Nel panorama delle serie latinoamericane, pochi universi narrativi hanno saputo imporsi con la forza e la continuità di El Marginal ma con En el barro, su Netflix dal 14 agosto, Sebastián Ortega spinge ancora oltre i confini della fiction carceraria argentina, spostando l’attenzione verso un ambiente femminile inedito, crudo, stratificato e spietato. Non un semplice spin-off, ma un’opera autonoma che ridefinisce lo sguardo sul sistema penitenziario e sulla lotta per la sopravvivenza in un microcosmo dove ogni gesto, ogni silenzio, ogni scelta ha un prezzo.

Nel fango
Tutto nella serie Netflix En el barro comincia con un incidente. Un veicolo penitenziario cade in un fiume durante il trasferimento di alcune detenute verso la prigione di La Quebrada. La scena iniziale (disperata, viscerale, simbolica) segna la nascita delle “Embarradas”: cinque sopravvissute che emergono letteralmente dal fango, sporche, traumatizzate, ma unite. A guidarle è Gladys Guerra, detta “la Borges”, interpretata da Ana Garibaldi, volto già noto ai fan della serie madre.
Da quel momento, En el barro segue la discesa (o forse l’ascesa) di questo gruppo all’interno del complesso e opprimente ecosistema carcerario. Le protagoniste, per la maggior parte senza precedenti esperienze con la detenzione, devono imparare rapidamente le dinamiche di potere, i codici non scritti e le alleanze necessarie per sopravvivere a La Quebrada. Un ambiente dove le “tribù” decidono tutto: accesso ai beni di prima necessità, protezione fisica, rispetto, silenzi. Le regole non sono chiare, ma le conseguenze lo sono sempre.
Tra identità e sopravvivenza
L’anima pulsante della serie Netflix En el barro risiede nei suoi personaggi. Ortega e il team di autori (Silvina Frejdkes, Alejandro Quesada, Omar Quiroga) lavorano su profili complessi e stratificati. Ogni detenuta ha una storia che emerge a frammenti, spesso attraverso il conflitto, il dolore, la memoria.
Gladys “la Borges” Guerra è la figura centrale, un ponte con El Marginal e una presenza ambivalente: tanto leader quanto prigioniera del proprio passato. È consapevole del peso del cognome che porta e cerca una forma di redenzione, o almeno una tregua.
Marina, interpretata da Valentina Zenere, è forse il personaggio più emblematico del passaggio da “persona libera” a “entità carceraria”. La vediamo trasformarsi: da ragazza spaesata a imprenditrice di un “bordello virtuale” clandestino, un business che mescola potere, vulnerabilità e desiderio di controllo.
Rocky, interpretata da Alejandra “Locomotora” Oliveras, è l’archetipo della detenuta che ha imparato a dominare la prigione col corpo e con la paura. Dietro il suo passato violento, si intravede una storia di vendetta e disperazione che solleva interrogativi sulla giustizia.
La madama della zona “glam” del carcere, gestita da Lorena Vega, introduce un tono straniante e disturbante: tra parrucche, pizzi e streaming erotico, lo squallore si maschera di spettacolo. Ma nessuno dimentica dov’è.
Accanto a loro, un cast corale che include figure femminili e maschili di spicco come Rita Cortese, Carolina Ramírez, Ana Rujas, Juana Molina, Gerardo Romano e la cantante María Becerra (al suo debutto attoriale), ognuno con un ruolo funzionale alla narrazione più ampia.

Sopravvivere, ricostruirsi, resistere
Il cuore tematico della serie Netflix En el barro è duplice: da un lato il sistema carcerario femminile, raccontato non solo come luogo di reclusione, ma come riflesso distorto della società esterna; dall’altro, la costruzione (e decostruzione) dell’identità in condizioni estreme.
Le protagoniste non sono definite dai loro crimini, ma dalle scelte che fanno dentro la prigione. E queste scelte sono sempre parziali, sempre condizionate da fattori esterni: la violenza strutturale, il ricatto emotivo, la nostalgia del mondo fuori. Il tema della maternità, del desiderio sessuale, della resistenza psicologica e del legame con i propri cari emerge come forza motrice. Le protagoniste non sono eroine, né antieroine: sono esseri umani messi all’angolo, costretti a reinventarsi ogni giorno.
Anche la componente economica, incarnata nella gestione del business online, offre uno spunto di riflessione sul corpo come merce, sul desiderio come strategia di sopravvivenza e sul potere come merce di scambio.
Continuità e distanza con El Marginal
Sebbene l’universo narrativo sia lo stesso, la serie Netflix En el barro non replica El Marginal: lo supera, lo aggiorna, lo problematizza. Se El Marginal era testosterone, fratellanza e gerarchie criminali maschili, En el barro è complessità emotiva, connessioni ambigue, potere femminile in contesti anomali. La prigione non è meno violenta, ma lo è in modi differenti. Il linguaggio visivo resta crudo, diretto, a tratti documentaristico, ma lo sguardo si sposta: ora è più intimo, più ravvicinato, meno epico.
Eppure, Ortega mantiene la firma riconoscibile: dialoghi taglienti, ritmo incalzante, sottotrame che si intrecciano e un cast che restituisce verità, anche nella finzione.
En el barro non cerca di “piacere”. Cerca di raccontare, scomporre, inquietare. È un prodotto che, pur restando fedele al DNA narrativo di El Marginal, prende rischi e sposta il focus verso l’invisibile, il rimosso, il sommerso. La serie mette al centro voci che solitamente restano ai margini, e lo fa con la stessa brutalità con cui il carcere plasma i suoi abitanti: senza sconti, senza giudizi, senza pietà.
Filmografia
En el barro
Poliziesco - Argentina 2025 - durata 58’
Titolo originale: En el barro
Con Cecilia Rossetto, Camila Peralta, Carla Pandolfi, Erika de Sautu Riestra, Justina Bustos, Juan Gil Navarro
in streaming: su Netflix Netflix Basic Ads
El Marginal
Poliziesco - Argentina 2016 - durata 60’
Titolo originale: El marginal
Creato da: Israel Adrián Caetano, Sebastián Ortega
Con Juan Minujín, Gerardo Romano, Claudio Rissi, Nicolás Furtado, Ariel Staltari, Abel Ayala
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