Regia di Ruth Greenberg vedi scheda film
Run (Directly Towards).
Una donna sui 30 anni esce di casa per fare jogging mattutino. Dalla periferia dei sobborghi londinesi (Haringhey, Outer London) in cui vive, bagnati dal radente sole autunnale, s'inoltra nella finitima campagna boscosa trovandola ancora immersa nella nebbia. Lungo quel tratto d’ameno, bucolico percorso incontra un uomo che la osserva, fermo, dallo scollinar d’un dosso erboso. Lei decide che non cambierà, per “lui”, ovvero per le “potenzialità” che egli/esso “rappresenta” in quel contesto (la tensione era già nell’aria grazie agli incontri precedenti fatti dalla protagonista, ma, come dire, si tratta di un pericolo presente tanto "solo" negli occhi dello spettatore, che forse, "ingannato" dalla messa in scena, ne accentua il valore, quanto... nello zeitgeist), il proprio itinerario. L’uomo, all’intersezionarsi dei corpi, l’aggredisce. (Ma siamo solo a metà film.)
La seconda parte sarà tutta un atto di salvezza (bestiale) e poi di vendetta (umana e bestiale), e quindi, “forse”, di (parziale) perdizione (umana).


Trattatello sull’utilizzo creativo di un mazzo di chiavi impugnate a noccoliere e sulla resistenza alla trazione dei cavetti di rame intrecciati avvolti in guaine di plastica (e per mercede/contropartita col destino, forse, una piccola nemesi, un minuscolo contrappasso, anche se lo scotto da pagare, qui, è perfettamente al dente), “Run”, il cortometraggio d’esordio e revenge di Ruth Greenberg, la futura sceneggiatrice di “Out of Darkness” (Andrew Cumming, 2024), rimanendo in attesa potenziale tanto di “SUGAR” (e allora si saprà se sarà stata in grado di “sganciarsi” da “Girlfight” di Karin Kusama e, ponendo l’asticella un po’ più su, “Million Dollar Baby” di Clint Eastwood, o, perché no, da “GLOW” di Liz Flahive & Carly Mensch, e di argomentare ulteriormente “oltre” questi punti di riferimento ognuno a loro modo angolari/miliari), quanto di “The Competitors” (western post-apocalittico) ed altri lavori in nuce/forse/farsi (c’ha l’agenda piena, la nostra - ripetetevelo tutti in coro ad alta voce: un repost non è un endorsement - “star of tomorrow”, e anche questa recensione vuol essere un promemoria per il futuro, chissà), da “I Spit on Your Grave” di Meir Zarchi, “Lady Snowblood” di Toshiya Fujita, “Ms. 45” di Abel Ferrara, “Baise Moi” di Virginie Despentes & Coralie Trinh Thi, “Hard Candy” di David Slade e “Kill Bill” + “Grindhouse: Death Proof” di Quentin Tarantino a “Revenge” di Coralie Fargeat, “The Nightingale” di Jennifer Kent, “Promising Young Woman” di Emerald Fennell e “Men” di Alex Garland, passando per(ché no, se pur per interposta persona vendicante, da) “Jungfrukällan” di Ingmar Bergman, “The Last House on the Left” di Wes Craven (che de "la Fontana della Vergine" ne è il "remake") e “Unforgiven” di Clint Eastwood, e la lista per “fortuna” è lunga, torna a ragionare su un argomento fondamentale della storia umana, e in 5 + 5 minuti riesce a dire, bene, qualcosa di “nuovo”.
Niamh Algar, come sempre (“Without Name”, “Pure”, “The Virtues”, “Raised by Wolves”, “Censor”, “the Wonder”), da par suo, caratterizza il momento.
Fotografia di Molly Manning Walker e montaggio di Stella Heath Keir.
Prodotto da Channel Four (attraverso Film4) e dal British Film Institute (attraverso BFI Network).
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