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28 anni dopo

Regia di Danny Boyle vedi scheda film

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La recensione su 28 anni dopo

di supadany
6 stelle

Ogni percorso umano è costellato di prove da affrontare. Alcune sono determinate dalle condizioni ambientali di appartenenza, mentre altre sono identiche/simili a qualunque latitudine, alcune sono imposte dalla famiglia/comunità, altre sono frutto di scelte individuali più o meno consapevoli, infine non mancano mai delle sorprese fuori programma, che vanno inevitabilmente a intaccare/rimescolare le carte in tavola, talvolta facendo la differenza. Insomma, le variabili di cui tenere conto sono molteplici e finiscono per costituire un viatico specifico, che rende ogni persona diversa dall’altra, anche fosse per un singolo/marginale cromosoma dettato dall’esperienza.

Ebbene, 28 anni dopo poteva crogiolarsi sugli allori conquistati da 28 giorni dopo28 settimane dopo rimane un capitolo a parte, per quanto tutt’altro che trascurabile per efficacia – giocando tra le mura amiche e invece sceglie di prenderne le distanze, edificando una conformazione sostanzialmente diversa/permeabile, dotata di una maggiore diversificazione/complessità. Una disposizione che ripaga solo parzialmente degli sforzi intrapresi, tra guizzi indimenticabili e soluzioni che, al contrario, fanno storcere il naso, che peraltro, arrivati a un certo punto dello svolgimento, si susseguono con un ritmo incessante, difficile da tollerare senza porsi qualche domanda supplementare.

Sono ormai trascorsi 28 anni da quando un’epidemia scatenata dal virus della rabbia ha falcidiato la Gran Bretagna, ormai completamente isolata dal resto del mondo, che controlla l’area con il solo scopo di evitare qualsiasi contatto. Nel frattempo, un gruppo di sopravvissuti si è insediato su una piccola isola, collegata al resto del Regno Unito solo tramite uno stretto passaggio, che risulta visibile/praticabile unicamente in corrispondenza della bassa marea.

Proprio attraverso questo collegamento, Jamie (Aaron Taylor-JohnsonNowhere boy, Bullet train) decide che è arrivato il momento di far conoscere a suo figlio Spike (Alfie Williams) quella terra ormai popolata quasi esclusivamente da infetti pronti a tutto pur di addentare carne umana. Questa avventura non va come immaginato dal giovane Spike ma contestualmente gli consente di capire qualcosa in più su quanto lo circonda.

Così, avendo scoperto dell’esistenza del fantomatico Dr. Kelson (Ralph FiennesSchindler’s list, Conclave), Spike decide di prendere sua madre Isla (Jodie ComerKilling Eve, The last duel), gravemente malata, e di tornare in un territorio abitato da avversità per scovare il dottore, l’unica speranza che gli rimane per salvare l’affetto a lui più caro.

Forse non otterrà tutte le risposte che cerca con ostinata caparbietà, ma per Spike sarà comunque l’occasione per trovare la strada da percorrere per diventare adulto.

 

 

Alfie Williams, Aaron Taylor-Johnson

28 anni dopo (2025): Alfie Williams, Aaron Taylor-Johnson

 

 

28 anni dopo segna una nuova e molto attesa collaborazione tra il regista Danny Boyle (Trainspotting, The Millionaire) e lo sceneggiatore Alex Garland (Ex machina, Annientamento), entrambi blasonati e premiati da pubblico e critica nel corso degli anni.

Trattasi di un’opera suggestiva e metaforica, che modifica gli equilibri rispetto al capostipite, affiancando all’horror un dramma redatto in forma d’autore, con il survival movie e l’azione presenti sul campo come supporti sempre attivi. Tuttavia, è letteralmente spaccato in due tronconi, con una prima parte compatta e convincente, che toglie letteralmente il fiato, mentre la seconda ha più volte il fianco scoperto, perdendo - cammin facendo - di consistenza/credibilità, con troppi innesti alla rinfusa e svolte forzatamente artificiose.

Nel suo complesso, finisce per essere - prima di ogni altra cosa - un racconto di formazione dalla natura esistenziale che mette a referto sfide impervie, una linea guida accompagnata da considerazioni politiche assolutamente pertinenti/attuali, tra le controindicazioni dettate dall’emarginazione rispetto al resto dell’umanità e una regressione sociale che richiama quei comportamenti negativi adottati da chi dispone di una posizione privilegiata.

Un film fatto di viscere (ovviamente, le scene per stomaci forti sono numerose) e di un cuore palpitante (quello di Alfie, che sceglie di non accettare in silenzio quello che osserva), di avvistamenti/incontri che ti cambiano la vita e di addii dolorosi, di traumi e di confini (entrambi da superare per avere una minima speranza nel futuro, di suo incerto) che da un lato fa i conti con una sceneggiatura traballante, troppo carica di elementi gettati nella mischia in ordine sparso, ma che dall’altro sfodera proprietà tecnico/intellettuali che valgono il prezzo del biglietto.

Nella fattispecie, il connubio tra un impianto fotografico (di Anthony Dod MantleDogville, Rush) che vuole inventare/stupire, le sonorità fornite dagli Young Fathers e un montaggio (di Jon Harris127 ore, The pusher) che convoglia/incastra le immagini quando il vigore prende il sopravvento, crea frangenti succulenti/energici, ad esempio in un incipit esagitato o in una corsa a perdifiato attraverso quel lembo di terra che attraversa il mare (in questo caso, il cuore batte all’impazzata per un paio di minuti).

Infine, il semi esordiente Alfie Williams merita un applauso sincero per come carica a testa bassa, mentre i nomi forti del cast risultano penalizzati da troppe scene sopra le righe, soprattutto per quanto riguarda Jodie Comer e Ralph Fiennes, chiamati in causa nelle fasi più aleatorie e spericolate della pellicola.

 

 

Ralph Fiennes, Alfie Williams

28 anni dopo (2025): Ralph Fiennes, Alfie Williams

 

 

In conclusione, 28 anni dopo rifiuta con coraggio di fare un copia/incolla dell’originale, che avrebbe facilmente spopolato nelle sale, ma finisce per creare troppa confusione e per perdersi tra turning point imprecisi/dissonanti/tendenziosi/bizzarri. Crea un discreto effetto immersivo (degno di una Civil war), con un senso d’incombenza sempre tangibile, e annovera un evidente furore agonistico, con tanto di fulminanti colpi di reni, tuttavia ricorre in più casi a facilitazioni narrative parecchio superficiali/fastidiose, per poi approdare a un finale sfilacciato e aperto, che lascia in sospeso e che non migliora di certo le sensazioni che accompagnano il post visione (un seguito è già in programma, sempre se il botteghino porterà i frutti sperati).

Inquieto ed evocativo, scostante e atipico, con un ruolino di marcia che lascia un po’ di amaro in bocca.

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