1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie
Oh, noi c'abbiamo (avuto) Letizia Moratti, Irene Pivetti, Paola Binetti, Daniela Santanchè, Giorgia Meloni, Marta Fascina: Elena Vernham a loro je fa 'na pippa a du' mani e a noi un baffo, eh.
“The Regime”, già “the Palace” (ma quello di Roman Polanski è d’un’altra razza), è una serie HBO in 6 ep. creata da Will Tracy (autore per un triennio nella squadra di John Oliver e soprattutto co-sceneggiatore dell’insipido e sterile “the Menu”) che non funziona su qualsivoglia livello tematico si decida di porla: né dal PdV della satira politica (dal Baltico al Mar Nero lungo l’asse della Vistola, del Dnipro e del Danubio prendendo spunto da Bielorussia, Polonia, Ucraina, Ungheria, Moldavia, Romania, Bulgaria e rubando la bandiera al Genoa mettendoci - inconsapevolmente all’uopo, dato il finale - un gattopardo al posto del grifone, con in più un bell’affaccio sul balcone adriatico verso l’italica penisola meloniana), né da quello del dramma psicologico (la protagonista Kate Winslet, ovvero Simona Ventura in versione malefica, compresa semi-paresi facciale sporadico-temporanea, ce la mette tutta per incarnare - e qui non c’entra Simona Ventura, eh - una demente, narcisista, stupida, viziata, idiota, egoista, isterico-psicotica, furba, calcolatrice, ipocondriaca e manipolatrice bugiarda patologica dall’infanzia abusata psicologicamente e forse fisicamente, e ci riesce anche alla perfezione, ma di certo non basta).
Quindi, se all’inizio verrebbe da pensare e dire “Statunitensi e britannici che perculano l’Europa dell’Est, quella che hanno schierato lancia in resta contro l’orso russo? Beh, finalmente, era ora!”, in realtà “the Regime”, sceneggiata con Sarah DeLappe (“Bodies Bodies Bodies”), Juli Weiner (anch’ella, ma per un lustro, nella writers’ room del “Last Week Tonight with John Oliver”), lo stesso Seth Reiss di “the Menu”, il romanziere Gary Shteyngart (“Absurdistan”) e Jen Spyra (per un lustro anch’essa nel team di un “Late Show”, quello di Stephen Colbert) e diretta da Stephen Frears (Gumshoe, the Hit, My Beautiful Laundrette, Prick Up Your Ears, Sammy and Rosie Get Laid, Dangerous Liaisons, Hero, Mary Reilly, High Fidelity, Liam, the Queen, Tamara Drewe, State of the Union; gli ep. 1 e 2 e poi un salto in avanti verso il 4° per poter dirigere Hugh Grant) e Jessica Hobbs (“the Crown”; l’ep. 3 e poi un balzo in avanti verso il 5° e il 6° per lasciar dirigere Hugh Grant a Stephen Frears), vorrebbe essere… no, in realtà non ho la men che minima pallida idea di che cosa vorrebbe essere, ma riesce a malapena a raggiungere prodotti quali “the Thick of It”, “Veep”, “the Death of Stalin” e “Avenue 5” di Armando Iannucci e “BrainDead” di Michelle & Robert King.
Oltre a Kate Winslet e, per quel singolo episodio, un sempre ottimo Hugh Grant, il cast è completato dal co-protagonista Matthias Schoenaerts (“Rundskop”, “De Rouille et d’Os”, “A Hidden Life”, “the Laundromat”, “Amsterdam,” “Django”, e che già aveva lavorato con Kate Winslet in “A Little Chaos”), dalla puntualment’eccellente Andrea Riseborough (Happy Go Lucky, BirdMan, Nocturnal Animals, Black Mirror: Crocodile, Mandy, Waco, Nancy, Possessor, Luxor, Please Baby Please e To Leslie, oltre ad aver interpretato Vetlana Stalina nel già citato “the Death of Stalin” e aver già lavorato con Matthias Schoenaerts nel già citato “Amsterdam” e con Kate Winslet in “Lee” e qui nei panni di un personaggio sacrificato sull’altare del “E mo’ come la chiudiamo la sua storyline?”) e da un gran bel gruppo di caratteristi (Danny Webb, Henry Goodman, David Bamber, Guillaume Gallienne, Martha Plimpton, Rory Keenan, Stanley Townsend, Michael Colgan, Pippa Haywood, Julia Davis), mentre la fotografia è di Alwin H. Küchler e le musiche sono di Alexandre Desplat ed Alex Heffes, ma no, "di certo non basta"-bis.
“Ci vuole così tanto a diventare grandi. Tutti questi anni, e poi un giorno si ripresentano le tue peggiori paure, e tu sei di nuovo una bambina.”
* * ¾ (***)
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