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Strategia di una rapina

Regia di Robert Wise vedi scheda film

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La recensione su Strategia di una rapina

di SamP21
8 stelle

Partendo da Wise, regista del film, per parlare di questo robusto noir di fine anni ’50; si ha la sensazione che sia uno di quei registi imprendibili, capace a fare tutto, tutti i generi, tutti gli umori: musical, noir, horror, western, fantascienza e commedie. Torna al Noir dopo anni con un ritratto di un’amarezza desolante e annichilente.

 

La trama in breve:

Dave, ex ufficiale di polizia, ha studiato in tutti i minimi particolari il piano di una rapina ai danni di una banca. Per attuare il colpo ha bisogno di uomini validi e li trova. Si tratta di Earle Slater (Robert Ryan), un disoccupato che non ha i soldi per sposare la sua fidanzata, e di Johnny Ingram (Harry Belafonte), un cantante di colore che la passione per le scommesse ha rovinato. Tutto sembra andare per il verso giusto, ma l’odio razziale divide Johnny ed Earle. La rapina preparata nei minimi dettagli rischia di andare a monte.

 

All’inizio e alla fine del film in maniera circolare Wise inquadra una pozzanghera e il suo riflesso, l’atmosfera è laconica, o forse definitiva. All’inizio del film capiamo che andremo incontro ad una storia disperata.

 

I Tre protagonisti del film sono degli sconfitti che cercano il riscatto criminale, niente di originale si dirà, (viene alla mente, per restare al noir e sempre di Wise, “Stand-up”, con un Ryan magnetico) ma facciamo qualche passo al lato della storia e del film.

 

Siamo nel 1959 e il Noir sembra star scomparendo, come abbiamo scritto anche qui Siegel aveva altre idee al riguardo e lo dimostra nell’eccezionale “Crimine silenzioso”, l’anno prima, però Welles ne aveva difatti sancito la fine, il limite finale, dopodiché il genere avrebbe dovuto cambiare pelle e rinascere, cosa che ha fatto qualche anno dopo. Wise aiutato da Abraham Polonsky (non accreditato) riesce però a rimanere nei canoni noir apportando alcune piccole variazioni.

 

Nella prima ora capiamo chi sono i tre protagonisti e in che ambito si muovono, New York e Melton (la piccola cittadina dove si trova la banca) vengono mostrare con dovizia e con capacità dell’occhio del regista che per inquadrare la piccola città sceglie una serie di immagini in sequenza come fossero fotografie o diapositive che hanno un bell’impatto sullo spettatore. Le inquadrature dal basso ci mostrano la pressione di questi uomini: un poliziotto che si è dovuto dimettere, un uomo violento che si fa mantenere dalla compagna, un giocatore compulsivo che deve pagare gli alimenti.

 

Il bianconero arricchisce la drammaticità del racconto, i giochi di luce svelano gli stati d’animo soprattutto di Earle e Johnny; Wise pur in un contesto di regia classica inserirà alcune trovate, come la ripresa in cui vediamo la camminata dell’ex poliziotto nel tentativo di anticipare l’uscita del cameriere. La Mdp si muove indietro e ci mostra tutto il movimento con grande attenzione.

 

Il film ha un sapore finale, come se non ci fosse più scampo in questa società per quelli come i protagonisti, dal destino già scritto; fin dall’inizio aleggia un’aria di sconfitta che, in cuor suo lo spettatore vorrebbe ribaltare ma non sarebbe coerente, anche se lo scritto iniziale prevedeva la riuscita del piano.

 

Come sottotrama ma dalla grande rilevanza c’è il tema del razzismo portato avanti e impersonificato dal personaggio di Ryan, il razzismo che è tra le cause del violento e mortale finale. Fin da quando Earle viene a sapere che il terzo uomo è un nero inizia una personale battaglia con lui, si noti la scena in cui è il personaggio di Belafonte ad avere l’idea giusta per risolvere il problema della catena e Earle/Ryan ha una reazione che possiamo ravvisare anche nei suoi dialoghi con la compagna, la sua rabbia sembra aumentare, la voglia di reagire e picchiare è inesauribile e nel finale si sfogherà.

 

L’azione finale è precisa, concisa, efficace, senza una sbavatura, forse solo il finale ha un qualcosa di irrisolto ma per il resto è gestito tutto con mano fermissima da un regista ormai esperto.

 

Ad accompagnare l’azione c’è una colonna sonora jazz (da ricordare il brano “A cold wind is blowing”) di The Modern Jazz Quartet che arricchisce ed enfatizza le scene quando c’è ne bisogno senza mai ridondare. È un piccolo film questo ma ha una durezza di fondo che non lascia scampo. Come sappiamo le influenze che vengono esercitate sul nostro riflettere su un film sono tante e sono anche dettate dai film visti nello stesso periodo e mi viene in mente un film diverso ma in fondo simile per amarezza, anzi forse ancora più desolante, penso a “Misfits” di Huston di due anni più tardi, film tragico per tanti motivi.

 

In quel film il moderno West(ern) e con lui i vecchi e nuovi cowboy venivano spazzati via da una nuova civiltà che non li accettava più; i personaggi del film di Wise sono simili, non vogliono un “padrone” eppure sono schiavi di un qualcosa che non otterranno, sono ormai sconfitti senza via di fuga.

 

Il cast è fantastico e tra tutti vanno sottolineate le prove di Begley (memorabile in “12 angry men”) e Ryan. Ryan che non riusciva ad uscire da quel tipo di personaggio, che nessuno forse ha interpretato come lui, di rabbioso, razzista e spregevole che più di un decennio prima gli era stato affidato. Belafonte (personaggio eccezionale e a tutto tondo degli ultimi sessant’anni di cultura americana) infine è ottimo nel suo ruolo, riesce nella prima parte con cura dei dettagli a mostrarci cosa sia la smania del gioco d’azzardo, l’irrefrenabile voglia di vincere mentre si continua a perdere e a sprofondare sempre di più.

 

Il noir era quasi morto nel 1959 eppure questo film ce lo restituisce in tutta la sua grandezza, nella voglia di raccontare dei personaggi, le difficoltà, la voglia di rivincita e nell’azione perfetta.

 

Voto 8+

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