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Chicago di notte
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Dick Wolf è senz’altro il vero uomo d’oro della serialità mondiale, produttore e sceneggiatore di alcuni dei lavori più fortunati del panorama televisivo: dagli inizi con “Hill Street Blues” e “Miami Vice” fino alla produzione di “Law & Order”, fortunato ed intelligente archetipo del procedurale poliziesco moderno. In onda per oltre un ventennio (dal 1990 al 2010), con innumerevoli spin-off tra i quali il quasi parimenti longevo “Law & Order – Special Victim Unit” (tuttora in corso), impazza sulle tv generaliste crime con infinite repliche ed ha consentito a più generazioni di spettatori italiani di conoscere, dietro l’apparente moniker giustizialista, le incertezze e (spesso) il cinismo (romanzato ?) del sistema giudiziario statunitense (la mia “squadra” preferita ? Eccola: il cinico Lenny Briscoe/Jerry Orbach ed il mellifluo Eddie Green/Jesse L. Martin tra i poliziotti, il vigoroso Jack McCoy/Sam Waterston e la bellezza celtico-messicana Connie Rubirosa/Alana De La Garza tra i Vice Procuratori e il dolente Adam Schiff/Steven Hill tra i Procuratori Capo).  

 

Esaurita (o quasi) la “vena” procedurale, il vecchio lupo ha saputo riproporsi in maniera vincente anche nella seconda decade degli anni 2000, spostando il fulcro delle sue storie da New York  a Chicago. Con una variazione di offerta palese, meno adulta nei contenuti e più orientata ad un pubblico giovanilista. Ed ecco quindi la produzione in massa, a partire dal 2012, del capostipite “Chicago Fire” seguito poi dai relativi spin-off “Chicago P.D.” (che sta per ”Police Department“ e non per “Partito Democratico” [anche se una serie Tv con protagonisti Martina, Minniti e Renzi nei panni dei poliziotti-tipo “il buono, il cattivo e lo scemo” alla ricerca dell’assassino della pseudo socialdemocrazia in Italia potrebbe essere un’idea valida), “Chicago Med” e lo sfortunato “Chicago Justice” durato una sola stagione (maldestro tentativo di restaurare, in salsa però trumpiana-reazionaria, lo schema vincente alla Law & Order).

Chi scrive si sarebbe tranquillamente tenuto alla larga dai frutti moderni dell’inventiva del caro Wolf, non per snobismo fine a se stesso ma perché la visione casuale di un paio di puntate di “Chicago Med”, una brutta copia di “E.R.” (pur)troppo “Grey’s Anatomy oriented” pullulante di bei faccini inconsistenti quanto le dichiarazioni politiche di Conte (con la sola rinfrancante presenza di due caratteristi d’annata quali S. Epata Merkerson  - Il Tenente van Buren di “Law & Order” – e dell’immarcescibile Oliver Platt) e di “Chicago Fire”, vero ritrovo di vecchie glorie del mondo seriale (Jesse Spencer, Monica Raymund, David Eigenberg, Eamonn Walker etc), mi aveva disvelato da subito i difetti principali dell’intero progetto: una scrittura arrembante ma imprecisa e consolatoria, con predominanza delle vicissitudini (prevalentemente amorose) dei protagonisti che soffocano orizzontalmente i “casi” di giornata.

Ma, per mantenere ad un livello accettabile la tranquillità del focolare domestico e rintuzzare l’accusa di monopolizzare la scelta delle serie TV da guardare, dopo lunghe e affannose trattative, io e la mia abituale compagna di visioni abbiamo fumato il calumet della pace davanti a “Chicago P.D.”, senz’altro la meno indigesta del trittico.

Nulla di speciale, per carità (il debito con l’inarrivabile “The Shield” è palese), morali basiche, intrecci risaputi e una continua ricerca dell’effettaccio (il più delle volte sterile), ma l’argomento (le indagini di una squadra di poliziotti dai modi poco ortodossi) e qualche attore azzeccato (Amy Morton, Elias Koteas) salvano il tutto dal naufragio dell’inguardabilità (a parte il totale miscasting di Sophia Bush – la “vissuta e rude” [!] detective Erin Lindsay - troppo minutina e perfettina per la parte [uno spasso vederla – nelle molte sequenze d’inseguimento a piedi – placcare e arrestare da sola, a mani nude, omoni in fuga alti 1.90 x 90/100 kg  di peso con la sua quarantina di chili scarsi] con l’aspetto di una quattordicenne).

