Espandi menu
cerca
We Own This City - Potere e corruzione

1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie

Serie TV Recensione

L'autore

mck

mck

Iscritto dal 15 agosto 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 206
  • Post 137
  • Recensioni 1155
  • Playlist 323
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su We Own This City - Potere e corruzione

di mck
9 stelle

“Ragazzo, non c’è dittatura in America più solida di quella di uno sbirro in servizio.”

 

Attori, attanti ed astanti.
Gl’investigati (i Sospetti): Wayne Jenkins (Jon Bernthal), Daniel Hersl (Josh Charles), Thomas Allers (Bobby J. Brown) e soci.
Gl’investigatori (gl’Inquirenti): Erika Jensen (Dagmara Dominczyk), John Sieracki (Don Harvey) e soci.
La pubblica amministrazione (il controllore che controlla sé stesso): Nicole Steele (Wunmi Mosaku), Kevin Davis (Delaney Williams) e soci.
I deceduti (i Morti): Sean Suiter (Jamie Hector), investigatore investigato (nota: https://davidsimon.com/sean-suiter/).

David Simon, classe 1960, e da vendere -[che, dopo aver esordito nel mondo della feuilleton audiovisivo scrivendo una puntata di “NYPD Blue” di Steven Bochco e David Milch e una dozzina di episodi di “Homicide: Life on the Street” (7 annate dal 1993 al 1999 più un TV Movie conclusivo del 2000 per NBC), serie di Paul Attanasio (autore dell’adattamento di “Donnie Brasco”) e Tom Fontana (creatore di “Oz”) tratta da un saggio d’inchiesta giornalistica dello stesso Simon (“Homicide: A Year on the Killing Streets”), allora (1991) reporter del Baltimore Sun, debutterà, passando ad HBO, quale artefice e showrunner, con David Mills, di “the Corner” (2000), mini-serie ricavata da un libro di non-fiction del 1997 (“the Corner: A Year in the Life of an Inner-City Neighborhood”) scritto proprio ancora da Simon col suo strettissimo collaboratore Ed Burns (1946), detective della omicidi e della narcotici di Baltimora e insegnante delle scuole pubbliche del Maryland, per poi rivoluzionare, ridisegnandone i paradigmi, la storia della serialità, performando la Golden Age e la Peak/Prestige TV, con “the Wire” (2002-2008), cui seguiranno altri prodotti eccellenti quali “Generation Kill” (2008), “Show Me a Hero” (2015) e “the Plot Against America” (2020, da un Philip Roth del 2004) ed autentici capolavori come “Treme” (2010-2013) e “the Deuce” (2017-2019), per dire]-, con l’altro sodale di sempre, George Pelecanos (Washington, D.C., 1957), romanziere di polizieschi di razza e nella writing room di “the Wire”, “Treme” e “the Deuce”, realizza e sviluppa...

 

– basandosi questa volta s’un soggetto altrui, il libro investigativo (“We Own This City: a True Story of Crime, Cops, and Corruption”, 2021) di Justin Fenton (che, al fianco di David Simon, compare in un cameo nell’ep. finale: sono 2 giornalisti alla conferenza stampa, quella in cui il capo della polizia, dai titoli di testa, esclamerà: “These officers are 1930s-style gangsters...”), anch’egli reporter (nuove leve) al Baltimore Sun (coprì per la sua testata le proteste, le rivolte e i disordini - “No Justice: No Peace!” - che nel 2015, in ambito Black Lives Matter, si verificarono nell’area metropolitana della capitale dello stato in seguito all’uccisione da parte della polizia del 25nne afro-americano Freddie Gray), incentrato sullo scandalo (racket, rapina, estorsione, frode) che nel 2017 investì la Gun Trace Task Force (individuare, requisire e sequestrare le armi da fuoco detenute illegalmente dalla popolazione civile; nota: il Maryland, rispetto alla media degli U.S.A. federali, possiede una legislazione non certo restrittiva, ma abbastanza regolamentata per quanto riguarda le armi da fuoco) del dipartimento di polizia di Baltimora

 

...quest’altra mini-serie (5 ep. da 50’ più un ep. finale da 60’), “We Own This City”, diretta integralmente con riconoscibile uniformità calligrafica (una qualità neutra, in questo caso declinata in positivo) dal Reinaldo Marcus Green di “Monsters and Men”, “Joe Bell” e “King Richard”, qui decisamente alla sua prova migliore (in “attesa” del bio-pic su Bob Marley), e scritta con lo stesso Ed Burns (qui in parte riconoscibile nella e riconducibile alla figura di Brian Grabler, detective in pensione ora insegnante all’accademia di polizia, messo in scena da Treat Williams) ed altri due concittadini: William F. Zorzi (1957), sempre in forze (settore politico) al più grande quotidiano marylandese e già in seno alla realizzazione di “the Wire” e “Show Me a Hero”, e Dwight “D.” Watkins (1980), docente universitario del college pubblico baltimorense (e interprete di sé stesso in un cameo, comparendo al fianco di Tariq Touréimpersonato da un attore, Nathan Corbett - durante un incontro culturale di lettura in pubblico).

