Con o senza barba, in giacca o camice da laboratorio, rigorosamente con gli occhiali e prevalentemente di sesso maschile, questo personaggio dice sempre cose incredibili. Curioso, dotto, perentorio nelle sue sentenze, lo scienziato al cinema forgia un immaginario subliminale e più efficace della scienza. Da Paul Newman (Il sipario strappato) a Henri Laborit (Mon oncle d’Amerique), passando per Raymond Queneau (Arithmétique) o il più celebre Peter Sellers (Il dottor Stranamore), questa musa instancabile è stato, con ballerini e illusionisti, uno dei primi personaggi del cinema. Les savantes hanno sperimentato gli albori del cinematografo, viaggiando sulla Luna con Georges Méliès nel 1902 e occupando un ruolo fondamentale nella storia della settima arte: Il dottor Mabuse, Metropolis, Lo strano caso del dottor Jekyll e Mister Hyde, Frankenstein (senior e junior), Il magnifico scherzo, 2001: Odissea nello spazio, La mosca, Jurassic Park...

Gérard Depardieu
Mon oncle d'Amerique (1980) Gérard Depardieu

Tutti straordinari e con preoccupazioni incomprensibili ai comuni mortali, formano una comunità che eccita la curiosità dello spettatore. Qualche volta li temiamo perché tramano cose terribili, ma più spesso li rispettiamo perché possono contrastare il male fornendoci brividi e piacere. Burleschi, innocenti o colpevoli, sono tutti cloni di Frankenstein, Jekyll e Mabuse, una trinità di cui Faust è il padre spirituale. Rimodellando i classici della science-fiction (Mary Shelley, Robert Louis Stevenson, H. G. Wells...), questi racconti dell’immaginario collettivo risuonano con un vigore nuovo nell’ora in cui la scienza ha reso possibile ciò che a lungo è stato ritenuto impensabile.

Ieri invece, sulla scia della Grande Depressione e dell’ascesa del nazismo, una fioritura post-espressionista, sadica e paranoica, si impadroniva del cinema di genere americano, che iniziò a produrre mostri e a spingere il ‘medico’ verso il personaggio dello “scienziato pazzo”. Nasceva così l’eroe cinegetico del sogno prometeico che volge in incubo, forzando con l’esperimento scientifico l’ordine della natura. A partire dalle pagine di Baudelaire sappiamo che dalla più vivida crudeltà nasce spesso la poesia più soave. E a questo registro appartengono i film più belli del genere e i loro ‘sapienti’ che procedono dalla scienza all’impulso, dall’ordine al caos, dalla ragione positiva alla follia. Non era forse questa l’ombra che minacciava il mondo negli anni Trenta?

Colin Clive, Dwight Frye, John Boles, Edward Van Sloan
Frankenstein (1931) Colin Clive, Dwight Frye, John Boles, Edward Van Sloan

Basta guardare il Frankenstein di James Whale o pensare al Dottor Jekyll di Rouben Mamoulian, un altro mito adattato numerose volte sullo schermo, che unisce in un unico personaggio il medico che salva e il ritorno organico dell’abiezione e della morte. Posto sotto il segno eminentemente cinematografico della dualità e della trasformazione, questo racconto vittoriano ha sedotto John Barrymore e Fredric March, Spencer Tracy e Jean-Louis Barrault, Anthony Perkins e Isabelle Huppert, tutte star - e non attori specializzati nel genere come Boris Karloff - che si sono abbandonate con piacere alla loro metamorfosi bestiale. Ricollegandosi alle forze primitive, che originano tanto l’arte della recitazione quanto quella della medicina, si tratta per l’attore (e per lo spettatore) di trascendersi. Come Charles Laughton nei panni di un chirurgo che si crede Dio e trasuda megalomania dentro l’abito bianco e una natura lussureggiante, un mondo post-umano sottomesso alla sua legge e al suo bisturi (L’isola delle anime perdute).

Charles Laughton, Kathleen Burke
L'isola delle anime perdute (1932) Charles Laughton, Kathleen Burke

Da Frankenstein a La jena, a cui il film di Robert Wise rendeva esplicitamente omaggio, la morte si rivela la compagna segreta della scienza e una sfida per gli attori che la corteggiano come il fisico di Cillian Murphy, punto di ancoraggio di una deflagrazione che cambierà la faccia del mondo. Emaciato come la morte, l’attore assume la figura magra e affilata del padre della bomba atomica sotto processo per tradimento a causa delle sue simpatie comuniste. È a lui che si aggrappa il film per non essere spazzato via dal quel grande boom atomico che spezza la sua biografia in due. Nel primo movimento serve il suo Paese in una guerra di linee etiche chiare - la democrazia americana contro il nazismo - nel secondo mette a punto una bomba lanciata ‘fuori tempo massimo’ sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.

