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La Torre sull'Orlo della Notte (Parte I)
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Sottotitolo: racconto a puntate di inizio estate

 

 

Premessa (doverosa, due note per spiegarvi qualcosa)

La passione per la scrittura, conseguenza diretta di quella per la lettura, mi ha accompagnato in tutti questi anni. Quando arrivai qui sopra, su queste pagine, non fu solo per esprimere i miei pensieri sulla settima arte, ma anche (e forse, non lo nascondo, soprattutto) per tornare ad esercitare quella passione che da parecchi anni era rimasta nascosta in qualche angolo del mio armadio personale.

Dopo alcuni anni, e avvicinandosi il traguardo (ahimé) del mezzo secolo  (non di frequentazione del sito eh!?) ho deciso di mettermi un po' in discussione e provare a stendere qualcosa di nuovo. Un racconto che non ha pretesa di letteratura ma che vuole soltanto rappresentare  un omaggio all'horror e alla fantascienza (sia sui libri che al cinema), due generi che mi appassionano fin da bambino.

Le prime cose che scrissi riguardavano prevalentemente questi due filoni narrativi, (e ammetto con onestà che una cosa del genere la provai a fare credo cinque anni fa, una playlist che era un omaggio alla fantascienza sotto forma di un raccontino di dimensioni contenute); sono dunque grato a questo sito e soprattutto alle persone che qui ho incontrato e con cui mi sono confrontato, se la mia visione sul cinema si è ampliata fino a pormi di fronte a cose che una volta non avrei considerato.

Ho voluto, un po' per gioco e un po' per mettermi alla prova, tornare alle mie "origini".

Chi condivide queste passioni troverà riferimenti piuttosto espliciti a libri, autori e a tutto un immaginario che ha preso forme concrete grazie alla settima arte. Del resto non ho pretese di originalità, come ho detto più sopra il mio vuole essere solo l'omaggio di un appassionato.

In considerazione poi del fatto che qui si parla di cinema, ho "illustrato" il mio racconto con immagini tratte da film che hanno in qualche modo influenzato il mio immaginario personale e il mio approccio ai due generi.

Grazie a tutti coloro che vorranno dedicare qualche minuto del loro tempo per leggere le mie righe. Spero di non deludervi

 

 

La Torre sull'Orlo della Notte

 

 

Ggggggwwwwwaaaaaaarrrrghhhhhhhh!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

“Dottore, la prego ci dica la verità, non ci nasconda nulla”

“Mi lasci parlare con suo marito, Signora! A lui spiegherò tutto”

“Parli pure liberamente, Dottore! Io e mia moglie siamo pronti al peggio.......siamo preparati”

“E va bene” Il dottore sbuffò, la barba grigia e l'aspetto severo sembravano chinarsi di fronte alla volontà contro la quale nulla o poco poteva “Vostro figlio è gravissimo, c'è un'infezione in corso, portarlo in ospedale servirebbe a poco e anzi aggiungerebbe altri rischi. Cerchiamo di controllarlo, la tempra è forte, dobbiamo solo sperare che l'infezione passi”

“Ma.....le medicine? La nostra famiglia può sostenere qualunque spesa, qualunque cura possa essere utile, qualunque sia il costo......”

“Signori, credetemi, ho usato tutti i rimedi che la scienza medica contemporanea mi poteva mettere a disposizione.......ma anche se siamo ormai alla soglia del XX secolo, purtroppo abbiamo ancora enormi limiti” Il medico si interruppe, li guardò, e un tono di rassegnazione apparve sul suo volto:

“Non dovrei dirlo ma siamo nelle mani del Signore”

A quelle parole la donna cominciò a singhiozzare mentre il marito visibilmente provato cercò di mantenere i nervi saldi e non farsi travolgere dal dolore.

“Povero il mio Geremia.....” ripeteva la donna accarezzando i biondi capelli del figlio esanime.

I due uomini uscirono dalla stanza e la lasciarono sola col figlio. All'improvviso il ragazzo ebbe un sussulto ed ella si girò di scatto. Aveva colto come un boato provenire da oltre la parete alle sue spalle. La osservò con attenzione ma sul muro bianco campeggiava solo lo specchio entro cui si rifletteva l'immagine di un mamma addolorata e di un figlio che aveva da poco compiuto il diciottesimo anno di vita e che rischiava di concludere lì il suo percorso.