La pace fu, quindi e, a parte qualche mia rimostranza alle gesta del Sergente Voight   continuamente paragonate a quelle del mitico Det. Vick Mackey (“Vic avrebbe fatto così, Vic avrebbe fatto colà”), tutto sarebbe andato liscio se non fosse per la fissa del crossover.

Perché mai come in queste “Chicago Stories” gli intrecci tra serie diverse diventano ragione d’essere dell’intero progetto, con storie che cominciano in “Chicago Fire”, passano da “Chicago PD” e si concludono on “Chicago Med” dopo essere transitate anche dalle parti di NY e precisamente negli uffici di “Law & Order - Special Victim Unit” (sic !).

Tutto gestibile, se  non si perde una puntata.

Se capita, invece, alla ripresa si noterà la mancanza di personaggi e di (qualche) filo logico, problematica non insormontabile per il sottoscritto ma che più volte stava per causare il dissotterramento dell’ascia di guerra stante la mia incapacità di trovare il “fil-rouge” online per un recupero (in replica) in extremis (difficoltà esemplificata da questo blog chiarificatore [sic !] http://ilcriticatoreditelefilm.blogspot.com/2015/12/come-guardare-chicago-fire-chicago-pd.html). 

Pertanto, dal basso della mia (in)competenza, sperando di contribuire a darle ulteriore vanto nell’immaginario collettivo, mi permetto umilmente di suggerire nuovi brand di sicuro successo ambientati nella “Windy City”:

Chicago School – la storia di una squadra di insegnanti di strada in perenne trincea per salvare studenti dai pericoli delle politiche di Trump, del Dipartimento della Pubblica Istruzione e dalle attrattive delle gang (in ordine di rischiosità). Caratteri tipo: il bello, la sognatrice, il cinico e la preside ortodossa (tra gli insegnanti); l’incantevole biondina, l’utopista, l’impudente e il gangsta-rapper (tra gli studenti). Con licenza di copulare tra loro. Colonna sonora: Fishbone a manetta;

Chicago Library – Bibliotecari a Chicago, serie antologica nella quale ogni puntata è ispirata ad un classico della letteratura mondiale; l’io narrante, Ismael, un libraio uscito di senno dopo l’ennesima lettura di “Infinite Jest” (e la visione del relativo supporto fonografico), innamorato timidamente ma tenacemente della segretaria del direttore, (un diafano donnino di nome Whitey), ci introduce pertanto in luoghi che vanno dal fantasy al grottesco. L’episodio pilota parte con la “Divina Commedia” ambientata nel South Side (con protagonista un gelataio nichilista ed il suo mentore fantasma, un ebreo occhialuto).   Colonna sonora: Bo Diddley e Chicago Blues a profusione;

Chicago City Hall – Politici a Chicago, serioso racconto delle traversie dello staff del Sindaco McDuff, noto gaffeur (di sangue irlandese al 56%) nonché puttaniere, giocatore d’azzardo, drogato, alcolizzato e fumatore incallito di qualsiasi cosa che somigli ad una sigaretta, ma in fondo onesto servitore della municipalità. La squadra di eroici assistenti è capitanata da Hal Neuf, robotico faccendiere poliglotta e razzista dallo sguardo inquietante, Johanna Stand, psicologa infantile amante del cinema mongolo e di McDuff (col quale si accoppia nelle pause tra una escort e l’altra) più un nugolo di stagisti vari (interpretati da attori reclutati nel sottobosco degli scarti dei provini della Disney e di “Hell’s Kitchen”), così suddivisi per soddisfare le regole del politically correct: 25% afroamericani (di ambo i sessi, tanto a McDuff vanno bene tutti), 25% caucasici (idem, tanto a McDuff e Neuf – quest’ultimo raffinato cuoco dilettante che ama far assaggiare i propri manicaretti agli stagisti ariani [dei quali però si perde traccia subito dopo https://nerdist.com/new-hannibal-cookbook-is-a-deadly-delight-exclusive/] vanno bene tutti) e per il restante 50% una folta rappresentanza del resto del mondo (tanto anche alla Stand vanno bene tutti [i malcapitati cadono come mosche dopo le temute uscite settimanali dedicate a visioni d’essai del cinema mongolo anni 60]). Colonna sonora: Badalamenti e Morricone, con moderazione.

