In un’epoca in cui la radicalizzazione corre sul wi-fi e le ideologie violente trovano terreno fertile nei forum più insospettabili, Profilo privato arriva su Apple Tv+ come una serie che non cerca lo shock ma la verità. Otto episodi che, inizialmente previsti per il 26 settembre 2025 ma rimandati a data da destinarsi, raccontano una storia che non è solo ispirata a eventi reali: è un’esatta eco del presente.
Jessica Chastain, premio Oscar, interpreta Jodi Goodwin, una madre di periferia che lavora in giardino e prepara la cena, ma che, dietro lo schermo del suo computer, entra ogni giorno nell’inferno delle ideologie estremiste per provare a fermare ciò che sembra inevitabile.
La serie, firmata da Melissa James Gibson, nasce dall’articolo di Cosmopolitan “Is It Possible to Stop a Mass Shooting Before It Happens?”, e trasforma la vicenda di un’investigatrice reale, ancora oggi anonima, in un thriller intimo, cupo e disturbante. Ma, più che la tensione, è il peso morale delle scelte di Jodi a dare alla serie il suo cuore pulsante.

Una doppia vita, un unico obiettivo
Jodi Goodwin, la protagonista della serie Profilo privato, non ha nulla di eccezionale, almeno in apparenza. Vive a Cincinnati con suo marito Charlie, ex medico dell’esercito, e i due figli. Ma dietro questa facciata di normalità si nasconde un ruolo ben più pericoloso: sotto lo pseudonimo FleshyMF, Jodi si infiltra nei gruppi di odio online per conto dell’Anti-Hate Alliance. Il suo lavoro è prevenire attentati, seguire il filo sottile che separa l’odio verbale dall’azione violenta.
Dopo una sparatoria devastante, Jodi è convinta che un attacco ancora più grave sia imminente. Il suo senso di responsabilità, misto a un inquietante talento naturale per questo tipo di lavoro, la spinge sempre più in profondità nel buio dei forum radicali, fino a rischiare di perdere il contatto con sé stessa, con la propria famiglia, con la realtà. Il vero pericolo non è solo fuori. È dentro di lei.
Ombre dietro il monitor: chi è davvero “K”?
Dietro la serie Profilo privato, si cela una realtà che inquieta più della narrazione. La vera “Profilo privato”, conosciuta semplicemente come K, ha evitato almeno un massacro e contribuito a far arrestare decine di estremisti. Il caso più emblematico è quello di Michael Finton, aspirante attentatore che nel 2009 tentò di far esplodere un edificio federale con un furgone carico di esplosivi. A fermarlo fu proprio lei, dopo aver analizzato il suo profilo Myspace e seguito per mesi l’evoluzione del suo linguaggio e delle sue intenzioni.
K non è un’agente dell’FBI né una spia istituzionale. È una civile, ex marine ed ex poliziotta, che ha imparato sul campo a riconoscere i segnali dell’odio pronto a diventare azione. La sua abilità non sta solo nell’analisi. Sta nel sentire. Una sensibilità affinata nel tempo, quasi istintiva, che le permette di distinguere un troll da un futuro assassino. Il suo lavoro, però, non è privo di rischi: vive sotto anonimato, lavora da casa, sa che il minimo errore può costarle tutto.

Volti, voci, maschere
Jodi è il cuore della serie Profilo privato, un personaggio che esiste sul crinale tra la normalità e l’abisso. Jessica Chastain prova a restituirla con misura e intensità, rifiutando il cliché dell’eroina invincibile. Jodi è fragile, contraddittoria, e proprio per questo credibile. Accanto a lei, Charlie (Nnamdi Asomugha), marito devoto e spesso ignaro, rappresenta il punto di equilibrio che rischia costantemente di spezzarsi.
Jason (Pablo Schreiber) e altri personaggi ricorrenti abitano i mondi ambigui del web, i colleghi dell’Anti-Hate Alliance, le identità fasulle, i moderatori, i fanatici. Ogni figura riflette una parte dell’ecosistema dell’estremismo online, e ognuno (anche i secondari) contribuisce a costruire una tensione costante. I figli di Jodi, Ryan e Maeve, pur restando in secondo piano, sono la misura più concreta di ciò che c’è in gioco.
L’odio non è virtuale
Profilo privato non è una serie “sulla rete”. È una serie sull’invisibilità del pericolo. Mostra come le ideologie estremiste si mimetizzino nella vita quotidiana, come l’odio si infiltri nei codici digitali e poi si manifesti nella realtà. Il vero punto centrale non è la tecnologia, ma la disumanizzazione: degli altri, di sé stessi, del mondo. È qui che la serie trova la sua forza.
Altro tema ricorrente è quello del costo personale della sorveglianza. Jodi è brava in ciò che fa perché forse una parte di lei è rotta, perché forse l’odio le è familiare. E questa ambiguità la divora. Anche la maternità è esplorata in modo non retorico: essere madre, per Jodi, non è solo un ruolo affettivo ma una posta in gioco concreta. Il suo lavoro, se scoperto, può rendere i suoi figli bersagli. E questo rende ogni scelta un dilemma etico.
Infine, la serie tocca un nodo ormai cruciale: la misoginia come forza organizzata e radicale. Non si parla di episodi isolati, ma di una rete strutturata, che si alimenta attraverso l’umiliazione sistematica delle donne, e che spesso anticipa o accompagna la violenza fisica.
Più vicina di quanto pensi
Profilo privato non è un esercizio narrativo su un’eroina fuori dal comune. È un promemoria. Jodi, come K, è una donna qualunque. Potrebbe essere la tua vicina, la tua collega, una madre al parco. La serie mostra come il pericolo più grande non sia ciò che appare mostruoso, ma ciò che sembra normale. E, soprattutto, ci ricorda che l’odio non è solo un problema degli altri. È tra noi. Online, offline, ovunque.
Con uno sguardo teso ma lucido, Profilo privato entra nei territori più oscuri della contemporaneità senza perdere il senso della responsabilità. Non esagera, non spettacolarizza, ma racconta. E tanto basta, perché quello che racconta è già abbastanza terribile.
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