Cillian Murphy
Oppenheimer (2023) Cillian Murphy

Nel suo ruolo più impressionante, l’interstellare Cillian Murphy non assomiglia a nessun altro e nessuno meglio di lui avrebbe potuto incarnare Robert Oppenheimer. Perché tutto passa nella sua testa, scrigno di visioni che ci sfuggono. Non era diverso in Inception, svolto letteralmente nell’inconscio del suo personaggio, assediato da DiCaprio e il suo ‘dream team’. Per Oppenheimer, Nolan innesta nella natura segreta del suo attore una nuova ottava, vuole che lo spettatore penetri la mente del suo fisico e del suo dilemma profondo. Pochi attori sono capaci di trascinare lo spettatore nella propria testa, di convincerlo a guardarci dentro, a procedere oltre la facciata, al di là di quel volto incorniciato dai capelli bruni divisi da una scriminatura chirurgica, e ancora giù fino all’abisso dello sguardo blu acciaio, punto focale della sua silhouette da cui è impossibile staccarsi anche volendo.

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Oppenheimer

Disegnato da un artista alieno, è una creazione plastica di Francis Bacon strappata al caos. Ed è il caos a suggerire le immagini al fisico e all’attore. Del resto l’ascetismo di Robert Oppenheimer è parte integrante della sceneggiatura di Christopher Nolan. Murphy proietta nuove immagini nella sua mente prima di riprodurle identiche nella sua performance, prima di rifletterle sullo schermo. A immagine del suo protagonista, evita il sonno e il cibo per vedere come appare un volto privato di ogni riposo, per offrirsi allo spettatore come un genio del bene e del male, un salvatore e un distruttore in preda ai dilemmi morali.

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Oppenheimer

Arrivato da Plutone “a miracol mostrare”, impone un fisico singolare che cerca la luce e il bene per vie oscure e opposte, Batman non è troppo lontano. Dopo anni da secondo, passa finalmente alla ribalta con un personaggio enigmatico che ha l’ardore di un cowboy e l’aria dannata di un uomo di scienza sull’orlo del precipizio. Come David Bowie negli anni Settanta è caduto sulla terra, un ‘pianeta’ di irriducibile complessità e di opaca violenza, offrendo all’umanità l’arma per autodistruggersi. Oppenheimer ci lascia tutto il tempo di osservare le risorse del suo viso e la vita drammatica di uno scienziato che percepiva dietro il velo della realtà differenti stati del mondo, doppi segreti del nostro mondo, più o meno percepibili, più o meno antinomici.

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Oppenheimer

Mai lo stesso, mai un altro, Cillian Murphy attraversa la sua filmografia con la coerenza del suo volto. Impossibile confondere l’orfano irlandese (Breakfast on Pluto), che si sente più donna che uomo, col giovane erede (Inception), lo psicotico professore di psicologia (Batman Begins) col capo banda di Birmingham spezzato dalle trincee (Peaky Blinders), eppure l’attore non ha (ri)toccato nulla. A parte forse il taglio di capelli, un paio di occhiali e una coppola in tweed al posto del Borsalino.

Nessuna protesi, nessun trucco, quasi non passasse mai al make-up e si presentasse ‘nudo’ davanti alla macchina da presa. Film dopo film, l’effetto prodotto è straordinariamente identico e sempre diverso dietro lo sguardo impassibile e quella la maniera di recitare, distaccata, eterea, sospesa. Perché i ruoli che lo abitano finiscono immancabilmente per scambiare qualche atomo...

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Oppenheimer

Pieno di livida malinconia, Cillian Murphy eredita il gene e il gesto dei diabolici scienziati del cinema espressionista. Il suo fisico è figlio di Mabuse, il profeta apocalittico di Fritz Lang, e la sua professione di fede è semplice: il mondo è fondamentalmente malvagio ed è solo dal caos che può riemergere la speranza. Tocca a lui organizzarlo a partire da una mela avvelenata posata, in un momento di gelosia e di incomprensione, sulla scrivania di Patrick Blackett.

Spera che il professore di Cambridge la morda ma la cosa fortunatamente non si produrrà. L’episodio tradisce una delle facce di Oppenheimer, un grano di follia lucida, che fa il paio con quello sguardo chiaro che l’attore presta ai suoi eroi, come fosse in grado di prevedere con largo anticipo la peggiore delle tragedie. Già fisico per Danny Boyle (Sunshine), trova l’essere umano davanti allo scienziato con una reale presenza e una dose di mistero quantico. In un corpo solo incarna il processo di invenzione e lo smantellamento di un genio nucleare.

Autore

Marzia Gandolfi

Marzia Gandolfi (1971) è una “ragazza della Bovisa”. È cresciuta nei racconti di Testori e ha studiato nella città di Zurlini. Collabora stabilmente con MyMovies e resta duellante per sempre. Nel 2021 ha pubblicato con Bietti Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano e con Santelli Editore La forma dell’attore. È membro della Commissione selezionatrice dei cortometraggi per i premi David di Donatello e dal 2015 membro della giuria di Presente Italiano. Si occupa di serie TV per La Gazzetta del Mezzogiorno e di icone popolari per le riviste che amano le attrici e gli attori. Il suo eroe ha “gli occhi di ghiaccio”, il suo piccolo era più grande di lei. Nickname: la Tula.

Il film

locandina Oppenheimer

Oppenheimer

Biografico - USA, Regno Unito 2023 - durata 180’

Titolo originale: Oppenheimer

Regia: Christopher Nolan

Con Kenneth Branagh, Florence Pugh, Cillian Murphy, Emily Blunt, Josh Hartnett, Jack Quaid

Al cinema: Uscita in Italia il 23/08/2023

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