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Up Series - un assaggio del tuo futuro
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Quella che segue è la trascrizione di un podcast pubblicato su Spotify e Youtube:

 

Non molti la conoscono, ma esiste una serie di documentari britannici che si colloca tra l’esperimento sociale e il documentario storico. Una serie di documentari capace di lacerarti l’anima. Iniziai a guardarli nel 2015 ma degli otto capitoli prodotti riuscii a guardarne solo la metà prima di arrendermi. Ad oggi, dopo cinque anni, non ho ancora trovato le forze per continuarli. 

 

 

Seven Up!

 

Il primo capitolo, datato 1964, si chiama Seven Up!. Questo documentario, nei suoi circa quaranta minuti, mette molta carne al fuoco, sia a livello emozionale che contenutistico. Il leitmotiv principale è sicuramente la predestinazione sociale. Il documentario parla di quattordici bambini di sette anni scelti accuratamente per rappresentare il più vasto range sociale possibile. Il narratore inizia e chiude il documentario con la sua dichiarazione di intenti: il tentativo dell'opera è quello di rappresentare la forza lavoro dell'Inghilterra degli anni 2000. Da subito possiamo notare un'assurda differenza tra i tre ragazzini di Kensington che frequentano una scuola privata e i due ragazzini che vivono in un orfanotrofio. E questo si riflette nella capacità di ragionamento, di articolare un pensiero, di intavolare un discorso e di socializzare. Se questo da un lato fa pensare all'importanza dell'educazione, da un altro mette un'angoscia assurda addosso. Perché questi meccanismi si possono applicare in modo relativo al vissuto di ognuno di noi. Seppure il documentario, e le successive analisi tra cui quella pubblicata sul Telegraph nel 2012, tendano a sminuire l'universalità dell'opera. L'intero discorso sulla mobilità sociale rimarca forse l'ovvio, ma rimane comunque efficace in quanto assolutamente schietto e crudo.

 

Seven Up! adesso è conosciuto come primo capitolo della Up Series, una serie di documentari che ogni sette anni reincontra i protagonisti di questa pellicola per scoprire cosa è accaduto nelle loro vite. Ma inizialmente Seven Up! era pensato come un documentario stand-alone. Quindi, inquadrato nella serie, l'opera si rivela dissimile dalle successive in quanto funge da fondamenta. Se nei film detti "manifesti generazionali" si prende in considerazione l'età in cui si comincia ad avere a che fare con le responsabilità (un Dazed and Confused per esempio), l'Up Series riesce invece ad essere un manifesto generazione itinerante, che ancora adesso continua, un Boyhood reale. Come prodotto a se stante questo primo capitolo non perde comunque smalto, rivelandosi un documento storico coi controfiocchi.

 

Una parte importante del film è occupata dai pareri dei bambini. Tra i macroargomenti, l'altro sesso, la differenza sociale e il razzismo per esempio. Ed è qua che il film regala le sue emozioni più forti e più amare. Tra cui la scena in cui Symon, bambino di colore ospite di una casa di carità, chiede teneramente se gli altri non siano giustamente uguali a lui dopo una carellata di scene di frasi ingenuamente razziste pronunciate dagli altri bambini. Oppure quando Paul, l'altro bambino ospite della casa, controbatte alla domanda dell’intervistatore chiedendo cosa sia un’università, dopo che il regista ci ha mostrato una serie di scene in cui bambini in divisa illustravano con assoluta chiarezza i programmi del loro intero percorso accademico fino all'università.

 

In tutto questo si unisce un discorso esistenziale (i sogni dei bambini), che però potrò essere espresso più potentemente coi successivi capitoli dell'Up Series. Comunque sia, Seven Up! è un documentario a metà tra l'esperimento sociale e il documento storico che riesce a rendersi un capolavoro a se.

 

7 Plus Seven

 

Da Seven Up! a 7 plus Seven molte cose sono cambiate. La sedia del regista è passata da Paul Almond a Michael Apted. Le riprese sono ora a colori. Ma soprattutto sette anni sono passati e ora i nostri protagonisti sono quattordicenni, immortalati tra fanciullezza e vita adulta.

