Molte scuole di cinema insegnano che i due momenti chiave nella realizzazione di un film sono l’inizio e la fine. Mentre il primo serve a creare il climax e a invogliare (o meno) lo spettatore ad entrare in un mondo alternativo, il secondo è quello che più agisce sulla memoria e che in molti casi può fare la differenza sul giudizio finale.
Trovare un buon modo per concludere non è affatto facile (annoso problema ad esempio di un bel po’ di romanzi di Stephen King), ma esistono delle scappatoie, dei meccanismi preimpostati tali da dare quasi sempre risultati positivi: uno dei più felici è quello della “fuga impossibile”.
La fuga impossibile presuppone la presenza di un protagonista disgraziato o comunque a cui pian piano la situazione tende a precipitare verso un punto di non ritorno. Quasi sempre questa fuga ha un significato simbolico, quando non strettamente onirico ed offre allo spettatore una sensazione consolatoria e liberatoria (termine scelto non ha caso, trattandosi di fughe la libertà ne rappresenta sempre la meta) pur nella sua illusione. Questa strategia d’uscita piace, fa parlare di se’ e funziona quasi sempre: in quel regno delle illusioni che è il cinema niente di meglio che concludere con un’altra illusione.
Con Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier
Probabilmente l’esempio chiave, la corsa vana quanto liberatoria di un bambino in fuga verso il mare che ha ridefinito l’immaginario cinematografico diventando in un certo senso un simbolo della nuova onda in arrivo.
La fuga da una delle più famose distopie del cinema per il singolo non può che essere tramite la morte, qui trasformata in un sogno che esaspera l’assurdo della società e la fa crollare come un castello di carte.
Un discorso analogo al precedente: anche qui la morte equivale alla fuga in un altrove magico e metafisico, quale contraltare romantico alla brutalità della guerra.
Con Miki Manojlovic, Lazar Ristovski, Mirjana Jokovic
Anche qui la morte equivale a una fuga mistica al di là di ogni divisione e contrapposizione verso un mondo dove l’umanità ritrova la sua purezza perduta.
Con Stephen Archibald, Hughie Restorick, Jean Taylor Smith, Karl Fieseler, Bernard McKenna
In una delle più nere (e belle) descrizioni dell’infanzia la fuga rappresenta un miraggio effimero (il successivo film della trilogia, My ain folk, riprende le vicende dallo stesso livello di disperazione, caso mai ci fosse bisogno di togliere dubbi sulla realtà di tale fuga) al quale aggrapparsi disperatamente per non annegare nel naufragio della propria vita.
Con Brian Cox, Damian Lewis, Joseph Fiennes, Seu Jorge, Liam Cunningham, Dominic Cooper
Una fuga sognata all’interno di una vera evasione. Nei film del genere prison-escape bisogna sempre far respirare, magari solo per un attimo, aria di libertà, ma al contempo nei noir bisogna quasi sempre pagare le proprie colpe a caro prezzo. In questo film grazie a questo escamotage, si salvano capra e cavoli.
Un altro finale con un sogno di fuga, forse ancora più malinconico perché ci viene svelato l’artificio in diretta (nel contrasto tra il racconto sognato del padre al figlio ed il vero tragitto dell’auto).
Con Al Pacino, Sean Penn, Penelope Ann Miller, John Leguizamo
Più che un sogno un ultimo delirio nelle parole e negli occhi del morente Pacino che assiste al miraggio pubblicitario della propria ormai irraggiungibile meta.
Con Barry Newman, Cleavon Little, Victoria Medlin, Timothy Scott
L'inversione (di marcia) che conferma la regola: qui il sogno di fuga è all'inizio, confutato (forse) in uno dei finali più deliziosamente concettuali di sempre.
L’esempio più recente, la fuga degli ultimi verso un altrove (consumistico) sognato quale fanciullesco luogo fatato in grado di esaudire i sogni (che, si sa, son desideri di felicità).
Tutto il cinema, a mio vedere, si conclude con una fuga; quando la parola stessa la evoca: "Fuga dal Pianeta delle Scimmie", "Fuga per la vittoria", "La fuga di Logan" gli esempi più facili; quando si scappa via per un altro sogno ("le conseguenze dell'amore", "L'uomo in più"....tutto Sorrentino); quando si fugge con il grande amore (o con il matrimonio, Dustin, quoque tu: "Il laureato"...), quando si viaggia fuggendo dal proprio incubo per un nuovo inizio (tutto Malick), e potremmo continuare all'infinito. Perché questo è uno dei principi cardine della sceneggiatura: che il film sia vittoriosamente o meno, alla fine, un nuovo equilibrio. E quale equilibrio migliore della fuga.....?
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Io metterei anche 'Caccia sadica' di Losey: un film in fuga dall'inizio alla fine...
BadLands. Fuga perpetua verso nessundove. Poi, alla fine, il PdV si alza e abbraccia la parentesi d'orizzonte terrestre.
Uh, e lo spegnersi di Essential Killing.
Poi...Modern Times. Passo passo, non c'è fretta di raggiungere 'sto futuro.
Tutto il cinema, a mio vedere, si conclude con una fuga; quando la parola stessa la evoca: "Fuga dal Pianeta delle Scimmie", "Fuga per la vittoria", "La fuga di Logan" gli esempi più facili; quando si scappa via per un altro sogno ("le conseguenze dell'amore", "L'uomo in più"....tutto Sorrentino); quando si fugge con il grande amore (o con il matrimonio, Dustin, quoque tu: "Il laureato"...), quando si viaggia fuggendo dal proprio incubo per un nuovo inizio (tutto Malick), e potremmo continuare all'infinito. Perché questo è uno dei principi cardine della sceneggiatura: che il film sia vittoriosamente o meno, alla fine, un nuovo equilibrio. E quale equilibrio migliore della fuga.....?
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