 

 

(dal film "Io Sono Leggenda")

 

Ggggggwwwwwaaaaaaarrrrghhhhhhhh!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

L'urlo dei Muthas un attimo prima che la mazza colpisse le loro teste era terribile, ancor più di quanto non lo fosse il loro aspetto. Umanoidi schifosi dalla pelle rugosa e dal colore indefinibile (“hanno il colore del peggior vomito prodotto da essere umano” come disse una volta Abraham, definizione azzeccatissima anche se un po' ripugnante), eppure per quanto potente potesse essere la repulsione prodotta dal loro aspetto, questa non era paragonabile al senso di orrore che incuteva quel grido.

Un rantolo pauroso uscito direttamente dai meandri dell'inferno che li aveva prodotti, un manciata di ghiaccio gettata dritta sui centri nervosi di chi aveva la sventura di ascoltarlo. Ma a Jared quell'urlo faceva l'effetto opposto, era quasi un piacere per lui sentirlo. Perché Jared sapeva benissimo che i Muthas lo emettevano in preda al terrore più folle, quando prendevano coscienza (ammesso che lo avessero, un barlume di coscienza) che per loro era arrivata la fine.

Avevamo scovato il covo dei Muthas per puro caso, in realtà era difficilissimo trovarli; nelle ore di luce si nascondevano nei meandri più bui della città là dove il sole non poteva arrivare neanche per sbaglio e nessuno, o almeno nessuno sano di mente poteva avere il coraggio di infilarsi là sotto per cercarli. Ma quando per un colpo di fortuna avevamo la certezza di dove fosse una loro tana, allora partivamo in spedizione, una decina di volontari (non di più, il rischio era alto quando c'erano di mezzo quegli esseri) armati di mazze ferrate e soprattutto di generatori di luce. Perché non c'è nulla che terrorizzi quelle bestie immonde quanto la luce.

 

 

(dal film "1975: Occhi bianchi sul Pianeta Terra")

 

In una incursione alla ricerca di cibo un paio dei nostri avevano raggiunto uno dei punti più lontani dalla nostra Torre, e nel vecchio supermarket oltre alle preziose scatole di cibo a lunga conservazione avevano trovato inequivocabili i segni del passaggio dei Muthas. Erano scesi nei piani sotterranei e in quello più basso, in un angolo, nascosto da scaffali accatastati alla bene e meglio, avevano trovato la voragine, da cui proveniva il pestilenziale odore dei mostri; ai cani si era rizzato subito il pelo e avevano scoperto le zanne, i nostri amici a quattro zampe li odiano anche più di noi e i ragazzi avevano abbandonato i sacchi pieni di scatole (del resto i Muthas non mangiano il nostro cibo, e sinceramente cosa mangiano non lo saprei neanche dire, ma se trovano un essere umano lo fanno a pezzi in pochi minuti, la morte peggiore che vi possa capitare credetemi), e avevano fatto precipitosamente ritorno alla Torre.

Erano arrivati quando le ombre della sera avevano già avvolto la nostra residenza, e noi cominciavamo ad essere preoccupati. Erano in preda al terrore più puro: i Muthas di notte sono i padroni della città, trovarsi per le strade buie equivale a una condanna a morte.

Jared ascoltò i ragazzi con attenzione e in silenzio, con i suoi occhi scuri concentrati sul racconto. Conosco bene i suoi silenzi, conosco bene quegli occhi, sapevo che sotto quello sguardo gelido c'era già il piano di una caccia.

Partimmo al mattino presto, i ragazzi erano con noi ma si rifiutarono di scendere né noi insistemmo perché venissero. Vedete, ammazzare un Muthas abbagliato dalla luce non è poi così difficile: barcollano accecati in preda al panico, devi solo prendere la mira e sfasciargli la testa con un colpo ben assestato. Il problema sono gli effetti collaterali, la materia “cerebrale” (ammesso che là dentro ci sia un cervello, di sicuro è una roba schifosa come poche) che ti schizza addosso, l'odore tremendo che ti avvolge (i Muthas puzzano come il culo del demonio e quando hanno paura puzzano ancora di più) e soprattutto il fatto che quando uno di loro comincia ad annaspare nell'agonia gli altri per quanto in preda al panico lo scuoiano e se lo divorano.

Roba da fare buttare fuori le budella anche a chi ha lo stomaco di ferro.

E infine, e direi sopra ogni altra cosa possibile, quell'urlo spaventoso che sembra voler annientare la tua anima.

Insomma se non hai i nervi saldi e se non ti offri volontario nessuno ti obbliga. A questo punto penserai che siamo dei pazzi solo per il fatto che alcuni di noi si prestino a una simile escursione nella tana di Satana (ammesso che Satana sia disposto ad andare a vivere con i Muthas.....io qualche dubbio ce l'ho), ma il fatto è che tutti noi sappiamo benissimo che l'unica speranza per il futuro e per quei pochi bambini che lo rappresentano sta nel lasciargli un luogo che si il più mondato possibile dalla presenza di quei mostri.