Chicago Trash – Netturbini a Chicago, la serie nasce come  spin-off  di Chicago City Hall quando Jack Runkin, un sopravvissuto sia alle cene di Neuf che alle serate cinematografiche di Stand, decide di cambiare mestiere; diventa quindi un netturbino e, con ancora i segni evidenti dei disagi mentali e fisici patiti per le esperienze passate (pazzia - principalmente - e la comparsa di una strana gobba triangolare) ma con udito e olfatto sviluppatissimi grazie all’inaspettato effetto collaterale dei cocktail di droghe consumate per tenersi in vita dopo le esperienze passate (a discapito degli altri sensi), si aggira per la città riallacciando vite randagie di persone sconosciute rintracciate grazie alla loro immondizia ed ai suoi nuovi poteri. Farà adepti tra queste ultime, creando una squadra di freak dal cuore d’oro con l’unico scopo di riportare l’armonia nei bassifondi (e bruciare ogni singola copia – sia fisica che digitale – dei lavori di tutti i registi mongoli dagli anni 60 ad oggi). Ogni puntata ha il titolo di una merendina made in USA: si parte col pilot “Hershey’s Milk Chocolate Bars”. Colonna sonora: Talking Heads quanto basta.

Chicago Pest – Disinfestatori a Chicago, l’entomologo Al Deveraux, il biologo  Mike Hopper, il chimico Cooper Black e la dogsitter Helen Kimball operano nel settore della disinfestazione dopo aver fraternizzato agli incontri di recupero di “gaming disorder”; la loro società “Pesty Limited” riesce ad ottenere l’appalto per il recupero e la bonifica del sistema di fognature del “South West Side” grazie al loro sistema rivoluzionario di contrasto degli insetti: una letale miscela spray di formiche tritate, larve di locuste, acidi basici, Dr. Pepper e sostanze alchemiche sconosciute (denominato “The hammer”) . Tale ritrovato, efficacissimo contro i malcapitati insetti, ha però la spiacevole controindicazione di causare una piega nello spazio-tempo che scaraventa i nostri ai tempi del proibizionismo, dove dovranno vedersela con parassiti grandi come gangster cercando nel contempo di ritornare al futuro. Colonna sonora: un profluvio di “Big Band Sound”.         

E ovviamente non poteva mancare la puntatona crossover: si parte con “Chicago Pest” dove nel 1922 il ritrovamento di un libro antico in una nicchia dello scantinato di un “dancing club” dove la nostra squadra di disinfestatori ha trovato casa insieme ad un nutrito gruppo di ballerine e papponi dal cuore d’oro sembra contenere un oscuro messaggio cifrato in una lingua sconosciuta. Mischiando “The Hammer” con dello scadente whisky di contrabbando riescono ad aprire un contro-portale casuale che lancia il tomo nel flusso temporale facendolo atterrare, dopo alcuni salti dall’antico Egitto passando per la bisaccia di un oscuro fantaccino russo sul fronte della battaglia di Stalingrado nel 1942, nel 2018 e precisamente nella biblioteca della “S.Gregory High School” di Chicago Illinois. Passata la palla a “Chicago School”, dove il cinico professore e l’incantevole biondina, nell’atto notturno e fedifrago di riproporre una versione hard e muta de “Il Maestro e Margherita”, si imbattono nel volume durante la messa in scena della morte di Berlioz “per coppia solista” provocandone la caduta e l’accidentale apertura sulle oscure pagine. Il consulto con il resto della squadra in un fast food sembrerebbe non portare a nulla finché il gangsta-rapper non versa inavvertitamente un bicchiere di “A&W Root Beer Soda” sul messaggio la quale, reagendo con la composizione chimica delle pagine, lo rende finalmente comprensibile seppur in un inglese talmente accademico da risultare inaccessibile. Vengono pertanto consultati Ismael (Chicago Library) e Jack Runkin (Chicago Trash) i quali riescono a tradurre (il primo) il testo che riporta un solo numero ma espresso in incisioni cuneiformi comunque equiparabili al numero “9” ed a trovare una pista (il secondo) annusando varie fibre polverose del misterioso tomo. Effluvi che conducono al Municipio di Chicago (Chicago City Hall) dove, dopo aver compilato il modello “F18 bis” in triplice copia ed aver visto un corto in compagnia di Stand, i nostri riescono a seguire le tracce negli scantinati. Dove fa la sua apparizione Neuf (nine-nove), che viene smascherato dal poliglotta Runkin quale capo di una setta millenaria di cannibali operanti a Chicago almeno dal proibizionismo. Neuf riesce però a fuggire ed a giungere via mare sulle coste italiane del sud dove tuttora vive in ostaggio con un nugolo di suoi adepti in un limbo giurisdizional/sovranista senza via d’uscita, con le risorse di cibo che iniziano a scarseggiare…(to be continued)

Prendi nota, Dick.

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