Con la serie The Resurrected, disponibile dal 2 ottobre, Netflix si spinge in territori dove la vendetta smette di essere solo una risposta alla perdita e si trasforma in un esperimento etico borderline. Diretto da Leste Chen e Hsu Chao-jen, il revenge thriller cinese porta sullo schermo tre icone del cinema asiatico (Shu Qi, Sinje Lee e Alyssa Chia) in un racconto che sfida le convenzioni del genere e scava a fondo nelle crepe emotive del dolore materno.


La serie, presentata in anteprima nella sezione On-Screen del Busan International Film Festival, unisce atmosfere cupe, tensione psicologica e una scrittura che mette a disagio proprio dove dovrebbe.

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Una scena della serie Netflix 'The Resurrected'.

Oltre la Morte

Nella serie Netflix The Resurrected, siamo nella città fittizia di Benkha, uno spazio urbano in rovina, specchio perfetto per ciò che i protagonisti portano dentro. Wang Hui-chun e Chao Ching, due madri che hanno perso le figlie in un’operazione di teletruffa degenerata in rapimenti e violenze, non si accontentano dell’esecuzione del colpevole, Chang Shih-kai. La morte, per lui, è stata troppo rapida, troppo indolore. La vera giustizia comincia solo dopo.


Ed è qui che la serie prende una piega soprannaturale, ma non fantastica: le due donne ricorrono a un oscuro rituale per riportare in vita Chang per sette giorni. Non per redenzione, ma per fargli affrontare il dolore che ha inflitto.


La resurrezione non è una soluzione. È l’inizio di un conto alla rovescia, di un’escalation di decisioni impossibili e alleanze inattese. In questa finestra temporale sospesa, ogni giorno diventa un confronto tra ciò che resta dell’umanità dei personaggi e l’ombra della distruzione che si portano dietro.

Le madri non perdonano

Shu Qi e Sinje Lee sono al centro del duetto tragico della serie Netflix The Resurrected. Hui-chun, interpretata da Shu Qi, è una madre silenziosa ma carica di colpa, in bilico tra il desiderio di vendetta e la paura di diventare mostruosa quanto il suo nemico. Non avendo figli nella vita reale, l’attrice ha dovuto attingere a un immaginario intimo e costruire il suo personaggio sul filo del dubbio morale.


Chao Ching, affidata a Sinje Lee, è forse la più spezzata delle due: madre ferita, complice silenziosa, vittima e carnefice. Il suo isolamento durante le riprese è servito a calarsi nella parte di una donna che, pur volendo salvare ciò che resta della sua famiglia, si ritrova a combattere contro se stessa.


Alyssa Chia completa il trio nei panni di Huang I-chen, avvocata coinvolta nel caso e madre di An Chi, una delle poche ragazze sopravvissute. I-chen è il personaggio più ambiguo: conosce la legge, ma è costretta ad aggirarla. Il suo percorso è quello di una donna che affronta il dilemma se vivere nel rispetto della giustizia o riscriverne le regole per amore.

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Shu Qi nella serie Netflix 'The Resurrected'.

Il volto del Male non è mai piatto

Fu Meng-po interpreta nella serie Netflix The Resurrected Chang Shih-kai, un carnefice resuscitato e svuotato della sua potenza originaria. Il suo corpo è vivo, ma ciò che lo rendeva dominante (controllo, paura, distanza) è in frantumi. Eppure, anche ridotto in questo stato, resta pericoloso. La sua interpretazione toglie glamour al male e ne restituisce la nudità più sgradevole: quella del potere che resiste anche quando la punizione è già stata eseguita.


Chang non è solo il bersaglio di una vendetta: è un simbolo. In lui si condensano il privilegio, l’impunità e il danno irreparabile. Ma è anche un fantasma vivente, utile solo finché serve. La tensione narrativa si regge su questo: non si tratta solo di cosa si fa al mostro, ma di cosa il mostro fa emergere in chi lo affronta.

Paradise, ovvero l’Inferno

Un luogo ricorre nel racconto della serie Netflix The Resurrected con forza disturbante: Paradise, l’ex centro sportivo abbandonato dove le ragazze vengono segregate. Qui si consuma la parte più brutale del trauma, ma anche la sua trasmissione. È un non-luogo che diventa specchio del collasso sociale, dove le vittime urlano invano e i muri non restituiscono l’eco. Le giovani attrici Caitlin Fang, Vivi Chen e Lin Ting-yi interpretano le figlie con una vulnerabilità che lascia il segno: chi sopravvive, chi giace in coma, chi scompare per sempre… tutte raccontano un pezzo della stessa tragedia.

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Una scena della serie Netflix 'The Resurrected'.

Oltre il lutto, la complicità

Man mano che il piano di vendetta prende forma, emergono alleanze impreviste. Eason (Patrick Nattawat Finkler), nipote di una vittima di Chang, si unisce alla causa per ragioni personali. Pong (Sukollawat Kanaros), vicino di casa all’apparenza marginale, rivela legami con il sottobosco criminale di Benkha. Nessuno è estraneo, nessuno è davvero neutrale.


Nella serie Netflix The Resurrected, il dolore si espande a macchia d’olio, contaminando anche chi non era previsto nella narrazione iniziale. La vendetta diventa un virus narrativo: una volta liberata, infetta tutti.


La domanda che scorre in profondità è: “Dopo aver vendicato i propri figli, cosa rimane di una madre?”. La serie non cerca risposte facili. Le madri, come i carnefici, si spingono oltre il confine dell’umano. E nel farlo, mettono in discussione tutto ciò che credevano di essere. È una storia che mostra come il dolore possa diventare motore d’azione, ma anche come l’azione possa lasciarti svuotato, se tutto ciò che avevi era il dolore stesso.

Il fantasma della realtà

Dietro la suspense, la componente più disturbante della serie è la sua credibilità. Le truffe telefoniche, il traffico di minori, l’inefficienza del sistema giudiziario: The Resurrected non ha bisogno di draghi o mostri per inquietare. Basta guardarsi intorno. La finzione si basa su fatti, e se c’è un orrore in questa storia, è che non sembra poi così lontana da ciò che accade davvero.


The Resurrected
è cinema in forma seriale, ma rifiuta il conforto della catarsi. Si chiude senza pacificare, lasciando il pubblico con più dubbi che certezze. Ma è proprio questa l’operazione più riuscita: un thriller che non ti lascia in pace perché non cerca di farlo. Ti accompagna in un viaggio di rabbia e trasformazione, ma alla fine ti lascia solo. Come le sue protagoniste.


E forse è proprio questa la sua forza.

Autore

Redazione

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