E allora se non sei un volontario lo diventi, perché in questa merda che ci hanno lasciato in eredità ci troviamo noi e noi ce la dobbiamo sbrogliare.

Entrammo con circospezione, i fari ben saldi in mano, i generatori carichi ci avrebbero garantito almeno mezz'ora di quella luce potentissima. Il fetore era terribile, le pareti erano ammassi di materiale indefinibile ed indescrivibile, il paesaggio uscito dalla mente di un pazzo e dipinto con i colori dell'oltretomba.......poi all'improvviso il movimento, un Muthas si era nascosto in un angolo di quella poltiglia e cominciò a urlare, noi arretrammo tutti, l'istinto di conservazione era più forte.

Tutti meno uno: Jared che con una freddezza concertante afferrò saldamente la mazza, la bilanciò con attenzione e la scaraventò con tutta la violenza possibile sulla testa di quell'orrore. Il cranio si afflosciò e il contenuto schizzò dappertutto, e quello fu il segnale della carneficina: la spavalderia di Jared era un proclama di battaglia per ognuno di noi, tutti trovammo il coraggio che non pensavamo di avere, afferrammo le nostre armi (“baseball bat” recitava l'etichetta dei reparti dei vecchi centri commerciali in cui le trovavamo, poi le guarnivano di chiodi e pezzi di ferraglia ed erano l'arma migliore contro i nostri nemici) e cominciammo a menare fendenti. In pochi minuti eravamo nell'incubo più spaventoso che tu possa immaginare.

 

 

(dal film "Aliens - Scontro Finale")

 

Una volta il vecchio Lucas mi fece vedere le immagini di uno dei libri che conserva con tanto amore, era un volume sulla storia della pittura, “Jeremy tu sai leggere, sei uno dei pochi, devi usare questo dono per conservare la nostra cultura”. Di tutti quei quadri raffigurati su quelle pagine uno mi rimase impresso in particolare, era di un certo Hieronymus Bosch e rappresentava un paesaggio allucinante. Ecco, giusto per darti un'idea di dove eravamo, a me sembrava di stare in un quadro come quello, ma ancora più terribile e spaventoso, il quadro che quel Bosch forse avrebbe voluto dipingere e non ci era mai riuscito.

 

Uscimmo all'aria aperta dopo un quarto d'ora o poco di più, senza feriti né perdite. I ragazzi ci aspettavano ad occhi sbarrati, i più tanti di noi cominciarono a dare di stomaco, l'odore pestilenziale e la vista della carneficina cominciarono a far sentire i loro effetti.

I conati li hai anche quando sei in mezzo a quel delirio ma ti trattieni, mettersi a vomitare in mezzo ai Muthas è il mezzo migliore per farsi squartare da quei maledetti.

Facemmo due conti, ne avevamo fatti fuori almeno un centinaio, era stata una buona caccia.

Poi procedemmo con la raccolta del cibo, riempendo le sacche con lo scatolame: nel mondo che esisteva prima le tecniche di lavorazione degli alimenti si erano talmente evolute da garantire un conservazione senza scadenza. Una delle poche cose buone che ci avevano lasciato in eredità i nostri predecessori, in mezzo a tutta una serie di orrori di cui i Muthas, a quanto possiamo sapere, rappresentano l'apice, e oltre ad una catastrofe di cui non avevamo in realtà capito molto.

Dunque bastava trovare un centro commerciale o un supermercato e ti riempivi di cibo. Una città progettata per milioni di individui poteva offrire scorte per decenni (forse per secoli) a un comunità di un centinaio di persone.

Il problema era che dopo anni dovevamo spingerci sempre più lontano e bisognava farlo nelle ore di luce, tra strade dissestate che non sempre potevi percorrere con i mezzi (e comunque c'era anche il problema del carburante, non era così facile trovarlo) e con la paura di fare incontri che non erano proprio il massimo della cordialità, branchi di cani randagi pronti a sbranarti, topi di fogna che si erano ingigantiti e ti potevano rosicchiare in pochi minuti e insetti pronti ad aggredirti in massa per succhiarti ogni goccia di sangue.

Comunque tutti esseri amichevoli se paragonati ai Muthas!

 

“Geremia, Geremia.....”

“Rachele non ti sente, la febbre lo tiene in un sonno profondo”

“Eppure lo sentivo parlare sai.....diceva qualcosa su una torre.....”

“Sogni, mia cara. Ora vatti a riposare. Geremia è ancora con noi, non dobbiamo perdere le speranze”

Rachele uscì dalla stanza con un sorriso sfiancato. Quella donna si reggeva in piedi per miracolo. L'uomo la guardò preoccupato, amava moltissimo quella donna e l'idea di perderla gli era ancora più intollerabile della tremendamente probabile perdita del figlio.