 

Da i brividi vedere il tempo che passa. Vedere i primi sogni e ambizioni sgretolarsi. Le frasi fatte per farsi grandi. 7 plus Seven riprende i nostri protagonisti, permettendogli di ribattere a loro stessi di sette anni prima, con l'aiuto di scene di repertorio. Adesso i personaggi cominciano a formarsi, come le loro personalità. C'è una maggiore consapevolezza. Discorsi e pensieri più articolati. Non c'è più tutta quella ingenuità dietro alle parole, e certuni cominciano a crearsi dei freni mentali.

Tornano alcuni temi. Quello della mobilità appare più debole rispetto a Seven Up!. Non è più così prepotente. A conti fatti esce fuori solamente quando Nick racconta che non vuole fare il contadino come suo padre, e che forse nemmeno suo padre voleva farlo, ma ci è rimasto "incastrato". La verità è che il tema passa con questo film da uno stato teorico a uno pratico. Non c'è più bisogno di parlarne, accade e basta. Continua l'atmosfera di superiorità dell'upper-class e la pietosità nei confronti dei più poveri. Non solo da parte dei personaggi, ma anche dalla narrazione, ma era forse necessario un punto di vista simile per un progetto del genere. Il protagonista di questo capitolo risulta sicuramente John, un ragazzo con delle idee fortemente conservatrici che troveremo spesso a sorridere beffardemente compiaciuto delle sue idee. Sua una delle frasi più memorabili del documentario: risponderà a una domanda che "l'Inghilterra è troppo inglese" per cambiare.

Il mio protagonista nonchè vincitore morale è però Nick, che tra ironia e sensibilità mi ha conquistato.

 

Se da un certo punto di vista tutta la riflessione sulla vita si rivela interessante, da un altro la stessa diventa oggetto, e questo capitolo gioca a scoprirne le meccaniche, teorizzando da un lato e sperimentando dall'altro. Tra le novità di questo capitolo la concezione che i personaggi hanno dell'altro sesso, che comincia a cambiare rispetto a quando erano settenni. Il tema nuovo della spiritualità e di Dio. Ma soprattutto il denaro, che comincia ad avere un'importanza notevole nei pensieri dei protagonisti. Una pecca secondo me e non aver fatto reincontrare tutti i protagonisti come nel capitolo precedente.

 

21 Up

 

Nel 1977 i nostri settenni sono diventati ormai maggiorenni. Questo nuovo capitolo dell'Up Series cambia per la seconda volta, dopo 7 Plus Seven, nuovamente le regole del gioco, introducendo molte novità.

 

Il film inizia facendo una cosa che volevo accadesse anche nel capitolo precedente, riunendo tutti i protagonisti assieme. Il documentario inizia con i ventunenni in una sala cinematografica, mentre il regista indaga le loro reazioni alle immagini del primo documentario. Tra risate e imbarazzi. Questa cosa mi ha toccato, perchè io stesso riesco a difficoltà a non emozionarmi quando rivedo video di me da piccolo, come fanno loro.

La prima novità di questo capitolo è che i protagonisti hanno una rinnovata consapevolezza del perchè vengono intervistati. L'intento del primo documentario (il grande discorso sulle possibilità, sulla predestinazione e sulla mobilità sociale) non è più sottinteso ma viene esternato chiaramente dal narratore, dando quindi adito a discorsi più complessi. Inoltre se a 14 anni si interrogavano ancora sulla finalità dell'esperimento, ora grazie a questa consapevolezza hanno la loro da dire e i loro appunti da fare. Adesso c'è un vero e proprio dialogo tra le due parti.

 

Si può fare perchè adesso i protagonisti sono piccoli adulti. Adesso il regista può permettersi di parlare di qualunque cosa, quindi all'amore si aggiunge il tema del sesso e le domande diventano più indiscrete. Questo capitolo è infatti più schietto e diretto. Non si fa più intuire niente, si dice. Se prima le intenzioni erano sottintese, ora per esempio il narratore annuncia Susie come "il prodotto di un’educazione privata e parenti benestanti". Il narratore non ha più freni, e questo anche grazie al fatto che ormai si suppone conosca bene i protagonisti. La realtà diventa uno schiaffo. Si passa dal "cosa ne pensi delle persone ricche?" di Seven Up! a "Invidi Susie dal momento che è nata in una famiglia ricca e ha la possibilità di viaggiare molto?". Le domande si fanno personali e sconvenienti.

