La recensione su True Detective

Dintorni di Los Angeles, un'omicidio apparentemente inspiegabile e un numero di personaggi e sottotrame difficilmente calcolabile: qualcuno ha parlato de "Il Grande Sonno", o de "Il Lungo Addio"? 

L'operazione condotta dallo sceneggiatore Nic Pizzolatto nella seconda stagione di True Detective parte in effetti proprio da questi due titoli, e consiste più in generale in una rivisitazione personale del grande noir americano in chiave fortemente pessimista e desolante: se il Philip Marlowe dei romanzi di Chandler (e dei film di Hawks e Altman) era un investigatore brillante ma pur sempre ironico e dotato di uno sguardo disincantato sul mondo, in True Detective 2 i personaggi son tutt'altro che infallibili e tutt'altro che dotati di umorismo: hanno tutti una vita a pezzi, e il caso che viene loro assegnato non migliorerà le cose. È in questo pessimismo di fondo che si può rintracciare una linea di continuità con la prima stagione, un vero e proprio instant cult classic che ha mandato in visibilio milioni di telespettatori. Ma se nella prima stagione i personaggi fondamentali erano due (o al massimo tre, con la moglie del detective Hart), interpretati da Matthew McConaughey e Woody Harrelson, qui Pizzolatto ha deciso (giustamente) di cambiare, scegliendo di non concentrarsi esclusivamente su poche personalità ma su tanti piccoli caratteri che potessero dare il senso dell'ambientazione, con - va detto - una maggiore attenzione per il detective interpretato da Colin Farrell e il gangster interpretato da Vince Vaughn (una scelta che mi sembra abbia fatto anche Paul Thomas Anderson nel suo 'Vizio di Forma', dove oltre ai personaggi di Phoenix e Brolin ne sono stati affiancati tanti che però son stati approfonditi relativamente poco). 

Pizzolatto moltiplica i personaggi dunque, ma moltiplica anche i registi (uno diverso per episodio, diversamente dalla prima stagione totalmente assegnata a Cary Fukunaga), una scelta che comunque non ha pesato sulla riuscita del serial. Anzi, ha forse contribuito a creare un prodotto eterogeneo: perchè se le panoramiche tanto usate nella prima stagione sono state riproposte anche qui - è questo in effetti il maggior elemento di continuità dal punto di vista registico - , le influenze cinematografiche si sono moltiplicate: oltre ad Altman e Hawks per la scelta del plot, troviamo anche Lynch (si veda l'incipit orinico del terzo episodio, chiaro riferimento ai momenti musicali di 'Velluto Blu' e 'Twin Peaks'), Michael Mann (la sparatoria che conclude il quarto episodio, uno dei momenti più emozionanti della serie), ma anche Billy Wilder (nell'ultimo episodio troviamo un'inquadratura identica ad una celebre di 'Viale del Tramonto').

Nonostante il risultato finale non sia poi così elevato come le premesse e le fonti a cui si ispira, l'operazione di Pizzolatto ha al giorno d'oggi una discreta importanza secondo il mio parere: portare sullo schermo televisivo ciò che su quello cinematografico si vede - purtroppo - sempre meno spesso: il noir, il thriller di alto livello. Ne escono tanti, è vero, ma quanti riescono realmente a dire qualcosa di nuovo sul mondo che ci circonda, con uno stile narrativo che sia moderno ma al tempo stesso rispettoso dei classici? Pizzolatto conosce il Cinema, lo ama e nella sua creatura lo dimostra, anche se con delle imperfezioni. Rimane un ottimo sceneggiatore che a onor del vero meriterebbe il grande schermo, per raccontarci a modo suo, con la sua malinconia e con il suo citazionismo nostalgico, che "abbiamo il mondo che ci meritiamo".