Regia di Koreyoshi Kurahara vedi scheda film
(Per la trama, leggere la scheda di FilmTv)
Koreyoshi Kurahara strizza l'occhio alla commedia hollywoodiana, dimensione sottolineata anche dalla musica di Toshiro Mayuzumi, dirigendo un road movie che mi è parso simpatico e intelligente.
Forse sconnesso, forse sostiene una tesi piuttosto scontata e banale quanto discutibile, ma realizzato con brio e sostenuto dalla buona prova del duo di simpatici protagonisti.
Non ha torto un recensore del web, a sostenere che un lontano modello - ma assai meno banale, aggiungerei io - lo si possa trovare nel leggendario capolavoro di Preston Sturges I dimenticati ("Sullivan's Travels", 1942).
In entrambi, un uomo è spinto a mettersi in marcia sulla strada per verificare qualcosa in prima persona, in entrambi il protagonista (là un regista cinematografico, qui uno showman televisivo) è pressato dalle richieste dei produttori.
Qui, le scaramucce tra i due protagonisti - lo showman Daisaku Kita, cui da vita il famoso attore Yûjirô Ishihara, adorato dalle ragazzine di tutto il Giappone, e la sua manager Niriko Sakakita, interpretata da una inarrivabilmente bella Ruriko Asaoka - mi sembrano abbastanza sciocche, quasi quanto quelle di Rock Hudson/Doris Dayana memoria, sebbene riscattate da improvvisi ed azzeccati cambi di registro, verso il drammatico.
Non è stupida l'osservazione di Leo Buscaglia sul carattere umiliante di queste scaramucce tra i due divi hollywoodiani che il loro letto gossiparo si ostina a raccontarci, la vita è così breve che basare un rapporto su simile stupidaggini sembra un insulto alla dignità delle persone che hanno veri disagi di rapporto, non del tutto giustificabile dal brio con il quale ci vengono raccontate.
La morale stessa di questo film è, se non l'ho fraintesa, piuttosto insignificante: l'amore vero è fatto di azione sul campo, non di idealizzazione dello stesso.
Dopo aver compiuto l'eroico viaggio, lo showman trova la risposta al suo interrogativo sull'"amore puro" che aveva suscitato la donna solitaria che aveva pubblicato l'annuncio
"Cercasi guidatore che capisca la dimensione umanitaria, per guidare una jeep fino a Kyushu. Nessun tipo di remunerazione"
che ha spinto il nostro eroe dapprima ad invitarla al suo programma in diretta davanti all'intera nazione, poi ad abbracciarne la causa.
Ma egli stesso spiega alla ragazza, che lo ringrazia, che non è per umanità che ha deciso di compiere il viaggio verso la landa desolata, ma per una motivazione egoistica: vuole capire in cosa consista questo "amore puro e disinteressato da lontano", tutto vissuto attraverso le lettere scambiatesi, senza essersi mai incontrati di persona.
Vuole capire cosa non vada nel rapporto fra lui e la sua manager/fidanzata, che si basa sulla promessa reciproca di non baciarsi nè fare sesso.
Alla fine, là sulla landa desolata, si trova davanti a due persone - la donna dell'annuncio e il medico dei poveri - che non riescono neppure ad avvicinarsi - deludente finale per una avventura seguita in diretta alla televisione, nonostante Daisaku Kita non avesse voluto trasformarla in tale avvenimento mediatico - e lui stesso li spinge sulla jeep e le ammonisce:
"Dovete cominciare da zero, il vostro rapporto"
Insomma, entrambi avrebbero consacrato la propria vita ad un ideale umanitario - lui sicuramente nei fatti, è sul posto per aiutare i malati, lei in maniera che sa piuttosto, in effetti, di fuga dal mondo - in quanto fuga dal mondo?
L'esempio di lei mi pare piuttosto confermare questa tesi, ma quello di lui la nega almeno in parte.
Forse il film non sostiene questa tesi, si limita a chiedere a questi idealisti un maggior coraggio, li invita a non ritirarsi dal mondo, senza rinunciare a servirlo, per non trasformasi in persone chiuse e inaccessibili, il che significherebbe, appunto, non essere capaci di servire il mondo.
I due protagonisti ritrovano se stessi, la manager non ha mai abbandonato l'amante, dimostrando che l'amore esisteva fra i due senza dubbio, e si abbracciano rotolandosi nell'erba.
Sia quel che sia, il film è girato con estro, mi ha divertito molto. E non manca l'arredamento musicale - che sia un tratto distintivo dei gusti musicali del regista (o dello sceneggiatore Nobudo Yamada o del musicista Toshiro Mayazumi?), già mostrato in Black Sun (1964)? - sulle pareti della abitazione di Daisaku, tappezzato di dischi lp, uno dei quali, mi pare (ma non sono certo), mostrare il volto del leggendario pianista Sviatoslav Richter (che ho ascoltato tre volte dal vivo) in un recital bachiano.
Uno dei dischi che il protagonista ascolta è l'Andante dalla Sinfonia n.94 in Sol di Haydn, utilizzato con finezza a scopi narrativi, caratterizzato da un improvviso accordo in ff che si ode improvviso dopo un tema dall'andamento quieto e lineare, inarrivabile intuizione haydniana, un musicista che dirlo inferiore a Mozart è un insulto bello e buono.
Non ha niente a che fare col film, ma vorrei ricordare che Wilhelm Furtwängler scrisse su Haydn e Mozart poche righe chiarificatrici (non trovo le esatte parole, ma il senso è questo)
"La musica di Mozart sembra più nobile, di sangue blu; quella di Haydn, più plebea, ma possiede maggior baldanza e vitalità. Come osare dir l'uno più grande dell'altro?"
Non appena si ode l'accordo in ff, Daisaku si spazientisce e lo toglie dal giradischi.
Anche in una bar, tappa ristoratrice durante il lungo viaggio, si ode della musica classica, per la precisione il terzo tempo della Sinfonia Eroica op.55 di Beethoven.
Sarà anche per questo, che dopo averne visti quattro film (il già ricordato Black Sun, Thirst for Love (1966) e Intimidation (1960), oltre a questa ennesima produzione Nikkatsu), si è instaurato un certo feeling tra me e Koreyoshi Kurahara?
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