcune delle pagine più oscure della storia americana, dal massacro razziale del 1921 alla lunga serie di insabbiamenti istituzionali. Lee Roy Chapman, il vero ispiratore della serie, ha dedicato la sua vita a disseppellire questi eventi rimossi dalla memoria collettiva. Harjo prende in prestito questo spirito e lo reinterpreta con gli strumenti della fiction. Il risultato è una narrazione ibrida, a metà strada tra il documentario emotivo e il noir moderno.

Un’investigazione che vale il rischio

The Lowdown è una serie che non si accontenta di intrattenere: chiede allo spettatore di accettare ambiguità, di tollerare incertezze, e soprattutto di prestare attenzione. Non tutto fila liscio ma il cuore del progetto è solido. Ethan Hawke, nei panni di un protagonista irregolare ma credibile, sostiene gran parte della narrazione. La regia di Harjo, visivamente curata e consapevole delle sue radici, fa il resto.


In un panorama televisivo sempre più affollato di prodotti noir che si somigliano, The Lowdown trova una sua voce proprio dove altri evitano di guardare: nelle contraddizioni di chi cerca la verità, e nei silenzi di chi fa di tutto per nasconderla.

Autore

Redazione

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