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Le vergini di Salem

Regia di Raymond Rouleau vedi scheda film

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Utente rimosso (spopola) 1726792

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La recensione su Le vergini di Salem

di Utente rimosso (spopola) 1726792
6 stelle

Conosciamo ormai da tempo quali sono stati i disastrosi esiti  che ha prodotto  in America il maccartismo e come ha segnato in negativo la vita di  tantissime persone “linciate” moralmente per le loro idee fra delazioni ed epurazioni, quanti personaggi anche di primo piano si sono visti distruggere una promettente carriera per la sola colpa di non aver voluto “abiurare” il loro credo, per non aver inteso considerare un reato il  voler rivendicare apertamente la propria posizione ideologica, per non aver accettato la perversa logica dell’ammissione e della denuncia chiamando in causa altri innocenti. Si sono spesi fiumi di inchiostro a posteriori, ma il vivere in diretta la cosa deve essere davvero stata una tragedia immane per chi ci è incappato dentro, indipendentemente da come ha reagito e come si è comportato (magari ance sbagliando e “cedendo” al ricatto).

Credo che fosse però difficile  in America in quegli anni parlarne e prendere posizione, e sopratutto condannare  apertamente  questa ingiustificata e colossale “caccia alle streghe” (perché proprio di questo si trattava) senza finire all’indice, con il rischio così di essere inclusi nella lista nera, quanto meno dei sospettati fiancheggiatori con tutte le conseguenze negative che ne sarebbero derivate. Cogliendo il senso del paradosso e delle analogie,  ci provò però  a farlo “in diretta” uno scrittore liberal come Arthur Miller che non poteva rinunciare a prendere una chiara, anche se velata posizione al riguardo e che, utilizzando appunto la metafora della storia,scrisse un dramma come  Il crogiolo, attraverso il quale, puntando indirettamente il dito sui terribili fatti della contemporaneità, raccontava invece quelli altrettanto tragici accaduti a Salem (Massachusetts) nel 1692.  Un  testo fluviale il suo che adesso potrebbe apparire anche un po’ prolisso e didascalico nelle sue enunciazioni programmatiche, ma assolutamente necessario e importante all’epoca, perché senza sembrare, con l’apparente senso di voler documentare un fatto accaduto molti secoli prima, evidenziava invece a chiare lettere l’orrore di una malversazione in corso. Va a suo merito quindi il coraggio di averlo fatto correndo a sua volta il rischio e di averci lasciato in eredità un testo che già nell’immediato ebbe una vasta eco in tutto il mondo, certamente per le ragioni politiche e di denuncia  che ci si potevano leggere dentro, ma anche per la forza drammatica ed esplicita dei suoi contenuti, che parlando di religione e di “responsabilità individuale”, facevano leggere in filigrana tutte le storture di una aberrante e retrograda ideologia, appunto di stampo “medievale”, portata alle estreme conseguenze  in quel periodo dal Senatore Joseph McCarthy e dai suoi adepti.

Il crogiolo fu rappresentato “a caldo” (nel 1955 appunto)  anche qui in Italia in una pregevole, autorevolissima edizione curata dalla straordinaria regia di Luchino Visconti allora regista di punta anche nel teatro: un’edizione coinvolgente e lussuosa la sua che adesso credo sarebbe non solo improponibile, ma nemmeno immaginabile per le condizioni  riservate alla “cultura” dai nostri governanti, proprio a causa degli elevati costi di produzione che sarebbero insostenibili per qualsiasi produzione sia di teatri Stabili che tantomeno di compagnie private, dovuti principalmente all’esorbitante numero di attori da impegnare nella messa in scena, moltissimi dei quali in parti di assoluta primaria importanza. Tanto perché possa essere ancor più chiara la cosa, mi sembra necessario indicare per lo meno il nome di una parte dei numerosissimi attori impegnati in quella produzione, un folto stuolo di “eccellenze” fra le quali primeggiavano quelle di  Tino Buazzelli (il reverendo Samuel Parris), Gianni Santuccio ( John Proctor), Lilla Brignone (Elisabeth Proctor), Carlo D’Angelo (il reverendo John Hale),  Edda Alberini (Abigail), Paola Borboni (Signora Putman), Alida Cappellini, Marisa Pizzardi, Cesare Fantoni, Laura Giordano, Laura Betti, Adriana Asti, Vittorina Benvenuti, Gianni Lepsky, Olinto Cristina, Camillo Pilotto (Danforth) Giuliana Lojodice, Adriana Vianello e Silvano Tranquilli, che ben rendono il senso della “grandiosità” dell’impresa.