 

Una novità è inoltre la mancata omogeneità dell'opera. Se i precedenti documentari erano divisi per argomenti, che venivano sottoposti a tutti i protagonisti, ora il documentario è diviso in capitoli, ognuno riguardante uno o più personaggi. Ormai ognuno ha qualcosa da dire, le strade cominciano a diventare sempre più variegate e i minimi comuni denominatori a venire meno. Ovviamente il discorso sulla vita, sui sogni, sugli amori, sulle aspettative ecc. rimane, ma la serie comincia a concentrarsi più sui protagonisti. Che ora non sono più bambini ingenui o quattordicenni che utilizzano frasi fatte per farsi grandi. Adesso i protagonisti sono personalità formate, ma con ancora qualche sogno, qualche speranza, qualche idea sul futuro non ancora confermata o smentita dai fatti.

 

C'è Nick, che tenta di scrollarsi di dosso un futuro da contadino frequentando l'università.

Ci sono le tre ragazze che a sette anni andavano a scuola assieme, mentre a quattordici una di loro ha deciso di fare una scuola differente. Questo permette al regista di utilizzare il fatto come sub-esperimento, parlando dell'importanza delle scelte (sottintendendo che alla ragazza che ha cambiato scuola, Lynn, è andata meglio nella vita).

Ci sono i tre ragazzi che a sette anni frequentavano la stessa scuola privata a Kensington. John rimane la personalità di spicco nel gruppo, ma in minor misura rispetto al documentario precedente, dove era uno il personaggio più in vista. Le sue idee sono sempre conservatrici, ma adesso è passato dal credere che "l'Inghilterra è troppo Inglese [per cambiare]" a pensare che la cultura inglese stia venendo inquinata da quella americana, ovviamente cambiando le cose in peggio.

Ci sono i due ragazzi che a sette anni erano ospiti della stessa casa famiglia. Symon sembra essersi arreso a una vita da lavoratore, o meglio sembra lasciarsi scorrere la vita addosso senza le dovute preoccupazioni. Paul invece ha realizzato che il suo obiettivo nella vita è di essere felice, ed è emozionante per quanto sincero appaia e per quanta poca retorica sia presente nelle sue parole. E' un buon esempio di vita. Questi due ragazzi oltre all'intervista classica hanno anche un malinconico spezzone in cui tornano nell'edificio della vecchia casa famiglia.

C'è Tony, il bambino che a sette anni andava in una scuola pubblica e amava menare le mani e arrampicarsi. Adesso è una persona sincera, che ha imparato dalla strada, faccia tosta, paura di nulla e ambizioso.

Ma il capitolo più amaro è posto quasi a fine documentario, riprendendo due ragazzi che a sette anni frequentavano la stessa scuola a Liverpool. Il regista è spietato nell'alternare spezzoni dei due protagonisti, dato che uno (Peter) adesso frequenta l'ultimo anno di università e ha dei sogni per il futuro mentre l'altro (Neil) vive occupando una casa abusivamente, indossa vestiti macchiati e soffre di un cinismo depressivo. A conti fatti il ruolo di Peter in questo documentario è quello di lavorare per contrasto. Neil è il capitolo più amaro perchè è negatività pura. E' una vita affondata a soli 21 anni. A rendere il tutto più amaro le immagini di Neil settenne, un bambino vivace e sorridente. Ma questa non è solo prerogativa di Neil. Tutti i personaggi (tranne Paul forse) cominciano ad essere leggermente più depressi, sofferenti e meno entusiasti di vivere.

 

L'Up Series da sensazioni tipiche ai lavori di Linklater: riesce a dipingere la vita contemporaneamente come infinitamente preziosa e fine a se stessa. Solo che i quattordici ragazzi di questo documentario non sono attori.