“I took this position in a department that has fundamental problems that haven't been addressed in years. And now, the Mayor who have me the job is leaving office in november and I don't know who I'm working for."

Multipli PdV dall’interno della polizia (buoni e cattivi, dalle pattuglie di strada alle dirigenze “temporanee”, a termine & perdere, a guisa di capri espiatori in potenza & nuce, passando per i sindacati), dei pubblici ministeri (federal prosecutor), dell’F.B.I. (le lezioni di flauto traverso sono collaterale ma implicito riferimento ed omaggio alla metodologia narrativa attuata da David Chase (col Matthew Weiner di "Mad Men" e il Terence Winter di "BoardWalk Empire") in “the Sopranos”: con piccoli e minuscoli accenni di vita personale si descrive il particolare arrivando ad enucleare il quadro generale) e delle istituzioni (gli avvocati della Divisione Diritti Civili del Dipartimento di Giustizia), ma "non"...

 

– e sotto questo aspetto “We Own This City”, in parte anche per via della sua natura di serial che si sviluppa s’una distanza relativamente breve (5 ore di scritto/girato/montato), pur essendo un precipitato ed un condensato del metodo di lavoro di David Simon, si discosta da “the Wire” (un totale di circa 50 ore), che in ognuna delle sue 5 stag. si focalizzava s’un fattore peculiare e fondamentale del contesto ambientale (il traffico di droga, il micro/macro-cosmo portuale, l’amministrazione burocratica della polis, il sistema scolastico e l’apparato dei media), mentre qui si opta per una fluida alternanza tematica, ovviamente sovrapposta ed incrociata ad arte –

 

...del lavoro delle redazioni giornalistiche (a parte le scene della conferenza stampa succitata), comunque magnificamente “raccontate” dalla frase pronunciata dalla già citata Nicole Steele di Wunmi Mosaku - “We came to town because the newspaper here reported on all the cash settlements the city had paid out to victims of police misconduct. A string of brutality cases…” -, esplicativa al massimo, nella sua lineare semplicità, del rapporto di causa-effetto: il giornalismo che, espletando il suo lavoro di informazione pubblica, smuove (in)direttamente gli apparati dello Stato (che poi questi, lasciati i suoi rappresentanti a lottare da soli, non riescano nel loro intento di modifica della strutturazione dello status quo attraverso una sua capillare comprensione e conoscenza, beh, è tanto un’altra storia quanto il perno/nocciolo/fulcro/cuore di questa storia).

- So, how's Baltimore?
- I'd like to say I've seen worse, but I can't remember where.

Fotografia di Yaron Orbach, montaggio di Matthew Booras e Joshua Raymond Lee, musiche di Kris Bowers (il free-acid jazz del tema dei titoli di testa&coda, feat. Dontae Winslow, è in piena zona “the Wire”), e una fottuta menzione speciale [oltre che per Wunmi Mosaku (“Lovecraft Country”, His House”), Jamie Hector (l’indimenticabile Marlo Stanfield di “the Wire”), Bobby J. Brown (il Bobby Brown di “the Wire”), Don Harvey (già in “the Deuce”, oltre che “cab-man”, però recasted, in “Better Call Saul”), Josh Charles & C.] per Jon Bernthal [“World Trade Center”, “the Ghost Writer”, “Wolf of Wall Street”, “Fury”, “Show Me a Hero”, “Sicario”, “Wind River”, “Baby Driver”, “Those Who Wish Me Dead”, “the Many Saints of Newark” e i prossimi “Sharp Sticks” della Lena Dunham di “Girls” e la travagliata, e ad oggi sospesa in un limbo, “American Gigolò” (sequel del film di Paul Schrader) del David Hollander (licenziato da ShowTime) di “Ray Donovan”, nel ruolo che fu di Richard Gere: il physique c’è] in un tour de force mica male davvero (quando, in una mimesi estrema col personaggio reale, perora la sua causa affermando – prima di prendere, “ovviamente”, 25 anni di prigione – che lui non è un corrotto, ma solo un ladro, tu - sì: tu - alzi le mani e pensi che lo voteresti pure).

“Ragazzo, non c’è dittatura in America più solida di quella di uno sbirro in servizio.” 

* * * * ¼ - 8 ½   

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati