Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film
- Dove mi conducete? In galera? O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c'era la libertà!...
La conclusione della novella verghiana Libertà (dalle Novelle rusticane), con le parole sorprese e sconsolate del carbonaio, sembra costituire l'abbrivio, l'antefatto, per il film di Lizzani, tratto da un altro racconto, anzi «l'abbozzo di un racconto» (questo tratto da Vita dei campi). Il regista romano, però, prende l'abbozzo di racconto, del quale lo stesso Verga scriveva, rivolgendosi all'amico scrittore Salvatore Farina, cui L'amante di Gramigna è dedicato, «di questo che ti narro oggi, ti dirò soltanto il punto di partenza e quello d'arrivo, e per te basterà», e riempie la parte mancante tra quei due punti indicati dal Verga. E li riempie arbitrariamente, piegando i fatti narrati secondo un'ottica western che mal si addice al testo verghiano. Lizzani cambia i nomi dei personaggi e così Gramigna, da soprannome del protagonista dell'abbozzo di racconto, diventa il cognome del protagonista (ribattezzato, appunto, Giuseppe Gramigna), la ragazza del titolo si trasforma da Peppa (nome ritenuto forse troppo volgare?) in Gemma (forse anche questo in omaggio ad uno degli eroi nostrani dello spaghetti western?) e compare Finu diventa Ramarro. Per di più, vengono completamente stravolte le vicende che travolgono la vita di Peppa nel testo del Verga, dove la ragazza se ne va, affamata e seminuda, al seguito del bandito, il quale se la ragazza tornava da lui a mani vuote «in mezzo alle fucilate [...], divorato dalla fame e dalla sete, la batteva», per tornare, dopo l'arresto di Gramigna, dalla madre, che dovette riprendersela in casa, «povera, malata, svergognata, e col figlio di Gramigna in collo». E poi, laddove, la Gemma del film finisce come un'eroina romantica, la Peppa si ritrovava pressoché pazza, ad accattonare presso la prigione dov'era stato detenuto l'antico amante, che oramai era stato trasferito oltremare.
In sostanza, L'amante di Gramigna è uno dei punti più bassi della filmografia di Lizzani e non si può non concordare con il giudizio sostanzialmente sprezzante di Tullio Kezich che, nel 1969, così concludeva la sua recensione: «Presentato come un ex volontario di "Garibbaldo" stravolto da un desiderio di vendetta a sfondo sociale, Gian Maria Volonté insegue un fantasma di personaggio per tutto il film e sfoga il suo evidente malumore nelle scene di violenza. Il tutto avviene in una Sicilia dall'aria un po' strana, che infatti è la Bulgaria».
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