Espandi menu
cerca
Ando Family
di AndreaVenuti
post
creato il

L'autore

AndreaVenuti

AndreaVenuti

Iscritto dal 29 dicembre 2014 Vai al suo profilo
  • Seguaci 38
  • Post 36
  • Recensioni 622
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

Ando Family, Miyasaka Takeshi, 2001

Sinossi: Genji Sogabe (Hakuryu) è uno yakuza vecchio stile, fedelissimo al suo clan al punto da uccidere un boss rivale in modo tale da favorire l’avanzata al potere del proprio capo.

Genji a seguito dell’omicidio viene condannato a 15 anni di carcere e al termine della sua detenzione ritorna al suo clan ma tutto è cambiato. La yakuza si è evoluta, valori quali onore e lealtà sono stati presto rimpiazzati dal denaro e dal potere; la nuova yakuza è strutturata quasi come un’azienda ed ora è più producente fare affari sotto-banco con i rivali piuttosto che sfidarli a duello. 

Genji patisce questo cambiamento, lui è un uomo d’azione dal grilletto facile e pertanto decide di impugnare nuovamente le armi combattendo contro tutto e tutti…

 

Ando Family (titolo internazionale The Legend of Ando family: The road to Hell) è uno yakuza-eiga del 2001 diretto da Miyasaka Takeshi e prodotto dalla Maki Produciton dell’eclettico Hisao Maki.

Miyasaka Takeshi non è un nome di punta dell’industria cinematografica giapponese tuttavia il mestiere lo sa fare abbastanza bene cercando dove possibile il guizzo registico all’insegna della spregiudicatezza, caratteristica apprezzata da Maki, il quale lo coinvolge nella sua piccola e fantasiosa factory (ricordiamo che un certo Takashi Miike si è fatto le ossa propria alla Maki Production).

 

Il film in esame complessivamente è uno yakuza-eiga low-budget più che dignitoso, intriso di tanti elementi cari al genere però se vogliamo essere critici i difetti non mancano ma andiamo con ordine.

 

I primi 15 minuti sono fantastici

All’inizio del film ci troviamo in un “tetto per campo pratica da golf” ed assistiamo all’allenamento di un noto boss della yakuza circondato dai suoi scagnozzi; fin qui nulla da dire ma improvvisamente entra in scena un uomo misterioso e d’impeto spara ripetutamente al boss uccidendolo, oltre ad aver ferito diverse guardie del corpo.

 

Nella sequenza successiva invece il regista introduce i titoli di testa caratterizzati da una serie, in rapida successione, di freeze-frame in bianco e nero incentrati essenzialmente sulla routine giornaliera dell’uomo misterioso visto in precedenza. Routine caratterizzata da pestaggi, gioco d’azzardo e donne, tante donne.

 

Prendendoci un attimo di pausa è possibile individuare due aspetti interessanti provenienti dalla visione di queste prime due sequenze. Innanzitutto l’esplosione di violenza improvvisa rammenta un certo cinema di Takeshi Kitano mentre i titoli di testa sembrano quasi richiamare l’inizio di Street Mobster, capolavorone del maestro Kinji Fukasaku. Fukasaku viene rievocato altresì in alcuni atteggiamenti del protagonista, uno yakuza assai dolente nel constatare un cambiamento radicale della malavita organizzata, un po’ come il protagonista di Street Mobster.

 

Trascorrono pochi minuti ed ecco arrivare un terzo omaggio esplicito e questa volta tocca al buon vecchio Takashi Miike. Miyasaka Takeshi piazza una scena folle ed iconoclasta ambientata in un night-club lussuoso con il protagonista che per vendicarsi di un affronto subito, prima rapina la bisca adiacente al locale poi irrompe nel club ed urina in faccia ai clienti; conclude lo show violentando una cameriera (poi scopriremo essere la sua fidanzata) sempre sotto gli occhi increduli dei clienti. Scena alla Takashi Miike.

 

Continuando con gli aspetti positivi doveroso evidenziare una macchina a mano onnipresente abbastanza funzionale (altro richiamo a Kinji Fukasaku) inoltre interessante la rappresentazione della yakuka contemporanea più attenta ad operazioni di insider training piuttosto che a regolamenti di conti, il tutto con la polizia accomodata e corrotta seduta in un angolo.

 

Arrivati a questo punto subentrano alcuni evidenti difetti a partire dalla lunghezza del film. Miyasaka Takeshi non riesce a calibrare bene la materia allungando troppo il brodo; a tal proposito inutili e noiose le varie sequenze di sesso, poi risulta un po’ campata per aria anche la relazione amorosa -drammatica- del protagonista; in aggiunta la parte centrale dell’opera gira e rigira sempre su stessa, senza aggiungere nulla di nuovo né a livello formale né a livello tecnico. Rimanendo sul versante tecnico, il regista propone verso la conclusione due/tre stacchi di montaggio ellittico estremamente bruschi, stacchi quasi amatoriali andando ad intaccare in negativo il climax tensivo dell’opera.

 

In conclusione comunque siamo di fronte ad un film che merita la visione, soprattutto se si è amanti del genere.

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati