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La maschia commedia italica
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Femmine contro maschi.

I maschi e le femmine: quei concetti "animali" con i queli classificavamo i nostri simili in età scolare. Una settenne scopre il cinema, o i suoi brandelli, avendo appreso in televisione della morte della "signora con gli occhi viola". Si dispera perchè il suo iride è marrone, e dichiara che da grande, con assenso della mamma, vuole dipingersi i capelli di giallo, mettere un vestito azzurro, i tacchi alti, e le lentine azzurre da cui vedere un mondo azzurro. Come Barbie. Non faccio in tempo a dirle che non è cambiando il colore dell'iride che le cose, intorno, cambiano colore. Ci vorrebbe un sommovimento delle pupille, magari sotto l'effetto di una pozione magica.

Ben altro cinema è quello senza occhi viola, senza il temperamento controverso e gli eccessi dell'americana Liz. E' il cinema che si incarta, che macina, che riparte, anche fallendo, della post-post-moderna "commedia all'italiana". E' un'industria invischiata nei legami parentali e in strettissime vedute commerciali, ma gioca a fare la grande industria: logica, razionalità, ritmi inflessibili. Si giustifica citando lo scomparso, corroso e vitale Monicelli, che a 60 anni, in uno scontro televisivo con un giovane e irritante Moretti, rivelò tra le righe di non essere interessato ad una nuova figura di donna e di attrice, che un uomo della sua generazione non poteva fisiologicamente esserlo.

Qualcuno lo "cita" rivisitandone uno dei film, forse, non tra i migliori: quell' Amici miei affettuosamente ricordato per l'amara deriva esistenziale di un gruppo di uomini, così legati da complicità istintiva e "virile", così lontani dalle fastidiose donne che li aspettano a casa e anche dai loro passeggeri oggetti di piacere.

Ma non è parlando del male, come è ovvio, che si fa il male. E' lo stile a rafforzare il sogno cinematografico italiano, che qui come altrove, nel ricco e sempre più emancipato occidente, ha avuto bisogno delle donne e della loro intrinseca decoratività per alimentarsi. Anche i più grandi sono caduti nella trappola, innervando opere pregevoli di desolante qualunquismo che trapela, con forza, tra un'inquadratura e l'altra. E talvolta invecchiando, inaridendosi.

E allora non stupisce se a farlo sono i "piccoli"non solo anagraficamente, che guardano da lontano il '68, il '77 e tutto ciò che capitò in mezzo. Non stupisce il virtuosismo mediocre di Muccino e del suo Ricordati di me, ma neppure il mago del botteghino Fausto Brizzi, sceneggiatore e regista di un filmetto nostalgico dalla colonna sonora accattivante che ci riprova, l'anno dopo, bissando il successo.

Fanatico degli effetti videoclippari e del blu dipinto di blu dello Zoomarine, inNotte prima degli esami - oggi ci mostra una gioventù esteriore e cupa, pur nella sua vitalità posticcia espressa in flashmob fintissimi. Un nonno piacione che fu il bel Franco Interlenghi (nonno di una Santjust, padre di un'Antonell-ina) solidarizza con una maschera d'uomo che prima dichiarava d'odiare ai danni di una figlia di mezza età bistrattata e tradita e in aiuto della "famigghia", sacra istituzione che "guai a chi la tocca". Una fidanzatina bionda, quasi una comparsa, sembra quasi voler cedere nel tornare con un fidanzato poco interessato, scemo, bruttino e violento. Ma poi non lo fa (come accadeva nel primo film, per via di circostanze tristissime). Una ragazza rossa fa lo scendiletto del protagonista, invaghitosi di una che più che emancipata è fortunata: lavora allo Zoomarine, sbaciucchia i delfini e va a finire gli studi a parigi, pur non mostrando un'intensa attivitò cerebrale. Il protagonista in questione è incostante, volubile, interpretato da un 25enne che fa scorpacciate di elio. Una professoressa romantica e un po' gerontofila vorrebbe metter su famiglia con il padre del protagonista, 50enne puerile e privo di cervello, cuore e nervi, salvo scoprire in extremis che il tale non è neppure capace di raccontare balle. Tante tristissime figurine femminili si affiancano, nell'ombra, ai mediocri maschietti coadiuvati da pessime scuole di recitazione, alle battute telefonate e ad una colonna sonora omologata e brufolosa.

Si affiancano, restando sempre, nell'etica-estetica di Fausto Brizzi, un po' dietro. Quando un film di rara bruttezza racconta qualcosa di grande, tetro e abissale.

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