Stranamente invece il cinema (soprattutto quello americano che avrebbe dovuto essere molto più sensibile e pronto alla cosa) si lasciò invece sfuggire la ghiotta occasione di fare una adeguata trasposizione in immagini di quei “parallelismi evidenti”. Un peccato davvero, perchè molti dei suoi nomi più illustri erano state proprio le  principali vittime di quell’ignominia, e poteva essere così compiuto un tempestivo atto di giustizia anche riabilitativa nei loro confronti.

Perché qualcuno a Hollywood si ricordasse di quel testo, si è in effetti dovuti arrivare al 1996 con La seduzione del male (titolo adottato per l’edizione italiana, ma  appunto The Crucicle in originale) che non gli ha reso però un buon servigio a causa della scialba regia di Nicholas Hytner. Infatti nonostante che la sceneggiatura sia stata redatta dallo stesso Miller, non riesce assolutamente a stare al passo con l’originale (e magari sarà anche colpa del troppo tempo passato che rende inattuali molti spunti). Rivisitata  in chiave soprattutto psicoanalitica (l’isteria delle “indemoniate”come conseguenza di una inappagata e repressa ossessione sessuale) a scapito di un ancora attualissimo riferimento alle persecuzioni in nome e per conto delle ideologie che continuano a funestare gli avvenimenti della contemporaneità, la storia perde totalmente la forza corrosiva della denuncia, e il tutto diventa quindi un pesante e farraginoso “melodramma” infarcito da uno sterile susseguirsi di scene madri  poco coinvolgenti nelle loro enfatiche e un po’ sterili esteriorizzazioni, sorrette esclusivamente dalla bravura degli interpreti (Daniel Day-Lewis, Winona Ryder, Joan Allen, Paul Scofield, Bruce Davison) che fanno davvero l’impossibile per evitare il totale naufragio.

Non altrettanta disattenzione fu riservata invece al testo dal cinema europeo  che proprio nel 1957  ne realizzò in Francia una versione dal titolo  Le vergini di Salem, sicuramente migliore della pellicola di Hytner, ma analogamente  deficitaria nella regia affidata a un non più che volonteroso Raymond Rouleau (1904-81), teatrante di spicco del periodo. L’opera è abbastanza discontinua e manierata e mantiene ancora oggi il suo principale punto di forza nella straordinaria potenza espressiva ed evocativa della fotografia giocata sui magnifici contrasti di un bianco e nero molto cupo e appropriato, realizzata da un Claude Renoir in stato di grazia.

Eppure qui l’impegno aveva avuto matrici di eccellenza proprio per svilupparsi nella giusta direzione, a partire dalla scelta di Jen-Paul Sarte per scrivere la sceneggiatura, che ce ne offre infatti una rilettura molto più ideologizzata e carica di evidenti allusioni politiche nella rappresentazione dei fatti e delle contrapposizioni, ma si scontra poi con le debolissime qualità narrative del regista che non riesce a stare del tutto al passo, tanto che ne emerge un ibrido dove ancora una volta e nonostante la scrittura orientata in tutt’altra direzione, sembra alla fine essere proprio la psicanalisi comportamentale dei fatti e delle pulsioni ad avere la meglio. La messa in scena di Rouleau che si riscatta parzialmente solo in un finale pieno di passione e di emozione (per altro magnificamente reso dagli interpreti) è tutt’altro che stimolante (oserei definirla “decorosamente” anonima), un po’ didascalica e ingessata nel suo accademismo formale, e riesce solo a tratti a far lievitare la materia, nonostante l’importanza del cast. Si avverte insomma  una frattura evidente fra le intenzioni dello sceneggiatore e quelle del suo realizzatore in immagini, come se anche Rouleau si sentisse in parte intimidito (o forse preoccupato) a dar una lettura altrettanto infuocata di quella delle parole, scegliendo di conseguenza una strada di neutralità che rende molto meno pregnante il risultato.

Come ho già accennato, in alcuni segmenti (come appunto quello finale)  raggiunge  comunque una straordinaria dinamicità drammatica con il contributo essenziale della partecipata e intelligente mediazione interpretativa di due attori di classe e qualità come Yves Montand e Simone Signoret. Raymond Rouleau è invece abbastanza accademico e un po’ troppo “teatraleggiante” anche come interprete, mentre nel nutrito ruolo delle giovani “indemoniate” si distingue una ancora acerba Pascal Petit.  Fra tutte però si eleva la maiuscola prova (mai più così brava e intensa) di una straordinaria, conturbante  Myléne Demongeot, viperina e seducente Abigail, vero e proprio deux ex machina “volontario” e pilotato della tragedia.

