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I Love Dick

1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 1

  • 2016-2017
  • 8 episodi

L'autore

supadany

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La recensione su I Love Dick

di supadany
6 stelle

Quando si parla dei nuovi colossi streaming, una delle prime caratteristiche ad essere menzionata focalizza l’attenzione sulla possibilità di uscire dal seminato delle più rodate modalità narrative ed espressive, senza dover rendere conto dei paletti imposti dell’agognato prime time televisivo e dei numeri, da conseguire già al primo passaggio per non essere fulminati sul posto dal finanziatore di turno.

Senza tanti giri di parole, con I love Dick, Jill Soloway, nel bel mezzo del successo di Transparent, costruisce un prodotto veloce, nel totale si aggira sui duecento minuti, pregno di tutto ciò che in televisione non si vedrà mai, anche solo per non urtare il comune sentire (e quella torre d’avorio che si chiama ignoranza), che di fronte al piccolo schermo dimentica quanto di veramente nefasto si aggira nella società, pronta a lanciare strali al primo canale considerabile come perverso, qualora non semplicemente negativo.

Amazon non pone restrizione alcuna e l’autrice di Chicago volteggia tra l’arte sperimentale e le pulsioni sessuali senza l‘obbligo di dover piacere a tutti i costi.

Quando suo marito Sylvere (Griffin Dunne) deve recarsi a Marfa per lavoro, Chris (Kathryn Hahn) lo segue, pensando di rimanere nella piccola comunità texana solo per qualche giorno. I suoi piani cambiano radicalmente quando vede Dick (Kevin Bacon), un artista e cowboy per il quale l’attrazione è totale.

Questa pulsione irrefrenabile crea attriti tra lei e Sylvere e anche le intenzioni più miti devono fare i conti con qualcosa di più grande che pone ogni cosa sotto una luce diversa.

Per i tre soggetti coinvolti saranno giorni scomodi, mentre intorno a loro la comunità fibrilla, come se nell’aria si potessero captare urgenti onde esistenziali e artistiche, anche di fronte all’interesse del quieto (soprav)vivere.

 

Kathryn Hahn, Kevin Bacon

I Love Dick (2016): Kathryn Hahn, Kevin Bacon

 

I love Dick non passerà alla storia della serialità, sarà guardata da pochi, come in effetti sta accadendo (almeno in linea di principio, vedendo i pochi voti espressi sui principali aggregatori internazionali), ma rimane un’esperienza da compiere, anche per chi non è avvezzo ai racconti a puntate.

D’altronde, si può considerare come film un po’ più lungo del solito, la progressione è orizzontale, le digressioni sono parecchie, con un episodio - il quinto - che nasce e muore come detour che guardando indietro allarga la visuale, c’è un unico cliffhanger (al sesto episodio) e, più in generale, il puro storytelling non è nemmeno tra le principali necessità contemplate, pur prevedendo una partenza e un traguardo, ovviamente in modo personale.

La serie ideata da Jill Soloway, sorretta soprattutto da due registe caparbie quali sono Andrea Arnold e Kimberly Peirce, quattro episodi portano la firma della prima, uno della seconda, è brusca e tutto fuorché accomodante, sbandiera ai quattro venti i lati oscuri dell’essere, quelle ossessioni intime e istintive per le quali qualcuno manca ancora prima di conoscerlo veramente.

Ne consegue che il componimento, quanto mai asincrono, verta sul desiderio più inconfessabile ma assolutamente non accantonabile, contemplando l’arte in diverse forme, corporee, oggettistiche e anche cinefile, per cui vengono citate Jane Campion, Sally Potter e soprattutto Chantal Akerman, della quale nel secondo episodio sono mostrati estratti da Je, tu, il, elle ma è solo un esempio, per quanto lampante.

Anche da questi richiami, prende corpo la prospettiva al femminile, dove gli uomini sono più che altro oggetti anche quando le loro posizioni rimangono dominanti, senza avere mai quel controllo che sono abituati ad avere, armonizzata con la sperimentazione, in una scomposizione che prevede dettagli per poi fuggire altrove, una funzione resa emblematica dalle frequenti didascalie su sfondo rosso che sintetizzano alcuni pensieri fondamentali.

Con questa metodologia, s'intensifica un’impollinazione incrociata e polifonica, con persone guaste - per le quali già la pelle rappresenta una claustrofobia dell’animo - in prima fila, votate al fallimento del comune sentore (vedi anche il personaggio di Devon), ma portate alla strenua ricerca del proprio posto al mondo, oltre ogni possibile vergogna, perseguendo il desiderio più indecente.

Automaticamente, è precocemente chiaro come I love Dick non cerchi alcuna simpatia gratuita, se non dal mondo artistico e da coloro che professano come loro mantra assoluto la massima libertà espressiva, rendendo la trasgressione comune, partendo alla protagonista Chris, un contenitore di difetti.

Nel tratteggiarla, Kathryn Hahn si supera, mettendo da parte quanto mostrato in decine di commedie commerciali, mentre Griffin Dunne conosce bene i tempi di scena e Kevin Bacon è notevole nel passare da soggetto attivo a involontario subalterno, paventando quel disagio di chi non ci capisce più niente ma che in fondo pensa che tutto sia risolvibile nel più facile dei modi (una scopata).

 

Kevin Bacon, Kathryn Hahn

I Love Dick (2016): Kevin Bacon, Kathryn Hahn

 

Da qui, ecco il fondamentale passo ultimo, la testimonianza di come un dettaglio possa cambiare tutto (la conquista non può essere pilotata solo per ammansire un’anima), per una serie scontrosa, scandita da allucinazioni erotiche (arrivando addirittura a chiamare in causa Gesù Cristo), ossessioni lasciate libere di esplodere e irregolarità che minano la direzionalità, diffusi calembour e allusioni che portano infine a ciò che di più naturale esista in natura: la liberatoria e appagante presa di coscienza.

Dissonante nel suo essere contemporaneamente decorativa e disadorna, famelica fino a diventare disturbante ed eccedente, ma non senza ragione.

Sarà difficile amarla nella sua interezza, ma è altrettanto impossibile accantonarla a cuor leggero.

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