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The Tender Bar

Regia di George Clooney vedi scheda film

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La recensione su The Tender Bar

di M Valdemar
6 stelle

 

locandina

The Tender Bar (2021): locandina

 

 

Si apre e si chiude idealmente con un’auto sulla strada, The Tender Bar.
Un’utilitaria carica di bagagli e sofferenza sulla via del ritorno alla (non) casa, sulle note di Radar Love dei Golden Earring, all’inizio; una fiammante Cadillac azzurrina in viaggio verso la vita e il futuro, dopo aver capito un po’ di cose, accompagnato da Do It Again degli Steely Dan, in conclusione.
Nel mezzo, il più classico – e classicamente americano – dei racconti di formazione.
La macchina da scrivere su cui il protagonista, JR, batte e narra i tasti/passi della propria crescita – da bambino catapultato nei tormenti e desideri della madre, e da giovane alle prese con la risoluzione del trauma che ne ha condizionato l’esistenza (il padre assente) ma anche con una relazione impossibile – rappresenta un ponte tra le generazioni, e un simbolo, un punto fermo.
Come lo sono i libri, divorati, e le fasi tutte della storia: la famiglia disfunzionale, la partita a bowling, i personaggi variopinti, l’apertura della lettera per l’ammissione a Yale, l’università e gli amici, l’innamoramento, i riferimenti letterari (a partire da Omero), l’affaccio sul mondo del lavoro, la ricerca di sé.
E il bar, il The Dickens, dello Zio Charlie. Talmente centrale, decisivo – tanto da assumere le vesti di figura paterna, mentore, insegnante delle cose della vita, educatore – che il film potrebbe quasi intitolarsi “Uncle Charlie”, o giù di lì. E forse avrebbe potuto esplorare meglio la sua, di storia. In questa, scritta dal William Monahan di The Departed e London Boulevard, e tratta dall’autobiografia di JR Moehringer, giornalista, romanziere, premio Pulitzer, non sempre le vicende del protagonista oltrepassano la soglia d’interesse; e non perché siano poco riuscite o articolate male, anzi, è che non aggiunge nulla di nuovo a quanto si sia già visto e letto molte, molte volte.
Come se Gorge Clooney dopo le ultime prove non felicissime da regista non volesse rischiare più di tanto e quindi battere territori sicuri: il coming of age è un rifugio che offre spesso valide possibilità.
Ecco che la eloquente patina vintage – di colori e toni caldi, tenui, e arredi, scenografie, trucco e parrucco impeccabili – con cui il regista sceglie di avvolgere l’ambientazione tra anni settanta e ottanta, è un luogo filmico che non riesce a celare l’accorgimento, la messinscena.

Ben Affleck, Tye Sheridan

The Tender Bar (2021): Ben Affleck, Tye Sheridan

Tye Sheridan, Lily Rabe

The Tender Bar (2021): Tye Sheridan, Lily Rabe

Daniel Ranieri, Lily Rabe

The Tender Bar (2021): Daniel Ranieri, Lily Rabe

Narrativamente non piatto, però prudentemente lineare con brevi, opportune alternanze tra le epoche, The Tender Bar sembra concentrarsi a testa bassa a compiere la sua missione, non disdegnando peraltro un sentimentalismo talora di troppo, mentre alcuni passaggi eccessivamente didascalici evidenziano la volontà di creare un rapporto empatico tra personaggi e pubblico, di inseguire e abbracciare la carineria.
C’è del buono, naturalmente: l’evoluzione di JR percorre comunque le tappe giuste – quelle di una ricerca identitaria problematica già nel (riconoscere il) nome proprio, proseguendo con il desiderio di non deludere la madre che lo vuole prima a Yale e in seguito Avvocato, e nell’inseguire la voce del padre assente (solo un «tizio alla radio») –, inoltre l’efficacia di ritmo e tempi permette un instradamento col vento a favore.
Altri aspetti positivi sono alcuni dialoghi, ficcanti e godibili anche quando un filino eccessivi, e almeno un paio di scene: la colazione di JR a casa della fidanzata ricca (di famiglia appartenente al «ceto borghese alto-basso»), l’incontro finale con il padre che, seppur amaramente, apre definitivamente gli occhi al giovane.
Ma in particolare il film vive nel/del rapporto tra il protagonista e lo zio Charlie, i suoi insegnamenti, le conversazioni tra l’alto e il basso, e il bar del titolo (un microcosmo meno sfruttato di quanto avrebbe meritato) con i suoi pittoreschi, sorprendenti avventori.
Soundtrack gustosa (in scaletta, oltre ai pezzi sopracitati, anche 50 Ways to Your Lover di Paul Simon e It’s Your Thing dei The Isley Brothers hanno la loro rilevanza), impulsi nostalgici diffusi, galleria di personaggi tra il disomogeneo e l’affascinante, prove attoriali buone: da Tye Sheridan a Lily Rabe (la madre dalla vita dura) a Max Martini (il padre, "The voice", vero stronzo) fino allo scorbutico, scorreggione nonno interpretato da un Christopher Lloyd divertito.
E Ben Affleck su tutti: a sorpresa, assai bravo e convincente.


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