Resterebbe a questo punto da parlare del dettaglio degli avvenimenti, ma per sottolineare ancora di più la matrice “politica” originaria dell’operazione e l’occasione che si è perduta nel rappresentarla praticamente, ritengo più interessante riportare invece le note scritte dallo stesso Arthur Miller  come prefazione al testo che meglio di ogni altra cosa, a mio avviso rende bene l’idea:

Questo dramma non pretende di essere storico nel senso che gli studiosi danno a questa parola. I fini di una riduzione scenica hanno consigliato in alcuni casi la fusione di molti personaggi in uno solo e anche il numero delle ragazze coinvolte nelle “confessioni” è stato ridotto, mentre è stato aggiunto qualche anno all’età di Abigail. Ciò nonostante ritengo di aver integralmente rispettato la natura essenziale di uno dei più strani e terribili capitoli della storia umana. Ciascun personaggio segue infatti la sorte che è toccata al suo modello storico, né vi sono nel dramma personaggi che nella realtà non abbiano vissuto una simile (e in alcuni casi) identica vicenda. (…) Al tempo di questi fatti, il reverendo Parris era sulla quarantacinquina. Egli si comportò in modo così spregevole che ben poco si può dire in suo favore. (…) Era vedovo e non amava i bambini né sapeva come trattarli. Li considerava dei piccoli adulti; e prima di essere coinvolto in questa strana vicenda (come del resto ogni abitante di Salem), non gli sarebbe passato per la mente che i bambini potessero fare qualcosa di diverso dall’esser grati agli adulti per avutola “concessione” di camminare dritti, con gli occhi bassi, le braccia lungo i fianchi e la bocca chiusa fin quando non fossero stati sollecitati a parlare. (…) Salem era stata fondata appena quarant’anni prima. Nel mondo europeo si diceva che l’intera provincia era una frontiera barbarica abitata da una setta di fanatici, i quali però esportavano prodotti che a poco a poco aumentavano in quantità e valore, ma non ci è dato di sapere con esattezza come si svolgesse la vita dei suoi abitanti: non c’erano romanzieri fra di loro, e d’altra parte nessuno avrebbe avuto il permesso di leggere un romanzo, ammesso che avesse potuto procurarselo. La religione proibiva qualsiasi attività che assomigliasse a un teatro o a simili “vuoti piaceri”. A Natale non si facevano feste e il giorno di riposo comportava semplicemente il dovere di una maggiore dedizione alla preghiera (…) probabilmente più che la fede, era la durezza della vita a mantenere la rigidezza dei costumi e a frustrare rendendoli peccaminosi i piaceri della carne. Quella gente infatti era costretta a lottare con eroismo con la terra per strapparle ogni chicco di grano e non restava quindi a nessuno molto tempo per i divertimenti e glia pagamenti sessuali.

La repressione era totale tanto che era stato istituita una pattuglia di due uomini il cui compito era quello di “fare la ronda” durante il servizio religioso per notare e denunciare chiunque indugiasse nelle vicinanze della chiesa incurante delle leggi e degli avvertimenti, o comunque restasse a casa o nei campi e non fosse in grado di darne una lecita giustificazione, e di registrare di conseguenza i nomi delle suddette persone inadempienti per e comunicarli ai magistrati onde potessero essere presi provvedimenti a  loro carico.

Questa interferenza un po’  “impicciona” contribuì non poco a creare quella diffidenza che senza dubbio alimentò la follia collettiva che sarebbe seguita di lì a poco, causata da una perfida denuncia “vendicativa” di Abigalil per “riconquistare”  un uomo come Proctor che si manifestava già diverso dalla restante comunità e non poteva per questo che creare sospetti con la sua capacità di essere probo ma non ossequiente così diverso da tutti gli altri abitanti della città votati alla mortificazione e alla persecuzione.

