Regia di Nikolaj Arcel vedi scheda film
Il progresso della civiltà si è di sovente scontrato con forti correnti di segno opposto. In un modo o nell’altro, qualsiasi cambiamento comporta dei pro e dei contro, che portano fieno in cascina a qualcuno togliendolo di conseguenza ad altri, con i pionieri pronti ad affrontare sfide sulla carta – e non solo - proibitive. Inutile dire che, quando di mezzo sussistono posizioni di potere consolidate e arcigne, viene esercitata un’influenza che spinge a compiere qualunque azione pur di preservare se stessa, tanto più quando la forbice tra le parti contendenti è particolarmente ampia e se nel contempo la legge non interviene, facendo orecchie da mercante.
La terra promessa si alimenta di questo dualismo insito nella storia dell’umanità, che rimane quasi sempre al centro della sua esplicativa esegesi. Tuttavia, aggiunge una significativa/sintomatica gamma di sfumature che, al netto di qualche perdonabile/comprensibile eccesso dei toni, lo rendono un film dal sapore d’altri tempi, da tenere in debita considerazione, in grado di mettere sul piatto della bilancia questioni puntuali/topiche e valori addizionali di tutto rispetto, tali da fargli compiere un salto di qualità.
Danimarca, 1755. Al rientro in patria dopo venticinque anni trascorsi nell’esercito, Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen – Il sospetto, Hannibal, Un altro giro) impegna tutto se stesso per edificare la prima colonia nella incolta e inospitale brughiera danese, così come desiderato dal Re, chiedendo in cambio un titolo nobiliare.
Oltre a dover affrontare condizioni climatiche/ambientali quantomai ostative, supportato da uno sparuto gruppo di disperati tra i quali figura Ann Barbara (Amanda Collin - Raised by wolves, Conspiracy of faith), dovrà vedersela anche con Frederik De Schinkel (Simon Bennebjerg – Lover), un prepotente signore locale che ha la pretesa di comandare in tutto il territorio circostante.
Nonostante i grossi rischi a cui va incontro, Ludvig non rinuncerà a coltivare le sue aspirazioni, anche quando si ritroverà con le spalle al muro e a dover prendere decisioni drammatiche.
La terra promessa (2023): Mads Mikkelsen
Sei anni dopo il rovinoso La torre nera, avendo nel frattempo sceneggiato i poco conosciuti - ma meritevoli di riscoperta (entrambi sono disponibili da noi, sia in dvd sia su piattaforma) - Riders of justice e Paziente 64 – Il giallo dell’isola dimenticata, Nikolaj Arcel (Royal affair) riconquista la ribalta internazionale con La terra promessa, un film tratto dal romanzo Kaptajnen og Ann Barbara pubblicato da Ida Jessen nel 2020 e sceneggiato dal pluripremiato Anders Thomas Jensen (In un mondo migliore, Le mele di Adamo).
Trattasi di un’opera corposa che individua terreno fertile in un face to face che impianta il seme della discordia all’interno di un quadro desolato, un western nordico che non fa sconti (ogni centimetro conquistato arriva spendendo sudore, lacrime e sangue), con ambizioni accecanti che fanno terra bruciata intorno a loro e abominevoli abusi di potere che si confrontano con una giusta causa, per quanto non esente da zone d’ombra (ad esempio, qual è il pegno accettabile da pagare quando di mezzo ci sono altre vite?).
Ne scaturisce una percussiva/implacabile reazione a catena, escogitata e attuata con un innato vigore, tenendo il punto, carica di impulsi che vanno a formulare un sentiero lastricato di incognite/incomodi, di strenua resilienza e di distorsioni laceranti, con un duplice accanimento che provoca fendenti feroci, aggiungendo pregiudizi ottusi e anche alcuni barlumi di sentimento, un romanticismo espresso attraverso un affetto silenzioso che tenta di tenere botta in uno scenario avverso, dominato da una cattiveria che non si pone limiti.
In tal senso, due figure femminili (sulle tre presenti) conquistano una voce identitaria/preminente che va a creare/plasmare un ulteriore dislivello, intrappolate come sono in una congiuntura più grande di loro, un contributo che si percepisce fin dalla loro prima apparizione per poi emergere con notevole intensità alla distanza, con tanto di colpi di coda (forse troppi, ma utili).
Questo per dire e confermare il fatto che La terra promessa abbia parecchio da comunicare e condividere, tra le sue priorità inappellabili e dei compromessi dolorosi, con la forma e il contenuto in grado di viaggiare in simbiosi su livelli discretamente alti, fortificato da alcune indubbie punte di diamante, tra le quali va necessariamente inserito un immarcescibile Mads Mikkelsen, gelido fuori e ribollente dentro, che si modella in corso d’opera, confermandosi – non che ce ne fosse il bisogno - un attore estremamente affidabile/pervicace, di razza superiore.
La terra promessa (2023): Mads Mikkelsen
In conclusione, La terra promessa è un film avvincente e concreto, dal forte impatto (l’aria di casa deve essere stata salutare per il regista) e scandito da una linea di condotta esemplare/inalterabile, che pianta con fermezza le sue bandierine per poi stazionare al fianco di quei reietti che tentano disperatamente di rovesciare le sorti a loro assegnate, di far valere quei diritti fondanti, arbitrariamente negati. Con una road map coerente e pugnace, che sa esattamente quali fini raggiungere, e una rappresentazione integrativa, piena di risorse, tra obiettivi da non farsi sfuggire e danni collaterali, armi impari e determinazioni incrollabili, criticità putrefatte e arricchimenti frontali, con un respiro che non si preclude alcun orizzonte (vedasi una prolungata e toccante chiusura).
Spigoloso e coriaceo, disilluso e aspro, suffragato da parametri di autorevole/evidente spessore.
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