Regia di Apichatpong Weerasethakul vedi scheda film
Si può lavorare insieme, ma appartenere a due diverse parti dell’umanità: quella che non ha voce e si deve nascondere, e quella che, invece, è libera di gridare, e mettere in mostra la propria individualità. Sul camioncino che trasporta due giovani attraverso le campagne thailandesi, l’immigrato clandestino si propone solo come sagoma priva di identità, come un’anonima fonte di forza fisica: il suo essere è un prestante corpo maschile, che non reca segni particolari e non emette suoni, per non rivelare la propria provenienza. Colui che gli siede a fianco, invece, ostenta il suo essere alla moda, esibisce i suoi tatuaggi e la sua personalità virile e volitiva. Mobile Men appartiene al progetto Stories on Human Rights, realizzato in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti umani; e questo cortometraggio utilizza il gusto di Weerasethakul per i contrasti e i paradossi per mettere simbolicamente in luce le differenze che non sono create dalla natura, ma sono imposte artificiosamente col solo intento di discriminare. I protagonisti sono due individui nati uguali, ma distinti a posteriori dalle leggi e dai costumi. Questa è l’origine della loro diversità, che si manifesta concretamente nel mondo, ma è così arbitraria e convenzionale da essere paragonabile ad una messa in scena; quella finzione che si rivela come tale allo spettatore nei momenti in cui, nel film, il regista e il suo obiettivo diventano visibili. Questi attimi ci ricordano come, nel cinema di questo autore, il dramma si esprima quasi sempre attraverso un finto documentario: una ricostruzione artistica della realtà che, però, ne rispetta in pieno le logiche contraddittorie e le manifestazioni imperfette.
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