Poi si volse di scatto verso lo specchio e si avvicinò. Aveva visto come un movimento e un paesaggio devastato, solo per una frazione di attimo. Eppure la sensazione era molto forte

“Sto cominciando ad avere le allucinazioni” pensò fra sé e sé.........

 

 

 

(dal film "Terminator 2 - Il giorno del Giudizio")

 

“Eccoli sono tornati” Il tono di Abraham non nascondeva il sollievo per il nostro ritorno. Eravamo andati con i mezzi, vecchie automobili ammaccate e modificate per resistere agli attacchi, consumavano un sacco di carburante li usavamo ormai solo per le spedizioni di guerra.

Davanti a noi troneggiava la nostra casa, la Torre. Un edificio a quindici piani dalla base molto ampia. Non era certo il più imponente della città anzi, ma era quello meglio conservato di tutti. Era stato edificato sulle sponde dell'ampio, gigantesco fiume che tagliava praticamente in due l'immensa area urbana, anche se non so quanto possa essere giusto definire una distesa di sassi sperduta nell'infinito con il termine “fiume”. Sui libri ho letto che i fiumi sono corsi d'acqua, io lì a mia memoria di acqua non ne avevo visto scorrere, solo le pozze che si formavano dopo i violenti acquazzoni della notte.

Tutt'intorno, per miglia e miglia, si estendeva la città, un immenso agglomerato urbano che una volta, come mi spiegò Lucas quando ancora aveva voglia di raccontarmi tutto quello che aveva visto, ospitava milioni e milioni di persone. Poi era successo qualcosa, ma alle mie domande il vecchio si nascondeva: “stai tranquillo Jeremy, ti racconterò quando sarai grande, adesso non capiresti fino a che punto si è potuta spingere la follia umana”, e così restavo lì da solo con la mia curiosità, aspettando di crescere. Alla fine ero cresciuto ma il vecchio Lucas era diventato troppo vecchio, non si ricordava più nulla, farfugliava parole senza senso. Sembrava ormai attendere solo la morte.

Quello che io so è che Lucas, Jacob, Nathaniel e pochi altri che erano sfuggiti alla catastrofe avevano vagato per la città fino a trovare quel rifugio. In mezzo a un mare di macerie, di grattacieli traballanti e ruderi inabitabili avevano trovato un palazzo integro, progettato per essere autosufficiente: pannelli solari sul tetto, incredibilmente intatti, davano energia elettrica mentre un sistema di raccolta e depurazione delle acque piovane garantiva il rifornimento idrico.

Certo c'era il problema del cibo, quello del rendere quel luogo sicuro e tanti altri ancora. Ma intanto si poteva partire con una buona base.

Una Torre posta sull'orlo della notte più nera che l'umanità avesse mai conosciuto.

Avevano reso quel luogo l'ultimo rifugio per chi era sopravvissuto, e avevano dedicato la loro vita a cercare i pochi superstiti che potevano essere salvati e potevano contribuire alla rinascita della civiltà umana.

Avevano iniziato dunque a esplorare la città, trovando nella grande maggioranza delle volte solo cadaveri, interi nuclei distrutti forse dalle bande di criminali che vagavano indisturbati o forse dagli animali che si erano moltiplicati ed erano diventati ferocissimi. Poi avevano trovato tracce di massacri più efferati, corpi sbranati con una ferocia inaudita, opera di esseri che non erano assimilabili a nessun animale, neanche a quello peggiore di tutti che si chiama “uomo”.

Ed erano arrivati i Muthas, umanoidi orrendi dallo sguardo spento, e dalla crudeltà senza limiti.

Le bande di criminali erano sparite, gli animali non rappresentavano più il pericolo maggiore, adesso c'erano i Muthas.

Cosa siano e da quale abisso siano stati partoriti questo non lo sappiamo, Lucas e gli altri anziani in certi discorsi fatti di notte quando pensavano che tutti dormissero (ma io non dormivo) avevano parlato di esperimenti genetici, virus sperimentati sulla popolazione, controllo delle nascite e cose simili, ma io ero troppo piccolo per capire, anzi i miei ricordi sono così confusi che rischio di mescolare fra loro cose slegate.

C'era quasi un tacito accordo fra noi e gli anziani, nessuno faceva domande sui Muthas e loro si guardavano bene dal parlarne.

E adesso che abbiamo il coraggio e pure l'autorità per farle, quelle domande, nessuno può rispondere..............

 

 

(dal film "Blade Runner")

 

(continua......)

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