In Visioni dal fondo n°51/2019, Roy Menarini, a proposito delle classifiche di fine anno e delle sdegnate reazioni che ogni volta suscitano, scrive: "Si tratta di un gioco per cinefili e cultori, che cerca di offrire una sintesi del meglio. Ogni classifica tende ad esplicitare il proprio punto di vista. [...] Tuttavia, bisognerebbe chiedersi che cosa significa questo misto di curiosità e scetticismo. In ben pochi, infatti, riconoscono particolare autorità a chi scrive le classifiche, e si preferisce attaccare a testa bassa con opinioni personali. È come se la critica, nel momento in cui si fa ludica, mostrasse la sua perdita di autorevolezza".

Per molti spettatori la purezza dell'arte sembra essere legata ad una dimensione mitica, ideale ed incontaminata da cui è bandito qualsiasi afflato umano anche "basso" in termini di brama di riconoscimenti, gloria personale o sfida ludica. Oltre a rappresentare una visione miope e vacuamente ingessata dell'opera artistica (nell'Antica Grecia, sin dall'età arcaica, tutto era agone, tutto era sfida, tutto era lotta, tutto era premio, tutto, sia nello sport sia in grande parte della tradizione letteraria era orientato ad ottenere κλέος, cioè fama), la presunta purezza dell'arte mortifica il comprensibile e, al contrario, doveroso anelito umano a sancire meriti e demeriti all'interno di una certa categoria o mezzo di espressione artistica.

Anelito fondamentale per tracciare una, anzi più di una storia del cinema e per ampliare o guardare con occhi diversi un canone di opere significative che non smettono di parlare al presente.

Ma siamo sicuri di sapere cosa sia un canone? Siamo sicuri di sapere a cosa serva una classifica?