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L'alligatore

1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie

Serie TV Recensione

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La recensione su L'alligatore

di franzbalzano
9 stelle

Lo dico senza mezzi termini: l'idea che questa serie italiana possa fermarsi dopo i primi 8 episodi mi fa incazzare a bestia. Per una volta, dico per una volta!, finalmente viene prodotta una serie italiana originale, indigena, priva di retorica e senza Beppe Fiorello o Catarella.

Dopo i primi episodi, la serie mi aveva già conquistato. Finalmente delle ambientazioni originali, la scenografia naturale della laguna veneta (laguna veneta, si badi bene, che è cosa diversa da quella veneziana), l'uso di un linguaggio scabro e senza retorica, l'impiego di inflessioni dialettali diverse dall'ormai insopportabile romanesco-toscano-napoletano che dilaga ovunque. E poi finalmente una supervisione artistica come quella di Vicari che per qualità non ha niente da invidiare a Sollima.

Ma se nei primi episodi sono rimasto conquistato soprattutto grazie a Thomas Trabacchi, negli ultimi - e in particolare negli ultimi due La fine dei giochi - finalmente Matteo Martari ha smesso di enfatizzare troppo l'ubriachezza da maledetto e si è fatto più rarefatto, più essenziale. Nei primi episodi mi era parso perfettamente in ruolo ma lo sentivo sempre un filo sopra le righe nel voler tratteggiare il lato da maudit dell'Alligatore, il personaggio centrale della serie. Fortunatamente Thomas Trabacchi compensava, con un ritratto assolutamente perfetto e una recitazione da manuale per sottotoni e sfumature di Beniamino, questo gangster un po' d'antan in giro con sciarpetta, borsello e capigliatura phonata anni 70.

I due - insieme - funzionano alla grandissima. Si compensano, si bilanciano, si integrano e soprattutto manifestano un'empatia perfetta.

Le storie di Carlotto aiutano soprattutto nei richiami al carcere e nell'ambientazione marginale, per sconfitti periferici ma dignitosi, con un codice d'onore. Funziona meno secondo me la faccenda dell'Alligatore investigatore privato sui generis. E' un machiavello che non può reggere più di tanto, perché non è credibile rispetto a meccanismi noir e neanche nel quotidiano che conosciamo. Non a caso gli episodi diventano praticamente perfetti quando l'Alligatore esce da questa specie di camicia di forza e vive un plot narrativo che è autonomo e non ha bisogno di giustificazioni. Da questo punto di vista gli ultimi episodi andati in onda sono davvero preziosi per qualità di scrittura e asciuttezza dei dialoghi. A me è parso evidente che sia stato fatto uno sforzo molto attento nel depurare i dialoghi da ogni retorica, da ogni frase superflua. Ogni espressione, ogni frase, mi è parsa funzionale ad un progetto narrativo ripiegato su se stesso quasi con pudore, perché narrava di personaggi costretti a "fare delle cose" anche contro la loro stessa volontà, semplicemente perché la loro natura e la loro storia personale li obbligavano a percorrere delle strade obbligate, nelle quali non sono ammesse scorciatoie né dietrofront.

In questo tipo di narrazione mi è piaciuto molto anche Fausto Maria Sciarappa, nel ruolo del cattivo Castelli, che interpreta senza enfasi, senza maschere addizionali. Sciarappa è bravissimo a creare con Martari e Trabacchi un trio di protagonisti maschili accomunati da un'interpretazione che ho ho trovato davvero eccellente perché con essa tutti e tre riuscivano a trasmettere il senso di un cinismo obbligatorio che accomunava i loro personaggi.

Non posso dire lo stesso ahimé di Valeria Solarino, che attraversa la serie sempre con la stessa espressione da tossica devastata. Sembra sempre che stia interpretando il tema "fuma nervosamente". E' assolutamente piatta e anche irritante, direi quasi insopportabile per manifesta monocromia espressiva.

Chiudo con due annotazioni. La serie finisce lasciandosi qualche porta aperta ad un'eventuale seconda serie, ma purtroppo gli ascolti televisivi sono stati davvero bassi e questo non è un buon viatico nella mentalità produttiva della Rai e della tv in genere.

Infine, merita davvero un applauso la scelta di chiudere l'ultimo episodio con le immagini della devastazione temporalesca che colpì il Veneto non molto tempo fa. Quelle scene di distruzione, di furia, di incontrollabilità, fanno perfettamente da cerniera con il senso di distruzione e di marginalità devastata che comunica la serie con tutti i suoi personaggi e l'habitat nel quale vivono e muoiono.

 

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