Raccontare la vicenda di quello che è stato ribattezzato “il Mostro di Firenze” in una serie Netflix significa risalire un fiume di paura, sangue e silenzi. Significa affrontare uno dei buchi neri più profondi della storia italiana recente. Stefano Sollima, con la serie Il Mostro, disponibile dal 22 ottobre, non si limita a rievocare quei fatti: li interroga.
E lo fa con una scelta coraggiosa: non inseguire il colpevole, ma ricostruire il sistema che ha prodotto i suoi sospetti, le sue paure, e forse i suoi silenzi. Quattro episodi, quattro sospettati, un unico punto di partenza: il primo delitto, quello di Signa del 1968, con Barbara Locci al centro. È da lì che si torna a guardare in faccia il mostro, e scoprire che ha molti volti. Alcuni fin troppo familiari.

Barbara Locci, il primo sparo nell’oscurità
La serie Netflix Il Mostro non comincia con un’indagine, ma con una donna. Barbara Locci (Francesca Olia) è la figura chiave che tiene insieme le storie dei quattro episodi. La serie le restituisce un’identità che nella cronaca è sempre stata messa in secondo piano, schiacciata dai titoli e dai pregiudizi. È Barbara la prima vittima del Mostro di Firenze, ma soprattutto è lei la miccia che accende tutto.
Vive in una società che non ammette libertà femminile, che punisce il desiderio, che riduce la donna a proprietà. Francesca Olia, che la interpreta, riesce a dare forma a un personaggio vivo, forte, che cerca un’uscita da un destino scritto da altri. Il suo tentativo di affrancarsi da un contesto familiare e sociale claustrofobico diventa un atto rivoluzionario, e il prezzo che paga è la vita. Da quel momento, comincia la caccia.
Quattro volti dello stesso incubo
Ogni episodio della serie Netflix Il Mostro è dedicato a uno dei sospettati che hanno abitato la “pista sarda”: Stefano Mele (Marco Bullitta), Francesco Vinci (Giacomo Fadda), Giovanni Mele (Antonio Tintis), Salvatore Vinci (Valentino Mannias). Non sono ritratti psicologici alla ricerca dell’assassino, ma autopsie morali. Sollima e lo sceneggiatore Leonardo Fasoli non cercano la soluzione del mistero, ma le sue origini sociali e culturali.
Stefano Mele, uomo annientato, passivo, succube delle pressioni familiari; Giovanni Mele, che trascina una donna tra le lapidi per descriverle un omicidio; Salvatore Vinci, fratello ombra e figura minacciosa; Francesco Vinci, seduttore manipolatore con un passato da violento. Nessuno è salvato. Nessuno è davvero innocente. L’indagine si intreccia ai loro gesti quotidiani, ai loro silenzi, alle loro relazioni, trasformando la serie in un’inchiesta sulla mascolinità tossica più che su un killer.

Il patriarcato come motore della violenza
Dietro ai delitti c’è una società che li ha resi possibili. È questo lo sguardo della serie Netflix Il Mostro. Il racconto non parla solo di omicidi, ma delle condizioni culturali che li hanno resi plausibili, accettabili, in alcuni casi quasi “normali”.
Il patriarcato, nella sua forma più brutale, permea ogni scena. Le donne vengono tradite, maltrattate, silenziate, abusate. Barbara Locci è solo la prima di molte. I personaggi maschili non sono mostri in senso cinematografico: sono uomini comuni, cresciuti in una cultura che insegna che la donna è un’estensione dell’uomo. Ed è qui che la serie tocca il presente, diventando attualissima. I delitti del Mostro parlano anche del femminicidio oggi. Non serve un colpevole identificato: il mostro, suggerisce Sollima, è una struttura che sopravvive.
Un racconto a incastri, senza verità definitive
La struttura narrativa della serie Netflix Il Mostro è frammentata, costruita su continui salti temporali e ribaltamenti di prospettiva. Ogni episodio fornisce informazioni che mettono in discussione quelle precedenti.
Come in Rashomon di Kurosawa, la verità è molteplice, contraddittoria, sfuggente. Non si cerca una soluzione, ma si indaga il modo in cui le versioni distorte possono servire a coprire o deviare l’attenzione. È un meccanismo narrativo rischioso, ma efficace. Il puzzle che si compone resta incompleto, e non è un difetto: è la forma naturale di questa storia. Sollima rinuncia a ogni rassicurazione: il senso sta nel cercare, non nel trovare.

Lo sguardo che non indulge
Ciò che distingue Il Mostro dalla deriva morbosa del true crime contemporaneo è il rispetto. Le scene dei delitti non vengono mai mostrate direttamente. Le immagini più dure sono riservate ai personaggi, non allo spettatore. È un’operazione di grande rigore etico: si racconta l’orrore senza usarlo per intrattenere. Sollima si ferma sempre un passo prima, e proprio per questo colpisce più forte. La violenza è reale, ma non spettacolarizzata. È il dolore delle vittime, non la fascinazione per l’assassino, a rimanere al centro.
Anche nella scelta di non coinvolgere i parenti delle vittime, ma di lavorare su fonti giudiziarie e testimonianze pubbliche, emerge un intento chiaro: questa è una serie che vuole ricordare, non profanare.
Più che un ritratto dell’Italia degli anni ’60–’80, la serie Netflix Il Mostro è un’istantanea dell’Italia di oggi. Le dinamiche patriarcali, le discriminazioni di genere, la repressione sociale, l’omertà e il pregiudizio: tutto è ancora presente. Cambiano le forme, ma non le sostanze. La serie mette a confronto la repressione di ieri con le derive digitali di oggi, dalle chat incel alla cultura del revenge porn, senza didascalismi, solo accostando le immagini e i contesti.
Il Mostro di Firenze diventa così simbolo di un male più grande: quello di una società che preferisce voltarsi dall’altra parte. E il risultato è una narrazione che non parla solo del passato, ma accende un riflettore sul presente.
Tra verità e finzione, un requiem civile
Sollima dirige con mano ferma, evitando l’enfasi, ma senza mai cedere alla freddezza. La fotografia di Paolo Carnera è cupa, precisa, calata in una penombra che sembra inghiottire tutto. Le canzoni popolari e i classici della musica italiana diventano colonna sonora sinistra, quasi sinfonia funebre di una nazione. Le citazioni, da Blade Runner ai Vangeli, non sono orpelli, ma squarci di senso. Perfino la politica entra in scena, sotto forma di rumore di fondo, come a dire che ogni crimine è anche un fatto storico, e ogni silenzio è complice.
Il Mostro non offre risposte. Non le cerca nemmeno. È un’indagine sull’Italia e sul suo lato più oscuro, un esercizio di memoria che rifiuta la semplificazione. Non è una serie da binge-watching, ma un’esperienza che costringe a fermarsi, a pensare, a guardare in faccia il dolore. Sollima firma una delle opere più mature della sua carriera, capace di coniugare estetica, etica e tensione narrativa. Non cerca l’effetto, ma la profondità.
Il mostro, alla fine, non è uno solo. E forse non è nemmeno un uomo. È una mentalità, un’abitudine, una struttura. È l’Italia che non ha ancora fatto pace con se stessa. E Il Mostro, oggi, glielo ricorda.
Filmografia
Il Mostro
Poliziesco - Italia 2025 - durata 0’
Titolo originale: Il Mostro
Con Francesca Olia, Stefano Sollima, Samuel Fantini, Giacomo Fadda, Marco Bullitta, Antonio Tintis
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