La novità di questo capitolo è che i protagonisti cominciano a uscire dai binari su cui erano stati messi dai genitori, decidendo da se il proprio futuro, tra chi è determinato a raggiungere un obiettivo a chi si fa scivolare addosso la vita. Non si respira più l'aria di esperimento, benchè sia effettivamente in pieno corso, perchè ormai ci si è affezionati ai protagonisti e pensiamo solo ad emozionarci. Il documentario perde l'appel di esperimento e diventa sempre più emozionante. Emozione è la parola chiave.

 

In questo capitolo c'è chi si è sposato, chi ancora non ha trovato qualcuno da amare, chi studia e chi lavora. Si sente che il tempo per costruirsi un futuro si fa sempre più stretto. Si gioca a confrontare e a gettare le basi per il confronto successivo. Ultima novità del documentario la durata, che è passata da 40 a 50 a 90 minuti.

 

28 Up

 

Nell’’84 esce invece 28 Up!. Il mio approccio con questo capitolo dell'Up Series è cambiato. L'Up Series è una serie che cambia in base all'età dello spettatore. Quando la vidi avevo 22 anni. Se nei capitoli precedenti (7, 14, 21 anni) vedevo il me stesso di una volta nelle varie sfaccettature dei protagonisti, nelle loro scelte giuste o sbagliate, con questo capitolo ho visto il mio futuro. Non sapendo però questa volta quale parte del me futuro è presente nelle loro sfaccetature. L'Up Series funziona un po' come una sfera di cristallo. Ovviamente la vita non è una scienza esatta, ma se come me siete giunti al quarto capitolo di questa serie vuol dire che avete compreso il gioco e avete deciso di giocarci, perlomeno durante la durata del capitolo stesso.

 

Il primo capitolo dell'Up Series, uscito nel 1964, era in bianco e nero. I capitoli successivi sono usciti a colori. La sensazione però, l'atmosfera, sembra aver intrapreso il discorso inverso. Le vite diventano sempre più grigie e depresse. E per quanto ci sia un'intenzione autoriale dietro, questa atmosfera è potenziata da un approccio documentarisco e quindi reale. Se i precedenti erano tutti capitoli pregni di eventi (l'infanzia, l'adolescenza, l'ingresso nella vita adulta), questo capitolo invece rappresenta la staticità. Certo, i protagonisti hanno adesso dei figli, ma la loro vita è ormai statica, la loro timeline è una sinusoide e temporalmente sono posizionati sull'ultimo tratto di salita, e non potranno che scendere. Ormai i successi e gli insuccessi sono quasi assodati, le ambizioni cominciano a svanire e il cinismo sparisce solamente per essere rimpiazzato da una vera disillusione.

 

Personalmente questo film fu una vera tortura. Perchè nei successi dei personaggi ci vedevo ciò che non sarei mai diventato e negli insuccessi ciò che sarei potuto diventare. Solo pochi personaggi mi hanno dato uno spiraglio di speranza. Paul, che fino a prova contraria sembra aver trovato un vita fatta di amore vivo e non abitudinario. E, paradossalmente, il senzatetto Neil. Non si capisce se Neil riesca a essere felice anche nella più miserabile delle situazioni o se si convinca di esserlo per rimanere a galla. Altre storie interessanti sono quelle di Tony, che nella sua ambizione si rivela un modello positivo, e Symon, che nella sua totale mancanza di ambizione si rivela un modello positivo per esclusione.

 

Curiosità di questo capitolo è che uno dei protagonisti ha deciso di non apparire mai più nella serie per dedicarsi – ironicamente - alla carriera di produttore di documentari per la tv.

 

Con questo capitolo si è conclusa la mia visione di una serie di documentari che ritengo una vera gemma ancora sconosciuta ai più. Una serie che non si può guardare sovrapensiero ma che si rivela una vera e propria esperienza, capace di mandarti ko se abbassi la guardia. Forse un giorno avrò la forza di continuare la visione di questa serie che è arrivata nel 2019 a mostrarci i protagonisti ormi 63enni.

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