In pratica, i cittadini di Salem credevano fermamente di tenere saldamente in mano la fiaccola che doveva portar la luce al mondo intero. (…)  Non è difficile quindi rendersi conto come sia stato possibile far credere a molti che la confusione dei tempi fosse il frutto di forze occulte e soprannaturali. Non c’è traccia di siffatta speculazione nei verbali del processo, ma è noto che in qualunque epoca i disordini sociali generano questi sospetti mistici; e quando come accadde a Salem, si comincia a parlare di forze occulte che minano la compagine sociale, soprattutto se riguardano direttamente la sfera sessuale e il demonio, non si può pretendere che il popolo non sfoghi sulle vittime la violenza delle proprie delusioni e frustrazioni.

La tragedia di Salem che ho inteso mettere in scena, ebbe origine da un paradosso. Viviamo tutt’ora nella morsa di questo paradosso, e la sua soluzione a quanto sembra non è ancora in vista e ci sta anzi danneggiando pesantemente: una teocrazia, formata su un complesso di poteri statali e religiosi che teneva unita (come cerca di fare ancora oggi) la comunità difendendola dagli elementi disgregatori materiali e ideologici delle diversità di pensiero. (…) Ma ogni organizzazione è,  e non può non essere, imperniata su esclusioni e divieti, e non accetta infrazioni o pericolose diversificazioni. (…) La caccia alle streghe fu dunque una tremenda manifestazione del panico che si diffuse in tutte le classi quando la bilancia incominciò a pendere a favore di una maggiore libertà individuale. (…) La caccia alle streghe non costituì tuttavia, una repressione pura e semplice. Essa fu anche l’occasione a lungo attesa, da chi ne sentisse il bisogno, di confessare impunemente in pubblico le proprie colpe e i propri peccati rendendone responsabili gli accusati, in una follia collettiva sempre più abnorme e incontenibile. D’un tratto, per esempio, sembrò persino plausibile (oltre che doveroso e santo), per un uomo, affermare che Martha Corey era entrata di notte nella sua camera da letto, mentre sua moglie dormiva accanto  a lui, e che gli si era buttata addosso quasi soffocandoli mescolando così le fantasie del suo inconscio e del probabile desiderio con una fallace realtà immaginata, perché naturalmente si trattava dello spirito di Martha e la sua era semplicemente una ipotesi mentale o un sogno, ma la soddisfazione che l’uomo provava nel confessarlo non era minore di quella che avrebbe provato se si fosse trattato di Martha in carne ed ossa perché normalmente non si poteva parlare di queste cose in pubblico, e ogni elemento legato direttamente o indirettamente al sesso era tabù…

Così gli odii tra vicini, soffocati per lungo tempo, potevano finalmente avere sfogo e vendetta, nonostante le prescrizioni della Bibbia. La sete di terra che prima di allora si era manifestata negli incessanti contrasti sui confini, poteva finalmente essere portata sul piano della moralità. Si poteva insomma accusare di stregoneria il proprio vicino e sentirsi pienamente giustificati. Era lecito sfogare vecchi rancori, in nome della lotta fra Lucifero e il Signore. La diffidenza e l’invidia dei poveri verso i più ricchi insieme alla repressione sessuale,  poterono così esplodere in una vendetta generale che lasciò sul campo molte vittime perché fra i pochi rimasti a resistere alla tentazione della delazione in cambio della vita, solo Proctor,avrà la statura morale per non lasciarsi corrompere dalla seduzione del male. (…) non molto tempo dopo… estinte le sue vittime innocenti e pagato il suo contributo di sangue, la febbre si placò e Parris fu revocato dalla carica e allontanato dalla comunità. Secondo una leggenda poi, Abigail fu invece scoperta a Boston a fare la prostituta.

Vent’anni dopo l’ultima esecuzione, il governo indennizzò le vittime ancora viventi e le famiglie dei morti. Però è evidente che alcuni non volevano ancora saperne di ammettere la propria colpa, e infine che lo spirito fazioso era ancora vivo poiché alcuni dei beneficiari non erano affatto le vittime bensì gli informatori (…) La congregazione in riunione solenne, abrogò le scomuniche solo nel marzo del 1712. Però lo fece in seguito agli ordini del governo, e non per sua esplicita scelta. Comunque, la giuria redasse una dichiarazione in cui chiedeva perdono a tutti coloro che avevano sofferto. Alcuni poderi che appartenevano alle vittime furono lasciati andare in rovina, e per oltre un secolo nessuno volle comprarli o abitarvi, ma in ogni caso, sotto ogni aspetto pratico, il potere teocratico, nel Massachusetts fu così di fatto spezzato (almeno nell’immediato) anche se poi la Storia ci sarebbe più volte ritornata sorpa per recuperarli e farlo proprio.

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