La serie All’s Fair non è solo un legal drama. È un terreno di scontro emotivo, professionale e politico, in cui il diritto divorzista fa da cornice a una guerra tra ideali, ambizioni e memorie non risolte. Creata da Ryan Murphy e disponibile su Disney+ dal 4 novembre, porta con sé un cast stellare e un’impalcatura narrativa costruita su dieci anni di amicizie, tradimenti e lotte per la supremazia. Al centro, Kim Kardashian nei panni di Allura Grant: una donna decisa a riscrivere le regole del gioco legale in una Los Angeles ancora troppo governata da uomini.

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Kim Kardashian e Niecy Nash nella serie 'All's Fair'.

Non chiamatele assistenti

Tutto nella serie All’s Fair ha inizio quando Allura, stanca delle limitazioni imposte da un ambiente maschile e conservatore, fonda uno studio legale insieme alle amiche Liberty Ronson (Naomi Watts) ed Emerald Greene (Niecy Nash-Betts). Le tre non costruiscono solo una società: creano un fronte compatto, femminile, pronto ad affrontare casi complicati ma soprattutto a offrire supporto a donne che non hanno più voce, né potere. Una narrazione in cui il diritto si mescola con la psicologia, l’empatia, e talvolta l’azzardo.


Dieci anni dopo, lo studio è cresciuto. Si è unita la giovane e ambiziosa Milan, determinata a guadagnarsi la partnership in un ambiente dove l’eccellenza è l’unica moneta di scambio. Ma il passato non resta mai davvero sepolto. Carrington “Carr” Lane (Sarah Paulson), un’ex collega tagliata fuori dieci anni prima, è tornata. E non cerca riconciliazione, ma vendetta. A fare da bussola morale – o almeno a tentare – è la veterana Dina Standish, interpretata da Glenn Close, che incarna un ponte tra le generazioni e le visioni opposte delle protagoniste.

Potere, strategie e cicatrici

Il cuore pulsante della serie All’s Fair non è il tribunale, ma ciò che lo precede e lo segue: le scelte personali, le manovre dietro le quinte, le ferite che riemergono. I casi legali, spesso legati a donne ricche ma distrutte da matrimoni sbagliati, diventano lo specchio di dinamiche più grandi: abuso di potere, sororità, manipolazione emotiva. E se il lavoro delle avvocate è ridare voce a chi l’ha persa, la vera battaglia si gioca spesso all’interno del gruppo stesso.


La serie mette in scena una competizione continua. Milan lotta per farsi spazio e ottenere ciò che sente di meritare. Liberty sa più di quanto lascia intendere. Emerald è tanto brillante quanto disinvolta, ma la sua lealtà è autentica solo finché non entra in conflitto con la sua vita familiare. Allura, motore dello studio, è anche quella che deve gestire le pressioni, i nemici e un passato ingombrante. E Carr, spinta da dolore e senso di ingiustizia, è il catalizzatore di un equilibrio che si spezza lentamente.

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Sarah Paulson e Glenn Close nella serie 'All's Fair'.

Le donne e il sistema

La serie All’s Fair si muove su un binario tematico preciso: mostrare quanto le donne debbano costruire spazi propri per riuscire a esercitare potere. In un sistema legale ancora regolato da norme tacite scritte da uomini, lo studio Grant, Ronson, Greene & Associates diventa il simbolo di una contro-narrazione. Ma non è tutto idealismo: qui le donne combattono con le stesse armi dure del sistema da cui vogliono emanciparsi. La serie, così, evita di idealizzare. Le protagoniste sono complesse, ambigue, capaci di ferire quanto di proteggere.


L’altro grande tema è la ricostruzione dell’identità. Ogni cliente rappresenta una frattura: un matrimonio finito, un ruolo sociale da riconquistare, un’immagine da riscrivere. Il lavoro legale diventa un’operazione di rinascita, ma anche un’analisi spietata su cosa significhi davvero “vincere”.

Legami che bruciano

Ciò che rende la serie All’s Fair più di un semplice drama legale è la profondità dei rapporti umani messi in scena. L’amicizia tra Allura, Liberty ed Emerald è fondata sulla fiducia, ma anche minata da segreti e tensioni silenziose. Milan rappresenta la nuova generazione che bussa con forza alla porta del potere, ma si scontra con una realtà dove la meritocrazia ha sempre un prezzo. E Carr, con il suo passato mai digerito, rende evidente quanto il tradimento tra donne possa lasciare cicatrici più profonde di una sconfitta in tribunale.


Dina, infine, è l’elemento che permette alla narrazione di non perdere contatto con la storia del femminismo legale. Figura ironica, elegante, non più disposta a combattere ogni battaglia, ma ancora capace di guidare, osservare e, quando serve, proteggere.

Oltre la toga

Con All’s Fair, Ryan Murphy firma una serie che non ha paura di mostrare il lato scomodo del potere femminile. Non si tratta di redenzione, né di semplice empowerment. È una riflessione dura e precisa su come si costruisce (e si distrugge) un impero personale in un contesto ostile. Le protagoniste non sono eroine, ma sopravvissute lucide, strateghe, pronte a tutto – anche a ferirsi tra loro – pur di non perdere terreno.


E se la toga è l’uniforme che indossano, ciò che conta davvero è cosa nascondono sotto: ambizioni, paure, alleanze fragili e una volontà feroce di non tornare mai più indietro.

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Redazione

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