Io nasco anglofila, brit-ofila, ma solo perché l'America che ci arriva più spesso è quella grande, che esalta i volumi alti e i paroloni, per poi dimenticare i piccoli, quelli che luccicano di meno, quelli che non hanno l'ambizione di farsi conoscere e di parlare nel nome di un paese. Ed è vero che l'onesta con cui gli inglesi descrivono le debolezze e i difetti umani per me è insuperabile, ma c'è anche una parte di America che lo sa fare, indipendente ma non indie, luminosa ma non scintillante, lontana dalla grande America e dal sogno (che poi si infrange quasi sempre). Invece, secondo me, sono proprio i piccoli, quelli che parlano molto bene nel nome di un paese, anche se ne parlano in un modo che non si vede tanto sulle insegne giganti e sfavillanti, ma rimbalza e cerca lo sguardo laterale dell'interlocutore dallo specchietto retrovisore, in un dialogo intimo e molto più sincero.
Questa è l'America che amo. La provincia, gli esseri umani, le disperazioni piene di speranza. La musica, la poesia che non sta in rima. Mi spiace anche usare America come termine perché tutto è America, dal nord al sud. Allora dirò: questi sono gli Stati che amo, Uniti nel sentimento, lontani ma connessi, vitali anche se piccini.
Con Hannah Bos, Paul Thureen, Bridget Everett, Jeff Hiller, Mary Catherine Garrison
Tag Commedia, Femminile, Famiglia, Formazione, USA, Anni duemilaventi
Chiariamo subito una cosa: grossa parte di questa playlist viene fuori dalla sensibilità e dalla bravura dei Duplass. Che spesso sono associati solo a un ambiente hipster, mumblecore e troppo ricco per essere davvero voce di tanti, ma secondo me non è così. Questa serie non è creata dai Duplass, che però ne sono produttori esecutivi, e non è creata dalla sua protagonista, la meravigliosa Bridget Everett, che però ne è l'anima, un'anima dolente, complicata e piena di difetti, ma adorabile. Con lei tutta una serie di personaggi che possono forse sembrare lontani ma sono vicinissimi, ognuno con debolezze, paure e nodi irrisolti che sono alla base di tutte le infelicità umane. La seconda stagione meglio della prima, la terza meglio della seconda, con la crescita incredibile del personaggio della sorella della protagonista, dei dialoghi e dei monologhi sulle relazioni umane che andrebbero stampati e recitati la mattina, e tutti, nessuno escluso, di una bravura assoluta.
Kota, la protagonista di questo film distribuito da MUBI, è sorella di alcuni personaggi di Kelly Reichardt, è un po' sorella della Anora di Sean Baker, ma soprattutto è sorella stretta delle protagoniste dei film di Andrea Arnold (Fish Tank o American Honey). Quando si muove e reagisce al mondo, la sua pelle si muove prima di lei. Quando canta, la nostra pelle si muove prima che la seconda nota arrivi alle nostre orecchie. Sembra uno di quei personaggi nati per fare casino, per complicarsi la vita, ossia, forse, per viverla. Il finale è una lunga poesia in/con immagini.
Questo è il Jay (Duplass) attore che incarna un personaggio disperato ma pieno di speranza. Aiuta anche il fatto che la controparte sia una strepitosa Edie Falco, che nessuno dei due sia quella bellezza hollywoodiana che fa innamorare le folle, ma sì, questi due e il modo in cui si toccano a distanza, e poi si toccano, fa innamorare. La gente normale si ri-trova nei loro panni quando è confusa.
Questa sì che è creata dai Duplass e interpretata da Mark, che forse è il mio preferito, sarà che lo seguo su Instagram e sentirlo parlare di depressione con naturalezza e onestà me lo fa percepire come persona complessa ma positiva. Una persona con cui vorresti scambiare quotidianamente chiacchiere. La prima stagione secondo me è perfetta e anche divertente, lucida sui difetti umani, sulle relazioni e soprattutto su quanto si sbaglia per cercare di stare meglio. La seconda sembrava essere partita un po' più fiacca, ma poi andando avanti si riprende. Anche qui, tutti bravi ma la controparte di Duplass (Melanie Lynskey) è un'attrice di un livello top. Può sembrare più "ricca" e meno sporca di Somebody Somewhere, certamente meno della Coney Island di Tendaberry, ma è solo apparenza.
Con Louis C.K., Zach Galifianakis, Jonathan Krisel, Martha Kelly, Louie Anderson
Tag Commedia, Maschile, Famiglia, Storie di vita, California, Anni duemiladieci
Considerato quanto surreale, grottesca e freak si presenta questa serie, potrebbe sembrare strano includerla in questa playlist, ma è sotto lo strato comico che si cela quel dramedy che amo e che delinea con precisione i confini del mondo emotivo degli esseri umani. Anche qua non mi finisco mai di stupire di come una certa generazione di attori statunitensi sembri vivere nei personaggi che interpreta.
Mo, al contrario, sembrava partito in sordina. Quasi come uno spinoff un po più comico e spensierato di Ramy. Addirittura il finale della prima stagione mi aveva fatto pensare che l'avrebbero mandata in vacca con la seconda stagione. E invece, SBAM!. Mo Amer nella seconda stagione li ha toccati tutti, i temi fondamentali. Ci è entrato come fa lui, con questo assurdo mix di garbo e di esuberanza, per arrivare in punti così bassi che non restano le energie per piangere. E però, quanta positività inaspettata.
Tag Commedia, Storia corale, Droga, Storie di vita, New York, Anni duemiladieci
Includere questa serie che sembra l'esempio perfetto del tran tran hipster è azzardato, mi rendo conto, ma la sua bellezza è proprio la coralità garantita dal presupposto: il protagonista spacciatore che si muove tra le persone di tutti i tipi e ceti e provenienze possibili. Un caleidoscopio che non ha eguali e che esplora tutte le umanità possibili, soprattutto tra quelle più imprevedibili e improbabili.
Ormai la mia passione per Michelle Williams è consolidata: non ho inserito Dying for Sex nella playlist solo perché si sovrappone a troppi altri binari e sarei andata fuori tema. Insieme a lei in questo film, donne diverse ma unite da un filo comune, o forse non unite ma tasselli di un modo di esistere.
Con Jane Adams, Sophia Takal, Kent Osborne, Allison Baar, Simon Barrett, Lindsay Burdge
Mi ricordo poco di questo film, l'ho visto molto tempo fa perché è di Joe Swanberg, sodale di Josephine Decker (quindi sì, comunque hipster a manetta, mumblecore etc etc), ma l'ho inserito come esempio dei personaggi fragili interpretati da Jane Adams, con quel suo viso così mobile e la gestualità alleniana senza essere comica. La adoro.
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